L’azione di trasparenza finanziaria intrapresa dal Vaticano e la denuncia di fenomeni di corruzione anche dentro la Chiesa possono trasformarsi in un pericolo per la stessa vita del Papa? La questione, per la prima volta in modo chiaro, è stata posta da un esperto della materia, il giudice Nicola Gratteri impegnato da tempo contro la ‘ndrangheta ma anche studioso del fenomeno criminale. Qualche boss si sta innervosendo, ha spiegato il magistrato; la lotta contro il riciclaggio del denaro sporco all’interno delle strutture finanziarie della Santa Sede sta suscitando malumori, senza contare che una parte della Chiesa è assai vicina agli ambienti mafiosi, in particolare in Calabria. La questione in realtà è complessa, ma una cosa è certa: il Papa è un nemico delle mafie non solo da quando è stato eletto al Soglio di Pietro. Su questo fronte si era già schierato da arcivescovo di Buenos Aires. E poi temi come il contrasto al narcotraffico, alla prostituzione, alla tratta delle persone, all’adorazione «della dea tangente», sono stati toccati più volte da Bergoglio in questi nove mesi di pontificato. Lo stesso richiamo a quei cristiani che danno soldi alla Chiesa ma poi derubano «lo Stato, i poveri», è stato letto con fastidio in certi ambienti.
Secondo un sacerdote come don Giacomo Panizza, da molti anni attivo in Calabria nel contrasto alla ‘ndrangheta, un pericolo diretto per il Papa in questo momento «non si sente, io almeno non lo vedo». Tuttavia quella imboccata da Francesco – spiega don Panizza a Linkiesta – «è la strada giusta. I temi della legalità, della libertà, della democrazia, sono importanti, s’incontrano con l’umanesimo cristiano, su questo c’è condivisione fra credenti e non credenti». Il Papa, rileva il sacerdote, «ha sostituito il dogma della verità con il dogma dell’amore che è il più importante, significa aiutare l’altro, amare l’altro, costruire relazioni umane». Secondo don Panizza, però, i boss sono persone molto concrete, per loro contano solo gli affari, gli interessi, se non vengono toccati quelli, i capi clan non si muovono. In quanto alla Chiesa calabrese e a una certa connivenza con la criminalità, «le cose ora stanno cominciando a cambiare, ma parliamo degli ultimi due tre anni», il cammino è ancora lungo e il problema esiste ancora.
Il tema del rapporto fra crimini e affari diventa dunque decisivo. In questo senso bisogna tener presente che le varie mafie,‘ndrangheta compresa, agiscono ormai su un piano internazionale. Il traffico di droga, di armi, di migranti, il racket e la prostituzione, sono solo alcune delle voci che coinvolgono i grandi network criminali del mondo: da Cosa nostra nelle sue varie versioni, (italiana e americana), ai narcos sudamericani alle mafie orientali a quella russa.
Uno dei problemi centrali del crimine organizzato resta la necessità di reinvestire il denaro dei vari traffici illegali in attività economiche e finanziarie più o meno pulite infiltrandosi così nell’economia legale (la ndrangheta lo ha fatto nel nord Italia e in Europa) e nella vita politica.
È in questo quadro generale che il Vaticano e lo Ior hanno nel frattempo affrontato il tema della trasparenza, pena il rischio dell’isolamento finanziario internazionale con conseguente impossibilità di spostare risorse o compiere qualsiasi operazione bancaria; la Santa Sede era infatti stata infatti inserita nella ‘black list’ dei Paesi a rischio riciclaggio. Dal momento in cui nel 2010 lo Stato della Città del Vaticano ha aderito alla convenzione monetaria europea e quindi all’euro, ha dovuto mettere in conto un progressivo adeguamento delle proprie leggi agli standard internazionali sulla trasparenza. Contestualmente sono andate avanti le indagini aperte dalla magistratura, e dalla procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone in particolare, su movimentazioni sospette di denaro passate per la banca vaticana. Se tuttavia alcuni fra i casi giudiziari più recenti non sembrano essere troppo clamorosi dal punto di vista dell’entità delle somme finite nel mirino degli inquirenti (si parla alcune decine di milioni per volta), va ricordato che in un passato non lontano indagini pesanti come quella su Angelo Balducci e lo scandalo grandi opere (la famigerata ‘cricca’) portavano dritto Oltretevere. Il tema dello Ior come buco nero della finanza illegale o para-illegale percorre del resto i lunghi decenni del dopoguerra fino ad oggi, quando per via della globalizzazione finanziaria anche Oltretevere hanno dovuto cambiare musica.
