Benvenuti alla prima puntata della mia rubrica intitolata «A caso letterario». Come forse già sapete, due settimane fa mi sono infilato in un bel ginepraio: grazie all’aiuto e alla specchiata imparzialità di Giulio D’Antona, mi sono bendato e ho scelto a caso tre libri dalle mie librerie di casa (e c’è un Vine che può dimostrarlo!). L’idea, adesso, è quella di parlare di tutti questi libri, di attraversarli trovando le cose che hanno in comune. Perché il punto di partenza è questo: un libro significa solo in connessione con altri libri e con i lettori.
«Bravo sburone», mi ha detto mia nonna l’altro giorno. «E se ti capitano dei libri che non c’entrano nulla l’uno con l’altro? E se ci fai una figura di merda?»
«Questo lasciamolo decidere ai lettori de Linkiesta, nonna.»
«Lincosa?»
Vabbé. Ecco i tre titoli che mi sono capitati in sorte.
Carlo Emilio Gadda – L’Adalgisa (Adelphi)
David Foenkinos – La delicatezza (E/O)
Joe Matt– Poor Bastard (Coconino)
Dell’Adalgisa mi sono innamorato più di un anno fa quando, una domenica mattina prestissimo, il miglior lettore ad alta voce che abbia mai avuto il piacere di ascoltare, e cioè Marco Rossari, leggeva dei brani di Gadda alla libreria Centofiori di Milano. Un vero spettacolo. La delicatezza di David Foenkinos non l’avevo mai letto ma ricordo bene un altro suo libro, Le nostre separazioni, che consiglio continuamente di leggere perché è una bomba. Poor bastard invece è una graphic novel che raccoglie sei episodi del comic book di Joe Matt, Peepshow, dove l’autore racconta in prima persona la sua orribile quotidianità fatta di pornografia, pomeriggi di fancazzismo e aspettative femminili troppo alte per essere vere. Quindi?
Quindi iniziamo. Nel 1944 il signor Ballo, della casa editrice milanese Rosa e Ballo, scrisse a Gadda dicendogli: “Perché non mi fa un libro di sole note? Variazioni senza tema?”. E Gadda rispose: “Davvero mi suggerisce un’idea che mi si attaglia… Oh se si potesse lavorare con un minimo di serenità!” Un libro di sole note, eh? Per nota io intendo un approfondimento pertinente ma non rilevante narrativamente al testo. Un libro funziona, o dovrebbe funzionare, anche se non leggo le note (soprattutto quando, invece che a piè di pagina, le mettono inspiegabilmente tutte in fondo al libro). Un qualcosa in più che presuppone un doppio livello di lettura. Ma se provi a fare le note senza il libro, le variazioni senza il tema, che succede? Se scrivi solo il secondo livello di lettura, togliendogli la sedia da sotto al culo?
Beh, anzitutto viene fuori L’Adalgisa. Sia dal punto di vista del tema trattato – note alla milanesità, discorsi attorno a una società già conosciuta dal lettore o comunque data per acquisita dall’autore – sia dal punto di vista del linguaggio – a pensarci, la pirotecnìa linguistica di questo libro sembra una nota alla lingua, un approfondimento e una variazione sintattica e semantica.
Ma viene fuori anche Poor Bastard. Perché di fatto Poor Bastard è una raccolta di fumetti tratti da un comic book che si chiama Peep Show, e il peep show è uno strumento che permette di vedere una serie di immagini o oggetti attraverso un foro o una lente d’ingrandimento. Un secondo livello di lettura (mostraggio, più che montaggio) che presuppone il primo, uno sguardo esterno, pertinente ma non narrativamente rilevante, a una cosa che non viene mostrata, perché nel peep show l’argomento non è chi guarda, né chi viene guardato. È la possibilità di uno sguardo su una cosa che esiste a prescindere dallo sguardo stesso. La vita di Joe Matt esiste senza di noi, non è costruita per farci i fumetti ma viene piuttosto ri-costruita attraverso il peep show, una nota a piè pagina in legno e vetro, una variazione steampunk della quotidianità di un fumettista.
E Foenkinos? In Foenkinos c’è l’omonima delicatezza. In una storia di perdite – muore il giovane marito della protagonista – e di incontri – il suo nuovo amore è un tipo sfigatissimo – la delicatezza è una nota al libro, un postsupposto piuttosto che un presupposto. Non serve, nel senso narrativo ed economico del termine, ma c’è.
Ecco, questi tre libri, scelti a caso da una libreria, non servono ma ci sono. E la loro esistenza, agli occhi di chi li legge, ribatte ancora una volta, caso mai servisse, il più grande attributo della letteratura. La sua inutilità.