L’articolo che segue è in forma di dialogo tra Francesco Longo (FL) e Christian Raimo (CR).
FL: Visto che vieni citato (e criticato) più di una volta nel libro di Luca Mastrantonio sugli intellettuali (Intellettuali del piffero, Marsilio), mi sembra interessante confrontarsi con te. Devo fare però una premessa. Non credo che per te comparire in un libro sugli intellettuali sia in sé una cosa negativa (per me lo sarebbe). Anche dopo aver letto il libro, infatti, il mio pregiudizio rimane inalterato. Considero gli intellettuali una galassia di persone che stanno in una zona grigia tra i Grandi Scrittori e i Politici Senza Abbastanza Carisma (o comunque senza competenze per fare i politici). Per Mastrantonio oggi gli intellettuali combattono battaglie per avere un posto al sole. Li descrive come santoni che incantano per portarsi a casa un po’ di autorevolezza e potere. Per tutto il libro non fa che mostrarne l’ipocrisia, la doppia morale, la meschinità. Mi pare che la parola che ritorna di più nel libro sia “schizofrenia”. La vecchia guardia è composta da vegliardi incendiari (le «vecchie trombette»), mentre i più giovani si sentono incaricati di essere seriosi («giovani tromboni»). Predicano tutti qualcosa che non mettono in pratica. Per questo, il ronzio del chiacchiericcio – polemiche, slogan, sparate – forma un assordante vuoto. Mi pare che i maggiori bersagli siano Eco («qualcuno ricorda sue dure prese di posizione contro il partito a lui vicino?»), Asor Rosa, la Tamaro, Camilleri, Saviano e tutti quelli che «possono fare gli apocalittici, nei toni, ma sono ben integrati». Quando si rifà al più emblematico e inarrivabile degli intellettuali, Pasolini, non ho potuto non ripensare al fatto che non abbia mai scritto un Grande Romanzo. Mi ha sorpreso ritrovarmi ad essere d’accordo con uno scrittore che neanche amo, Moravia, che qui viene citato quando ragionò sulla parola “intellettuale”: «si è deteriorata col tempo, si è caricata di significati negativi che prima non aveva: oggi è quasi un insulto e non c’è persona che sentendosela affibbiare non provi l’impulso di protestare».
CR: Ho letto Intellettuali del piffero velocemente; un libro che ha il pregio evidente di lasciarsi leggere: scorrevole, uno stile disinvolto, editorialistico nel senso migliore del termine. Ma questo è uno dei pochi, pochissimi pregi che gli attribuisco. Per il resto non mi è piaciuto quasi in niente. Ma provo a argomentare seguendo quello che dici.
Parto dal fatto che vengo citato. Preferirei glissare, ma può essere utile per chiarire da subito che il punto di vista da cui parlo non è neutro. Mastrantonio fa il mio nome tre quattro volte, consegnandomi a giudizi polari. In un caso sono una specie di piccolo pontificatore che lancia i suoi decaloghi per il giornalismo culturale «manco fosse Mosè», in un altro sono invece uno dei pochi critici abbastanza schietto e iconoclastico da stigmatizzare pesantemente il Veltroni scrittore e intellettuale, e al tempo stesso uno capace di scrivere una bella poesia sui giovani precocemente invecchiati nelle loro meschine ambizioni culturali. Cosa se ne ricava? Qual è il giudizio che un lettore si forma sulle mie posizioni culturali o politiche? L’errore di Mastrantonio è per me un errore preventivo, di prospettiva.
Come dici tu, per Mastrantonio gli intellettuali oggi combattono battaglie per avere un posto al sole. Come è umano, certo: vogliono essere ascoltati. Vogliamo fare le pulci agli intellettuali vanitosi? È questo un libro necessario? A me viene da dire: non mi interessa essere ascoltato così. Non condivido per nulla le premesse di Mastrantonio. Non mi interessa far parte di un dibattito che trovi i suoi bersagli, gli intellettuali del piffero proponendo nomi e cognomi (nonostante appunto faccio nomi e cognomi), quanto capire e destrutturare i vizi intellettuali. Per essere chiari: mi interessano i peccati e non i peccatori. Ti posso per esempio dire che con Veltroni, dopo averlo pesantemente stroncato in ogni sua prova letteraria, mi sono scritto e abbiamo discusso onestamente, gli ho confermato che penso che sia uno scrittore che finora ha scritto cose mediocri, ma che se vuole mi piacerebbe continuare a discutere con lui dei motivi di questo mio giudizio. Non lecco il culo, ma non mi va nemmeno di mettere alla berlina. Non ci provo gusto. E se qualcuno mi critica cum juicio, sono contento.
Ti faccio l’esempio di due atteggiamenti che avrei voluto trovare in un libro come questo, che fa dell’onestà intellettuale la sua bussola morale. L’autocritica e l’ermeneutica. Non ci sono, e sono assenze pesanti. A leggere il lungo elenco che Mastrantonio infila di intellettuali ipocriti, enfatici, professionisti dell’impegno a gettone, dei giornalisti moralizzatori contraddittori che un giorno predicano bene e il giorno dopo razzolano malissimo, si trovano i nomi che era prevedibile che facesse. La mancanza di autocritica vuole dire che Mastrantonio non parla di sé, dei suoi ricatti subiti o magari perpetrati, e non nomina nemmeno uno di tutti i giornalisti del giornale in forze al Corriere, condita invece da elogi anche al proprio direttore, Ferruccio De Bortoli, artefice dell’operazione Fallaci.