Varie volte, inoltre, giudici e Banca d’Italia hanno lamentato la mancanza di collaborazione da parte vaticana in casi di frodi finanziarie più o meno ingenti. Le cose, però, stanno cambiando in fretta e norme rigide sull’identità di chi può effettuare operazioni bancarie e quindi sulla tracciabilità dei flussi finanziari, sono state finalmente introdotte e rese operative anche allo Ior. Allo stesso tempo è iniziata una fase di collaborazione con magistratura e autorità di controllo bancarie internazionali; sotto tale profilo un importante accordo di collaborazione per il contrasto al riciclaggio e al terrorismo è stato firmato nel maggio scorso fra Vaticano e dipartimento del Tesoro Usa. Quell’accordo è stato un punto di svolta.
D’altro canto nei sacri palazzi d’Oltretevere, fino a poco tempo fa, circolavano in qualità di consultori di congregazioni, membri di fondazioni e titolari di alte onorificenze ecclesiali, schiere di laici provenienti dalla finanza, dalle banche, dall’imprenditoria, e anche dal sottobosco del potere, senza contare i diplomatici e i politici amici, i faccendieri, e vari personaggi al limite fra legalità e illegalità. Quanti di costoro hanno avuto rapporti finanziari con lo Ior o altre istituzioni ecclesiali? Su quali alleanze potevano contare in Vaticano? Forse non si avrà mai una risposta esaustiva a queste domande, ma è anche lungo tale versante che si stanno rompendo abitudini consolidate: per questo fra l’altro è in corso da qualche mese la completa revisione dei conti aperti presso lo Ior e si dice da tempo che una parte di questi sarà chiusa presto, vedremo come.
D’altro canto è anche un dato certo che le politiche sulla trasparenza stanno solo ora entrando in vigore, l’intero sistema deve essere testato, la zone d’ombra rimosse, le autorità di vigilanza di altri Paesi verificare che le cose stanno cambiando davvero. Anche per questo il secondo rapporto di Moneyval (l’organismo del Consiglio d’Europa che si occupa di antiriciclaggio e antiterrorismo) sul Vaticano uscito il 12 dicembre, pur contenendo molti giudizi positivi, resta prudente verso la Santa Sede, che la promozione piena se la deve ancora guadagnare.
Altre indagini giudiziarie, poi, relative a casi di intreccio con la malavita riguardano le molte situazioni in cui strutture ecclesiali hanno avuto a che fare con la sanità, uno dei classici collettori di denaro e malaffare in Italia. Anche qui, dall’ospedale dell’Idi dei padri concezionisti al caso recente dei padri camilliani, titolari di diverse strutture sanitarie nel mondo, stanno emergendo realtà inquietanti. Molti rivoli di corruzione interna alla Chiesa portano non di rado fino alle soglie delle mura leonine e anche oltre; troppe volte i superiori di qualche congregazione sono diventati dei manager spericolati e hanno oltrepassato il limite fra legalità e illegalità. Altrove, invece, la Chiesa ha rapporti con regimi dispotici, in Asia come in Medio Oriente, e spesso il cedimento, l’adattamento a certe realtà e protezioni, in alcuni casi le alleanze con governi autoritari, hanno aperto la porta a patti di potere fondati anche sui benefici economici (in passato fu anche il caso di vari Stati in America Latina).
La questione dunque resta complessa, del resto la Santa Sede gode ancora dello straordinario flusso di denaro proveniente dalle donazioni di fedeli di ogni ceto sociale in ogni parte del mondo. E tuttavia una volta che si è aperta la porta della trasparenza non si può tornare indietro, il sonno di molti è turbato da quello che sta avvenendo, mentre le autorità giudiziarie e bancarie italiane si chiedono se alla fine per dare inizio a una nuova e migliore stagione, le autorità vaticane non finiscano col cancellare tracce importanti di un passato non così lontano. In questo quadro però una cosa rimane certa, Bergoglio fa sul serio, vuole andare, come si dice, fino in fondo e allora la domanda è quasi inevitabile: la rivoluzione in corso costituisce un pericolo per papa Francesco? Forse è ancora presto per dirlo ma di certo, oltre le apparenze, l’allarme è scattato.