Elogio del Partito democratico

Debole, scalcinato e precario ma...

Da una parte ci sono gli umori neri, le viscere di un’Italia che sempre ha bisogno di vivere una vita al disopra del rigo, di affidarsi, folla bovina e oceanica, più al carisma di un singolo individuo, un duce eccezionale e mostruoso, inamovibile, che alla fatica democratica di un’idea.
Dall’altra parte c’è un mondo affaticato e imperfetto, spesso vittima di sé stesso e delle sue cospicue passioni, così tormentato e contraddittorio, generoso e dubbioso, incline alla polifonia delle opinioni, da apparire debole, scalcinato, precario.

E insomma in Italia la materia della politica si è molto semplificata. Il populismo di Silvio Berlusconi è ormai declinato al plurale, è diventato “i populismi” di Berlusconi e di Beppe Grillo, mentre ciò che resta di una democrazia rappresentativa occidentale di tipo classico – per non dire normale – si ritrova spaurita e confinata in quel Partito democratico, così fragile e pieno di difetti, che oggi si espone al rito sublime e liberale delle primarie per la scelta del suo segretario.

Grillo rimescola a mani nude nell’istintualità bestiale degli italiani, governa un non partito che si orienta a seconda delle piroette messianiche del suo strano e magico leader. E come Berlusconi, anche Grillo annulla la distanza emotiva tra rappresentanti e rappresentati, completa con toni di farsesca violenza l’involuta torsione democratica che il Cavaliere, cinico e giocoso (mai violento), ha inaugurato dal giorno della sua discesa in campo nel 1994: si governa con i sondaggi d’opinione, non conta ciò che si fa ma ciò che si dice, e ciò che si dice sempre corrisponde agli umori più elementari e brutali del popolo, una massa che non va guidata e aiutata a vivere meglio, ma va assecondata, blandita, utilizzata per un fine remoto e incognito come la personale presa del potere. La percussione delle parole di Grillo e Berlusconi, in Italia, è sintomatica.

E dunque da una parte ci sono due energici settantenni, padri e padroni, miracolosi e ammalianti, circondati da anonimi, afoni cortigiani dalle lingue di fuoco e da un popolo esagitato, una massa esasperata nel paese dei mille imbrogli, delle ruberie di stato, del capitalismo parassitario. Un popolo vittima, che si accontenta, come ogni folla sin dai tempi di Manzoni, che gli siano indicati dei nemici da insolentire e mettere alla gogna, degli eroi da celebrare, massa amorfa e irrazionale, pronta alla ferocia e alla misericordia, a detestare e adorare, come nella Milano dei Promessi Sposi. Leggete e confrontate:

“Viva e moia, son le parole che mandan fuori più volentieri; e chi è riuscito a persuaderli che un tale non meriti d’essere squartato,
non ha bisogno di spender più parole per convincerli che sia degno d’essere portato in trionfo”.

Dall’altra parte ci sono invece i volti di Pippo Civati, Gianni Cuperlo e Matteo Renzi, la fatica della democrazia, delle idee, degli orizzonti contrapposti, della pugna elettorale, del confronto dialettico che pure si riassume alla fine in un’unica bandiera e solidale; perché stasera sarà soltanto uno il segretario del Pd, ma sarà il segretario di tutti, e se avrà vinto sarà anche grazie allo stimolo dei suoi avversari interni, alla qualità dei punti di vista, dei modelli che hanno spinto migliaia di persone verso i gazebo delle primarie. Una ricchezza e una molteplicità di suoni ancora più preziosa perché unica nell’Italia dei partiti padronali, delle satrapie personali, anche minuscole, residuali, come in passato sono stati l’Udc di Pier Ferdinando Casini o l’Idv di Antonio Di Pietro.

Il Pd è l’unico vero partito d’Italia, e nel senso più nobile della parola, un’organizzazione che ancora sa modulare un arcobaleno di toni e di sfumature nella greve Italia in cui tutto o è bianco o è nero, nel povero paese in cui Grillo, come i camorristi e i vecchi fascisti, vorrebbe annullare i giornalisti antipatizzanti, mettere alla gogna la difformità, quel pluralismo persino eccessivo che è invece la ricchezza del Pd. E certo Renzi, che forse stasera uscirà vincitore, è uomo di grande carisma, spinto da una visione personalizzante della politica e del partito, un prodotto del bipolarismo muscolare, del marketing politico televisivo che taluni paragonano al catodico fascino berlusconiano. Ma se Renzi (o Civati o Cuperlo) stasera avrà vinto, non sarà il padrone del partito, sarà l’uomo migliore che il partito esprime e sarà dunque il suo leader (non a vita) per volontà democratica, come lo sono stati Tony Blair e Margaret Tatcher in Gran Bretagna, Bill Clinton e John Fitzgerald Kennedy negli Stati Uniti.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club