Cosa mi interessa criticare le sclerosi intellettuali della compagine degli editorialisti di Repubblica se questo non serve a stigmatizzare una moda del pensiero e non la rosa allargata dei collaboratori del giornale concorrente?
Ma la questione principale per me non è nemmeno il gioco a chi è più puro. Quanto il fatto che Mastrantonio scelga di fare il catalogo, la mappatura della storia recente delle polemiche letterarie, ridicolizzi la moda degli appelli, del clicktivism, degli intellettuali organici che flirtano con il potere o con le sue versioni fantasmatiche o parodistiche: questo a che pro? Per fare un rosario di meschinità recenti? Mi sarebbe piaciuto che Mastrantonio avesse fatto della critica culturale strutturale non della superficie, trovando sapidi titoletti ai paragrafi. Mi sarebbe piaciuto, anzi credo che fosse dovuto alla sua pretesa di critica intellettuale di secondo livello, che avesse affrontato le problematiche del femminismo degli ultimi vent’anni non riducendolo a una macchietta, che si fosse posto il problema del rapporto tra impegno politico e ruolo dell’intellettuale non citando come una foglia di fico Aron contro Sartre, ma analizzando chi quelle contraddizioni ha cercato di viverle in modo ogni volta ripensato. Anche rispetto al panorama internazionale è assolutamente carente: guardiamo la bibliografia: davvero il dibattito culturale italiano è ridotto a una critica dell’Italietta, e non può essere utile servirsi di autori e analisi internazionali? E nello specifico: davvero di Fofi è interessante solo quella volta che fece la banderuola? Davvero TQ può essere rubricata a un giochino di quarantenni nerd con la voglia di far casino e l’anima bella in tasca? E a parte quel blocco culturale che vive intorno al gruppo L’Espresso, da Repubblica a Micromega, davvero non c’è stato nient’altro di rilevante da analizzare o da criticare negli ultimi 20 anni? E la controcultura? E per fare una disamina del pensiero di Toni Negri basta ridicolizzarlo per la sua fede milanista?
E potrei continuare, anzi continuerò, ma la cosa che ti volevo dire è che l’ambizione di essere una mappa, è completamente fallimentare per me. È una descrizione che non orienta, non c’è un Nord, un Sud. È una ironica lista di proscrizione; posso essere anche d’accordo con la mediocrità intellettuale o la goffaggine morale di vari dei proscritti, ma a che mi serve? A riderne insieme a una cena?
FL: Per lavoro, conosco Luca Mastrantonio da molti anni, spesso non sono stato d’accordo con lui, come mi capita con te. C’è uno sforzo però che dovremmo fare. Confrontarci col suo libro, evitare la tipica critica del “avrei voluto che ci fosse e invece non c’è”. Mi è sempre parso un metodo scorretto di leggere i testi. È chiaro che ognuno di noi scriverebbe un libro diverso dal suo.
Dico questo perché mi ha colpito che avresti voluto un elenco di cose buone fatte Goffredo Fofi. Vale sempre la regola che una notizia è l’uomo che morde il cane e non il cane che morde l’uomo. Ci mancherebbe che Fofi non avesse pensato o detto cose interessanti (se ne può parlare all’infinito), ma la notizia è un’altra. Spieghiamola. Fofi iniziò a collaborare con “Panorama” e da sinistra lo accusarono di scrivere su un giornale berlusconiano. Si giustificò. Disse che gli intellettuali «amano distinguere accanitamente e con minuzia casistica tra “padrone” e “padrone”, convinti della superiorità del loro su quelli altrui; e naturalmente della portata straordinariamente morale del lavoro svolto da loro padrone del momento, e straordinariamente immorale di quella svolta dal rivale o dai rivali del loro padrone del momento». Passa il tempo. E quando Alfonso Berardinelli iniziò a collaborare col Foglio, nel 2006, venne attaccato proprio da Fofi, che gli tolse il saluto e cominciò a insegnare ai suoi giovani seguaci «che io – scrisse Berardinelli – sono un uomo senza morale, malato del peggiore dei vizi, il narcisismo». È innegabile il commento di Mastrantonio: «spesso gli alibi che ci si costruisce e ci si concede, che reggano o meno non conta, poi non vengono accordati agli altri».
Ti potrà sembrare inutile fare le pulci agli intellettuali e coglierli in fallo. Ma per quel che riguarda il dibattito intellettuale secondo me confrontare ciò che si dice con ciò che si fa è di massima importanza (per il semplice fatto, forse, che è utile vedere che tutti sono seduti dalla parte del torto). Mi fido di un chirurgo che fuma, ma non di un intellettuale che ragiona male. E ancora meno di chi ragiona male e pensa anche di essere nel giusto. Sarà che mi sono formato su Louis Althusser, che poi strangolò la moglie.
