Una fusione che proprio non s’aveva da fare. Eppure le assemblee di Unipol, Fondiaria Sai e Premafin hanno approvato a maggioranza quasi assoluta la nascita di UnipolSai, campione nazionale nel ramo danni, seconda solo a Generali, e Rc Auto, incassando anche l’ok da parte dei soci ordinari di Milano Assicurazioni. Un player monstre in un comparto in cui, secondo i calcoli di Altroconsumo, coprirà oltre 30% del mercato nei tre quarti delle province italiane. Nato sotto l’egida di Mediobanca, esposta per 1,2 miliardi verso l’ex compagnia dei Ligresti, e benedetta dalla Consob con l’esclusione dell’obbligo di Opa, il matrimonio UnipolSai è a dir poco un ginepraio.
Ci sono due Procure – Milano e Torino – che indagano sulla passata gestione e sullo stato di salute della compagnia delle Coop. C’è Consob, regolatore all’interno del quale si è consumata nei mesi scorsi una lotta intestina sulla valutazione dei titoli strutturati in pancia a Unipol, sollecitato dal pm meneghino Luigi Orsi e ancora in fieri. C’è l’Isvap, che in un documento sequestrato dai magistrati torinesi evidenzia una carenza nelle riserve di Unipol. Ci sono i rischi per la galassia delle Coop riunite in Finsoe, holding di controllo di Unipol. Infine, ci sono tutte le ormai ex partecipazioni “di sistema” di FonSai: la disastrata Alitalia, la Rcs in cerca di un cavaliere bianco e il riassetto della galassia Pirelli.
Sarà per questo che, nel corso dell’assise di ieri, l’amministratore delegato di via Stalingrado, Carlo Cimbri, ha optato per una strategia aggressiva, ben consapevole che si gioca tutto sul filo del rasoio. Se i magistrati torinesi appureranno oltre ogni ragionevole dubbio che nel bilancio 2010 c’è stato un occultamento dei 538 milioni nella riserva sinistri (gli accantonamenti per fronteggiare le spese delle polizze, ndr) di FonSai, il banco potrebbe saltare. Lo scorso 21 ottobre, la Procura ha recapitato due avvisi di garanzia per concorso aggravato in falso in bilancio nei confronti di Ambrogio Virgilio e Riccardo Ottaviani, rispettivamente socio di Reconta Ernst & Young e attuario della compagnia, ovvero chi ha certificato quei conti. Ironia della sorte, proprio a Reconta Ernst & Young si era rivolta la procura della Mole per verificare i rapporti di concambio nell’ambito della fusione. E sempre E&Y aveva sollevato dubbi sul portafoglio derivati di Unipol.
«Non si è tenuta in qualsiasi altro giorno degli ultimi anni, perlomeno da quando sono a.d. di questa impresa, anzi nel gruppo Unipol, alcuna riunione del management con uomini Consob al di fuori dei locali preposti dall’attività di vigilanza», ha precisato Cimbri nel corso dell’assise. Secondo quanto risulta a Linkiesta, il 27 gennaio 2012 il presidente Consob, Giuseppe Vegas, avrebbe partecipato a un incontro proprio con Cimbri e l’ad di Mediobanca, Alberto Nagel, gli avvocati e i consulenti dei Ligresti, fra cui il banchiere Gerardo Braggiotti, e Angelo Apponi, funzionario dell’authority. Scagliandosi poi con i piccoli azionisti: «Perché gli attuali azionisti dovrebbero risarcire quelli del 2010? Gli attuali soci si sono presi il rischio di salvare la società dal fallimento, non c’entrano con la gestione precedente. Dov’erano gli azionisti attivi all’epoca quando Fonsai veniva depredata?». In altre parole: non c’è bisogno di accantonamenti sulle azioni legali dei risparmiatori, e poco importa se non sapevano che venisse depredata.
Dal punto di vista finanziario la grana vera, per Unipol, è rappresentata dai 6,5 miliardi di titoli strutturati, che l’Ivass ha timidamente chiesto di ridimensionare: «Rappresentano il 19% del portafoglio degli attivi finanziari», ha specificato Cimbri, aggiungendo «l’Italia rappresenta il 30% del portafoglio strutturati, le obbligazioni di Mediobanca il 3% e quelle di Unicredit meno dell’1 per cento». Stando ai documenti depositati in vista delle assemblee di ieri, le minusvalenze potenziali sono nell’ordine di 431 milioni di euro.
Non sono le uniche: tralasciando le verifiche in corso sul patrimonio immobiliare di FonSai e Milano Assicurazioni, la galassia delle partecipazioni è un bagno di sangue. Le svalutazioni sulle quote di minoranza ereditate dall’ex impero dei Ligresti sfiorano il miliardo di euro (clicca qui e vai a pag 77 del documento informativo congiunto). Compresa Pirelli: il riassetto della catena di controllo del gruppo degli pneumatici è congelato da un ricorso al Tar dopo che la Consob ha chiesto di alzare da 80 a 83 centesimi il prezzo dell’Opa lanciata dalla Newco Lauro 61, partecipata da Unicredit e Intesa Sanpaolo, sulla holding Camfin, controllante del gruppo della Bicocca.
Il regolatore contesta la «collusione» tra i soci vicini a Tronchetti e i Malacalza, la famiglia genovese che ha rilevato le quote di Allianz e FonSai al piano inferiore (Pirelli) con il pingue incasso derivante dall’uscita dal piano superiore (Camfin). Due operazioni che gli uomini di Tronchetti Provera sostengono siano sempre state scollegate. Peccato che lo stesso Cimbri nei mesi scorsi abbia ammesso: «Se avessimo disdettato il patto (l’accordo tra i soci sindacati di Pirelli, in via di scioglimento, ndr) avremmo dovuto alla scadenza offrire le azioni alla media dei tre mesi precedenti. Abbiamo valutato se vendere a quelle condizioni a pronti e l’indeterminatezza delle condizioni a cui eravamo esposti domani. Abbiamo giudicato conveniente la scelta di fare subito». Una limpida ammissione.
Il 4,4% di Alitalia – Cimbri ha detto che la società non parteciperà all’aumento di capitale del vettore – è invece iscritto a bilancio per un valore di 50 milioni di euro. Ovvero quanto vale l’intera compagnia. Infine Rcs, la società editrice del Corriere della Sera sulla quale FonSai ha realizzato una plusvalenza da 1,4 milioni: «Auspico una buona gestione e dei piani industriali credibili», ha dichiarato ancora il top manager, annunciando che per il momento UnipolSai rimarrà azionista al 5,54 per cento. In attesa di capire le mosse di John Elkann: Fiat è il principale azionista della Stampa e di Rcs, e i segnali di una fusione tra le due storiche testate si stanno intensificando.
Al netto delle partecipazioni dell’ex salotto buono, su un punto Cimbri tiene a sgombrare il campo: «A tutti era chiaro che se c’era l’esenzione Opa l’operazione si faceva se no l’Unipol stava a casa e non faceva niente». Alla faccia del mercato.