Emergenza o allarmismoGhettizzare gli immigrati aiuta la diffusione della tbc

L’Italia resta un Paese a basso contagio

Nel corso dei secoli si è portata via milioni di persone, tra cui alcuni nomi illustri come ad esempio Franz Kafka, Cosimo II de’ Medici, George Orwell, Madame de Pompadour, H.D. Thoreau , Eleonor Roosvelt, Enrico VII d’Inghilterra, Friedrich Schiller. Nei teatri è responsabile della morte, tra gli altri, di Violetta nella Traviata e di Mimì nella Boheme. Quando la tubercolosi, in passato chiamata tisi o “mal sottile”, dalle pagine di storia passa a quelle di cronaca fa riecheggiare paure ataviche.

Nel 2013 l’Italia, con una media di circa 7,5 casi ogni 100 mila persone, è tra i Paesi a bassa epidemia (sotto cioè i dieci casi su 100mila). Alcune aree dello Stivale sono più a rischio, in particolare le metropoli dove è maggiore la presenza di immigrati, come Roma e Milano. Il capoluogo lombardo in particolare ha un tasso di 18,6 malati di tbc ogni 100mila abitanti e nell’ultimo anno ha registrato 400 casi, il 72% dei quali riguarda cittadini stranieri. Per fortuna oggi, a differenza che in passato, la malattia è facilmente curabile se presa per tempo. Solo in un caso su dieci l’infezione latente si sviluppa in tbc e, anche allora, la malattia è letale in una percentuale minoritaria. A rischio in particolare gli anziani: gli over 65 rappresentano l’85% dei decessi. Ma più che i numeri a fare paura sono i fatti di cronaca.

A Milano questo autunno hanno contratto la tbc alcuni bambini di una scuola media e anche due studenti stranieri della facoltà di scienze politiche dell’Università Statale. Immediatamente sono scattati i controlli e le cure, che pare si trovino a fronteggiare un ceppo particolarmente resistente proveniente dall’Est Europa, per isolare chi ha contratto la malattia. Ma la preoccupazione già sta dilagando – anche per il ricordo di quanto accadde nel 2011, quando alla scuola elementare Leonardo da Vinci contrassero la tubercolosi più di una decina di alunni. Si inizia a parlare di “emergenza tbc” e qualcuno si chiede quanta responsabilità abbiano gli immigrati nel ruolo di “untori”.

«I casi di tubercolosi in assoluto stanno calando in modo lento ma costante negli ultimi 15-20 anni», rassicura il dottor Maurizio Ferrarese, medico pneumologo del Centro Regionale per la Tubercolosi di Milano. «Tra la fine degli anni Ottanta e quella degli anni Novanta c’è stato un aumento tra gli stranieri, che ha compensato il calo sensibile tra gli italiani, quindi nel complesso la diminuzione è stata meno marcata. Ma – sottolinea – l’attuale proporzione tra malati italiani e stranieri rispecchia un andamento comune agli Stati europei».

Gli ultimi anni hanno comunque visto un calo dei casi di tbc anche tra immigrati. «Col tempo aumenta il numero di chi si integra – prosegue Ferrarese – e vive in condizioni più dignitose, a minore rischio di contagio. Vivere in un ambiente “sano” riduce anche il rischio che una malattia allo stato dormiente si risvegli. Inoltre, a causa della crisi economica, si sta anche riducendo il flusso di migranti. I casi di cronaca recente non parlano di un aumento dei casi ma di mini-epidemie».