Sul rischio che lo stile giornalistico del libro possa essere troppo appiattito sulle discussioni che denuncia sono d’accordo. E tuttavia, nel caso di Galimberti e Augias, colti a plagiare e ancora lì a pontificare, a me va benissimo che vengano liquidati solo con una battuta: “la coppia di fatto del copia e incolla”. Esaurisce tutto quello che c’è da dire su di loro. Non meritano più attenzione di questa specie di torta in faccia.
Chiudo. Che Saviano abbia suggerito un legame tra le dimissioni di Ratzinger e la campagna elettorale italiana è gravissimo (oltre che comico, ok). Se un garzone in una pizzeria facesse un errore di questa grandezza sarebbe licenziato, lui è un santone. Non ti sembra un problema? Per me è stato doloroso dover ricordare che Umberto Eco non ha soltanto distinto tra sintagmi performati, catacresi, e metafore inventive (cosa per cui andrebbe omaggiato quando morirà), ma ha anche fatto quella che Mastrantonio chiama «una profezia in stile Maya». Fu uno degli attori del referendum morale contro Berlusconi, prevedendo che se avesse vinto «lo stesso padrone avrebbe per proprietà privata tre reti televisive e per controllo politico le altre tre», in breve «si avrebbe un regime di fatto».
Insomma, avresti voluto un libro più complesso e polifonico. Io no. Io mi sono così amareggiato che quasi preferivo non finirlo. Anzi, fammi una promessa. La prossima volta, se ci sarà, torniamo a parlare di romanzi.
CR: Provo a essere più chiaro. Il libro di Mastrantonio fa le pulci a certi atteggiamenti incoerenti. A me sembra una critica di basso livello. Perché non si focalizza sulle pecche intellettuali ma su certe meschinità personali. Sono ancora più chiaro: se Fofi un giorno se n’è uscito scagliandosi contro Belardinelli per il suo flirtare con i giornali di destra e poi scrive su Panorama, se Asor Rosa ha un villino in Val d’Orcia, posso irritarmi per il loro razzolare male, ma ti dirò in definitiva, m’interessa poco. M’interessa capire se i loro libri siano stati importanti, se la qualità di ciò che hanno scritto negli ultimi anni è scaduta, altrimenti è Dagospia, una Dagospia raffinata ma pur sempre il desiderio di lanciare nel mucchio piccole fiale di veleno alla Dagospia.
Ti faccio un esempio ancora più preciso: ridurre Fofi a una battuta velenosa è ingeneroso, vuol dire misconoscere l’enorme lavoro critico, di militanza, di divulgazione personale e di tutte le riviste, le case editrici, che ha accompagnato in questi anni. Criticare Travaglio sull’incoerenza è veramente limitante. Non è un ragionamento su “ciò che avrei voluto trovare”, ma su quello che promette questo libro: una critica intellettuale a degli intellettuali. È invece un’incursione storica che non utilizza mai un approfondimento sul piano della critica politica, economica, sociale, linguistica, etc… E facendo questo si perde il confronto veramente critico con le grandi questioni culturali e politiche degli ultimi anni. Stavo rileggendo negli ultimi giorni la vicenda biografica e intellettuale di Silone. Ora rispetto alla sua figura complessa, posso operare in due modi: riconoscere questa complessità, la forza delle sue analisi, gli slanci e i suoi compromessi, il suo rapporto con il socialismo post-giolittiano, quello con Bordiga e Gramsci, il suo “esilio” nella letteratura, il suo impegno nella neonata Repubblica etc… oppure posso raccontare Silone a partire dai documenti emersi recentemente che mostrano come in alcuni anni, forse, per salvare il fratello, sotto il regime fascista, forse la sua militanza antifascista ebbe molti buchi, e addirittura forse fece per qualche anno la spia. È utile questo lavoro? Forse. Per le ricostruzioni storiografiche e per capire che i puri sulla Terra non esistono. A me è molto più utile capire se Fontamara o Vino e Pane sono, come sosteneva appunto Camus, dei libri degni di un Nobel che lui – a suo dire – gli avrebbe girato. Se il socialismo può essere una fede politica a cui oggi ha ancora un senso tendere.
Speravo di trovarci questo sguardo dall’alto, che fosse pietoso con le meschinità degli uomini e impietoso con certe loro idee, ho trovato il contrario.
Anche io conosco Luca personalmente, mi ha anche invitato alla serata a Bookcity ispirata a questo suo libro in cui a vari scrittori verrà chiesto di fare una specie di rito catartico ognuno contro il suo intellettuale del piffero. Gli dirò di no. Parlerei male di me stesso per venti minuti e non sarebbe interessante, credo. Ma, ora, certo, mi rendo conto che questa nettezza delle mie parole gli potrà sembrare urticante, ma mi piacerebbe che la prossima volta che ci vedremo e ci sentiremo, partissimo da un confronto anche aspro su alcune scelte che facciamo anche rispetto alle nostre vite e non soltanto con un gioco al massacro intellettualmente raffinato.