E per una volta sono d’accordo, sia Renzi sia D’Alema lo ripetono a sé stessi e agli altri, in pubblico e in privato, come fosse una formula magica, il codice di un rito apotropaico, una scaramanzia, «attenti, Berlusconi è ancora in campo». Condannato, decaduto, interdetto, tra qualche settimana il Cavaliere sparirà risucchiato nel cono d’ombra dei servizi sociali, simulacro del carcere, non potrà parlare, apparire in televisione, rilasciare interviste. Eppure la sua assenza già incombe sugli avversari e sul destino di Enrico Letta, sulle vaghezze di Giorgio Napolitano e le ambizioni di Matteo Renzi, e lo fa con le parvenze dell’incubo.
«La sua esclusione dal Parlamento non significa la sua esclusione dalla vita politica», ha detto ieri Massimo D’Alema, turbato, al Corriere della Sera. «Anzi», ha aggiunto D’Alema sotto i baffi, «penso che in questo momento vi sia persino un moto emotivo di solidarietà nei suoi confronti. I sondaggi lo danno in crescita di popolarità». E d’altra parte nessuno, a sinistra, ha la sensazione di aver conquistato una vittoria piena, inebriante, che scorre impetuosa nelle vene con un tremito di piacere sensuale. «È ancora lì», sussurrano. Dunque ecco lo spettro del Cavaliere disarcionato che torna ad animare i sogni, le parole e i pensieri dei suoi avversari e persecutori.
«Il morto s’è fatto vivo», ironizzano in questi giorni nei corridoi del Pd, e insomma il nome di Berlusconi non abbandona i discorsi e l’immaginazione di D’Alema e di Renzi, di Letta e di Napolitano, di Vendola e di Grillo, ma anzi, come il fantasma di Banquo torturava Macbeth, gli si faceva di fronte, morto eppure vivo, orribilmente coperto di sangue, così anche Berlusconi non abbandona la fantasia dei suoi nemici, ma anzi la squassa d’incertezze e di paure. E i parlamentari del Partito democratico sorridono, scherzano, parlano del Cavaliere sconfitto ma con un torbido velo d’incertezza nello sguardo, «in un Paese normale avremmo aspettato la decisione della Corte costituzionale prima di espellerlo dal Senato», si tortura ancora Francesco Boccia; e insomma nel Pd offrono come l’impressione di voler scacciare un’idea che gli dà il tormento, il sospetto velenoso di aver avuto troppa fretta, di aver sbagliato i tempi, come dice Pier Ferdinando Casini, perché Berlusconi «sarebbe decaduto lo stesso, bastava aspettare. Invece adesso, votando, lo abbiamo trasformato in un cadavere politico di straordinaria potenza». E in tanti nel centrosinistra, in questo esercito vanamente agguerrito e nemmeno troppo persuaso, hanno riconosciuto nel voto sulla decadenza una rapidità, una frettolosità crudele, inappuntabilmente lugubre anziché pia. «Un regalo a Berlusconi».
«Siamo in piedi e faremo vedere i sorci verdi a tutti», ruggisce Maurizio Gasparri. Daniela Santanchè prepara un referendum per l’uscita dall’euro, Daniele Capezzone studia il peggio della letteratura euroscettica internazionale, e si profila dunque una lunga, tesa, tremenda campagna elettorale in stato perenne di crisi istituzionale ed economica, con Palazzo Chigi e il Quirinale sotto assedio, e il Pd ancora imbambolato per l’inevitabile vittoria di Matteo Renzi.
È questo che D’Alema e Letta, Renzi e Napolitano, capiscono con un brivido di terrore che attraversa loro la schiena, perché i sondaggi di Forza Italia, come mormora D’Alema, vanno pericolosamente verso l’alto. E dunque il Cavaliere riassume in sé la tragedia d’un mondo al crepuscolo, eppure ancora capace di scalciare e tormentare nemici e antipatizzanti, far vendetta degli sgarri subìti, costringere l’Italia politica, ancora una volta, fosse pure l’ultima, a saltare nei suoi cerchi di fuoco: la pugna elettorale, la campagna euroscettica, l’assedio alla rocca del Quirinale, la dolce idea d’una rivolta fiscale, il referendum contro la moneta unica, l’ultima e più densa schiuma del populismo d’Italia.
Berlusconi pensa alle elezioni anticipate con la smania di chi attende il miracolo, consapevole che i miracoli accadono purché li desideriamo davvero; drammatico Sansone non ha difficoltà a giocare la sua ultima partita anche a rischio di trascinare giù con sé ogni cosa, fosse anche un’intera nazione. Con il suo spirito versatile, chiassoso, ribaldo, un tantino rodomontesco, il Cavaliere è più debole di un tempo ma ancora capace di mordere, minacciare, abbattere tutto anche fosse per non ricostruire più nulla sulle macerie. Legato alla politica da una sorta di passione e desolazione, Berlusconi ha mutato inclinazione e orizzonti dopo aver corso gli ultimi mesi in un vuoto affanno.
La condanna, lo stringersi del cappio giudiziario e infine la sua espulsione dal Senato sono bastati a soffocare la passione, cambiandola in paura e rancore. E adesso, raccontano i suoi vecchi cortigiani, nemmeno l’ombroso cono dei servizi sociali, nemmeno la solitudine e il silenzio coatti, l’obbligo di non parlare, non apparire in tv, non rilasciare interviste se non autorizzate, satureranno la sua sete di disordine. E l’ultima battaglia sarà anche la più terribile. Berlusconi ha sempre lottato per la sua felicità privata in una prospettiva di fughe sempre nuove, temerarie, talvolta inutili, più spesso efficaci, come in un’adolescenza riottosa. Così adesso, nel suo letto di pena, nel suo carcere domiciliare, si prepara a spolverare la furia d’antico sovrano guerriero. Un’ombra costretta al silenzio, un prigioniero espulso dal Parlamento, forse un carcerato, un fantasma, ma pur sempre pericoloso, ancora capace, nella solitudine delle sue selvatiche fantasticherie, di spaventare e mordere con denti canini.