Poiché oltre a essere imprevedibile è anche un po’ sadico, l’altra sera ha posato lo sguardo sulla sua corte politica, gli uomini e le donne del suo Pdl che lo circondavano a tavola, e con un sorriso tra l’innocente e il canzonatorio, alla vigilia del divorzio con Angelino Alfano, lo ha detto, così, forse soltanto per vedere l’effetto che fa, come nella canzone di Jannacci, o forse no, chissà:
«Barbara mi ha scatenato l’inferno nel Milan. Ma è brava, tosta. Forse non ha l’età, però…».
Da alcune settimane s’è messa in moto la macchina di Publitalia ’80, e i manager del berlusconismo sfogliano le loro agende, incontrano persone, selezionano, compilano delle liste di ragazzi e ragazze, perché il Sovrano di Arcore vagheggia un exploit di marketing creativo, già per le prossime europee, un colpo di spugna, un violento ricambio generazionale, forse il preludio alla sua successione, perché solo una nuova squadra, disegnata con perfezione geometrica, potrà adattarsi, come un guanto, al nuovo leader, erede designato (o designata) dal Cavaliere. E da tempo Berlusconi prova un privato disgusto per le abitudini di partito, per le liturgie di corte, per le piccole invidie e gli odii profondi, per gli intrighi miserabili che avvelenano il suo Castello e che tuttavia costituiscono l’essenza stessa della vita per la moltitudine di uomini e donne, servi e vassalli, gran feudatari e semplici soldati, che lo circondano e gli danzano attorno da anni. Lo ha pure detto ad Angelino Alfano, nel loro ultimo incandescente incontro, con un tono pieno di riposti significati, come fosse una mano tesa, un segno di pace, di fiducia, o chissà che: «Dobbiamo cambiare tutto, Angelino. Tutto».
Ma per cambiare bisogna prima distruggere senza pietà, a cominciare da sabato, al Consiglio nazionale, quando Berlusconi spegnerà il Pdl per lanciare Forza Italia. E dunque delle immagini, dei nomi, dei simboli già si formano e passano nel cielo desideroso della fantasia sempre così accesa del Cavaliere: è stato messo al lavoro Giuliano Adreani, l’amministratore delegato di Mediaset. Il divorzio con Alfano è ormai deciso, non c’è più niente da fare, ma è solo il primo passaggio verso il “grande rinnovamento” vagheggiato dal Cavaliere: «Attento Angelino», gli ha fatto sapere ieri con un’intervista, «tu e gli altri ministri sparirete come Fini».
Si mormora d’un grande ritrovo a Villa Gernetto, nelle prossime settimane, un conclave di trentenni, una specie di grande colloquio di lavoro per aspiranti deputati e ministri, la rivoluzione culturale del vecchio Silvio. E insomma il gruppo storico dei dirigenti del Pdl, sia i falchi sia le colombe, sia i ministeriali sia i crisaioli, adesso un po’ tremano, temono, s’arrabbiano, e guardano con sospetto i tanti, troppi, piccoli indizi che ansiosamente raccolgono come le mollichine di Pollicino, a cominciare dall’incarico organizzativo che il grande capo ha voluto affidare, risvegliando le mai sopite invidie di corte, a Marcello Fiori, già braccio destro di Guido Bertolaso alla Protezione civile. L’ombra del crepuscolo, la fissità ottusa delle liti, per Berlusconi danno al partito un intollerabile aspetto di noia e di precarietà, quasi un presentimento di morte che il Cavaliere, per indole, non può che voler rifuggire. A volte lo coglie quella tristezza vasta e avventurosa che accompagna le azioni gravi, una strana risoluta mestizia che sconfina con il sentimento della felicità. E così, come in un gioco sottile e avvincente, Berlusconi trova la più forte consolazione alle miserie di corte che lo avvolgono nell’idea di cambiare tutto, di poter buttare tutti a mare.
Sa di non potersi ricandidare, il 27 novembre sarà anche scaraventato fuori dal Parlamento, e ha pure perso il suo Delfino bianco, quell’Alfano senza quid che da sabato prossimo verosimilmente non sarà più uomo di corte, ma capo di un suo minuscolo partito filo-governativo. E insomma non sarà Angelino – come per un po’ Berlusconi aveva pensato – a succedergli, a garantire gli interessi veri e sedimentati, quelli dell’azienda, di Mediaset e di Mondadori, del patrimonio e della roba. E dunque, ecco la frase giocosamente rivelatrice, «Barbara mi ha scatenato l’inferno nel Milan. Ma è brava, tosta. Forse non ha l’età, però…». E certo il destino di Barbara Berlusconi non è quello di bruciarsi in modo frivolo e sereno nella sua vita da ereditiera.
Bella, sorridente come il papà, ansiosa d’ogni odore umano, la giovane Barbara sta scalando il Milan e forse – ma chissà – scalerà anche la politica, lei che a Silvio assomiglia per carattere più d’ogni altro dei suoi fratelli. Ma che l’erede sia davvero lei, pronta com’è ad abbandonare la sua jeunessè dorée, o sia Marina, poco importa al momento. ll Cavaliere non ha deciso, né tantomeno lo hanno fatto le figlie, ma tutto intorno è un gran brulicare, un febbrile movimento d’organizzazione che precipita su un solo punto: preparare il terreno alla successione, alla nuova leadership dinastica. Intorno all’erede designata, chiunque sia, la sorridente Barbara o la schiva Marina, è necessario che prima germoglino nuove e più rassicuranti fedeltà, quelle che la vecchia classe dirigente, insuperbita dall’esercizio del potere e dalla frequentazione del Palazzo, non garantisce più. Mormorando, lo dice anche Sandro Bondi, disilluso coordinatore del Pdl, «questi uomini non sarebbero fedeli a Marina o a Barbara», dice, «subito dopo le elezioni ci sarebbero dei problemi». E dunque a questo servono le selezioni di Villa Gernetto, gli incontri con i giovani più promettenti, il lavoro di scrematura, le telefonate ansiose dei dirigenti di Pubblitalia, e persino la manifestazione che il 23 novembre Anna Grazia Calabria – la più giovane deputata del Pdl, guarda un po’ – organizzerà a Roma: ricercatori, giovanissimi imprenditori, cervelli in fuga, professionisti, tutti under-trentacinque. Una platea mai vista prima nel centrodestra.