Matteo Renzi si è insediato alla segreteria del Pd, ha lanciato segnali di rispetto per la storia post-comunista e diessina affidando a Gianni Cuperlo la presidenza del partito, e ha lanciato segnali di grande attivismo politico ponendo il Partito democratico all’offensiva sulle riforme, i diritti civili, il finanziamento pubblico ai partiti e la legge elettorale. Ma tanto più la sua immagine si rafforza e cresce nei consensi (i sondaggi cominceranno a circolare da mercoledì) tanto più lo schema di gioco rischia di cambiare e farsi per lui sempre più complicato.
Renzi prova a ricompattare il Pd attorno a sè e sfida il populismo sfascista di Beppe Grillo. Ma l’ipotesi di un suo successo, in questa fase così delicata e incerta, dipende molto dall’approvazione in tempi rapidi di una riforma elettorale anche soltanto provvisoria. Solo una nuova legge elettorale con un congruo premio di maggioranza, e dunque solo la possibilità concreta di elezioni anticipate che lo incoronerebbero vincitore, renderebbe Renzi davvero forte al tavolo delle trattative sia con le forze di minoranza del governo (Angelino Alfano) sia con le opposizioni agitate di Silvio Berlusconi e Beppe Grillo. E qui entrano in gioco i sondaggi, elemento destinato a modificare gli attuali equilibri. Cosa succederà quando Berlusconi e Grillo avranno la certezza che il sistema maggioritario ed elezioni a breve termine consegnerebbero la vittoria, netta, a questo giovane, fantasioso e fresco leader della sinistra?
Non c’è dubbio che entrambi i populisti d’Italia, fino a ieri interessati al maggioritario, cambierebbero atteggiamento anche nei confronti della possibilità di elezioni anticipate.
Il pericolo di una vittoria renziana già in queste ore sta spostando la corte di Arcore verso posizioni più caute nei confronti del governo di Enrico Letta. Se fosse certa una vittoria elettorale di Renzi, Berlusconi (come Grillo) non avrebbe alcun interesse a spingere verso le urne e dunque di fatto si disimpegnerebbe totalmente dalle trattative sulla riforma elettorale di tipo maggioritario, magari diventando improvvisamente proporzionalista. Più Renzi viene trattenuto, sospeso, immerso nella palude di una grande coalizione impossibilitata dal governare, più la sua forza, che deriva dalla novità e dalla freschezza, viene annacquata. Se infatti fosse chiaro che Renzi vincerebbe le elezioni, Grillo e Berlusconi cercherebbero di allungare la vita del governo e impantanare la riforma elettorale al solo scopo di raccogliere nel loro sacco elettorale tutti gli umori neri, il viscerume e il cattiverio montante d’Italia.
Più tempo passa più Renzi è debole e più Grillo e Berlusconi guadagnano voti. Ma il segretario del Pd è perfettamente conscio del rischio, per lui letale. E sa pure di non poter contare affatto sul Nuovo centrodestra di Alfano, partito spaventatissimo dalle elezioni. Alfano e il ministro delle Riforme, Gaetano Quagliariello, legano l’ipotetica riforma elettorale all’approvazione preventiva delle riforme istituzionali che richiedono tempi lunghissimi. Vogliono prendere tempo e vedono nelle urne la loro morte politica. La posizione strumentale del Nuovo centrodestra sta preoccupando anche Giorgio Napolitano, il presidente della Repubblica che ha fatto capire di volersi fare da parte (dimettersi) anche in tempi rapidi, ma soltanto dopo aver lasciato all’Italia una nuova legge elettorale e un equilibrio stabile nel sistema istituzionale.
I pericoli per Renzi, che non controlla nemmeno i gruppi parlamentari del Pd (in mano a Dario Franceschini) sono dunque enormi. E se tra due mesi, di fronte allo stallo, cercasse, come potrebbe diventare inevitabile, di forzare la mano sulla legge elettorale, Renzi si troverebbe contro anche una parte del suo stesso partito. Lui tenterebbe la riforma con i soli voti di Pd, Sel e Scelta civiva, ma il Partito democratico lo seguirebbe? Forse no. Non tutto.
«Ha detto cose che forse mettono a rischio la tenuta del partito». Le parole di Rosy Bindi, malgrado la cautissima apertura di Massimo D’Alema («ha fatto un buon discorso»), ieri, all’assemblea del Pd, hanno destato parecchia preoccupazione. Il vecchio gruppo dirigente non è morto, è composto da personalità abilissime ed esperte nella manovra di palazzo, e rappresenta un pericolo letale per il giovane segretario. Nessuno può escludere un ultimo e decisivo colpo di coda dei rottamati. D’Alema, Bersani, Bindi e Finocchiaro per adesso stanno in silenzio, ma covano un’incontenibile e indissimulabile risentimento nei confronti del sindaco di Firenze che li ha costretti al pensionamento. Renzi cerca di contenerli e separarli dal resto del loro mondo, e per questo il segretario ha affidato la presidenza del Pd a Cuperlo (e ha instaurato buoni rapporti con il gruppo dei cosiddetti giovani turchi).
Ma cosa accadrebbe nel momento in cui il ragazzino ambizioso dovesse cercare di forzare la mano sulla legge elettorale conscio di mettere in pericolo la tenuta del governo Letta? E’ difficile immaginare che il vecchio gruppo dirigente, a quel punto, non torni a farsi sentire. Sconfitti, ma non del tutto, i rottamati sono ancora capaci di chiamare gli elettori del Pd alla difesa dei valori della sinistra contro l’arrembante e irresponsabile Renzi. A quel punto si potrebbe consumare una terribile scissione per ragioni di cinismo, e puro senso di autoconservazione, con la scusa della stabilità e della purezza culturale della sinistra. Risultato: destabilizzazione e tomba politica di Renzi. Ed è per questo che ora il segretario, per la prima volta, un po’ ha paura. «Non posso più sbagliare nulla», ha ammesso.