Contrariamente a quanto potrebbe sembrare, questo è un segnale positivo. «Questo fenomeno è tipico dei Paesi con alti standard sanitari, ci si accorge di queste mini-epidemie proprio perché non si ha un fenomeno quotidiano, come invece avviene nei Paesi meno sviluppati, o come accadeva in Italia fino a 40 anni fa. Se queste mini-epidemie capitano a Città del Capo nemmeno se ne parla». Da noi invece ha destato preoccupazione il fatto che fossero coinvolte delle comunità scolastiche. «Bisogna distinguere – spiega ancora Ferrarese – due diverse situazioni: nel caso degli studenti universitari, non è nemmeno sicuro che siano due casi collegati, potrebbe anche darsi che abbiano contratto la malattia in luoghi differenti e che il ceppo che li abbia infettati non sia lo stesso, quindi potrebbe non essere una mini-epidemia. Si stanno facendo degli esami per stabilirlo. Nel caso della scuola media invece è stato appurato che si tratta di casi collegati e ora si stanno facendo delle ricerche, anche di carattere investigativo, per capire chi potrebbe aver infettato il primo bambino delle medie che poi ha fatto involontariamente da vettore».

«Per quanto riguarda le politiche migratorie – dice Ferrarese – è importante fare interventi mirati (non tutti gli immigrati sono ugualmente esposti al rischio di tbc, dipende molto dal paese di origine) per informare e prevenire, per accogliere ai primi sintomi i pazienti e per dare una giusta diagnosi e una terapia adeguata». Fondamentale quindi una politica accogliente e che non respinga i migranti – specialmente gli irregolari – che temono di avere contratto la malattia.

«Qualche anno fa era stata ventilata l’ipotesi che i medici potessero denunciare gli immigrati clandestini. Il provvedimento poi non fu emanato ma anche solo parlarne ha prodotto degli effetti negativi: all’epoca si vide un calo degli stranieri che venivano a farsi curare, e anche quelli che venivano erano spaventati e non sapevano se fidarsi di noi. Ora la situazione sembrerebbe rientrata, anche se – conclude Ferrarese – non è escluso che si sia creato un effetto strascico per cui alcuni immigrati preferiscono rivolgersi alle associazioni di volontariato piuttosto che al medico curante, a cui pure avrebbero diritto».

I numeri del Naga, associazione di volontariato che dal 1987 offre assistenza sanitaria, legale e sociale gratuita a cittadini stranieri irregolari e non, confermano questo sospetto. Ogni giorno sono circa 80 gli immigrati senza permesso di soggiorno che si rivolgono alla struttura di via Zamenhof a Milano e l’ambulatorio medico effettua circa 15 mila visite l’anno. E, dalle loro ricerche oltre che dalla loro esperienza, la teoria del “immigrato-untore” ne esce molto ridimensionata.

Uno studio condotto nel 2009 su un migliaio di casi di pazienti stranieri del Naga, comparati con un migliaio di casi di pazienti italiani dell’ambulatorio di Medicina Generale di Monza, ha anzi confermato la teoria del “migrante-sano”. Stefano Dalla Valle, medico della direzione sanitaria del Naga e coautore della ricerca rileva che, trattando di immigrati, «ci troviamo di fronte ad una popolazione sostanzialmente giovane e sana su cui vanno a incidere fattori di rischio comuni in situazioni di povertà. Le precarie condizioni di vita, di lavoro, la mancanza di informazioni e lo scarso accesso alle strutture sanitarie gravano pesantemente sul benessere dei migranti, portando a esaurimento il “patrimonio di salute” di cui l’immigrato è portatore. L’erosione nel nostro Paese di questo patrimonio di salute ci sembra il fattore più rilevante e grave, non il pericolo di diffusione di malattie nei confronti dei cittadini italiani».

Guardando ai dati del ministero della Salute, relativi al decennio 1998-2008, la teoria del “migrante-sano” sembra trovare conferma anche in riferimento alla tubercolosi. Sono in calo negli ultimi anni i casi di immigrati che si ammalano entro i primi due anni dal loro arrivo in Italia (fino al 2007 erano il 50% del totale tra le persone nate all’estero, ora sono circa il 40%) e in aumento quelli che si ammalano dopo cinque anni (già nel 2008 passati dal 29% al 38%). Segno che ad essere determinante non è più tanto il colore della pelle o il Paese di origine, quanto la condizione di povertà ed emarginazione che spesso si trovano a vivere in Italia.

X