C’è chi le dà per moribonde, o addirittura per morte. Per ora le Province sono vive, al punto da portare lo Stato in tribunale e sconfiggerlo. Teramo ha ottenuto 15 milioni di trasferimenti arretrati, e non è la sola ad avercela fatta. Altre hanno vinto davanti ai giudici, altre ancora sperano di riuscirci in futuro. Sulla scelta di passare alle vie legali sembra influire molto la crisi, che fa soffrire istituzioni pubbliche e fornitori privati, ansiosi di essere pagati. La partita può avere effetti sensibili sui conti nazionali: nel 2011 gli enti locali aspettavano fondi da Roma per quasi 10 miliardi.
Quando c’erano i tecnici
A spingere Teramo in tribunale potrebbe esser stato anche un ex ministro. A sua insaputa. «Mi capitò di sentire Passera accusare le Province di inadempienza cronica – racconta il presidente, Valter Catarra. – Diceva che non paghiamo chi lavora per noi secondo criteri sostenibili. Mi fece pensare che il governo non sapeva nulla di pubblica amministrazione, e mi ricordò che avevamo milioni di trasferimenti da incassare». La scelta conseguente è stata la stessa di altre amministrazioni. «Almeno dodici hanno ottenuto un decreto ingiuntivo – spiega Antonio Zecchino, dirigente del settore avvocatura teramano. – Noi abbiamo fatto ricorso a febbraio ed è stato accolto a maggio. L’avvocatura dello Stato si è opposta. Nelle prossime settimane ci sarà la prima udienza. Intanto però ci siamo assicurati il versamento, arrivato nelle scorse settimane».
Zecchino assicura che gran parte delle Province vincitrici davanti ai giudici ha incassato le somme stabilite. La Corte dei Conti – in un rapporto approvato a maggio – quantifica in 9 miliardi e 800 milioni l’arretrato dello Stato nei confronti degli enti locali, e sottolinea che il piano di rientro previsto stanzia 300 milioni l’anno. «Il decreto ingiuntivo ti permette di aggredirli prima degli altri – spiega l’avvocato. – Senza quei soldi saremmo andati in dissesto».
Da Roma ai lavoratori
In effetti dietro il ricorso non ci sono solo le dichiarazioni di un ministro. «I nostri problemi di cassa ormai erano una specie di incubo – ammette il presidente. – I fornitori sono sempre stati molto disponibili verso gli enti locali: sapevano che pagavano tardi, ma lo facevano. Quando è iniziata la crisi hanno cominciato a diventare più pressanti». Il meccanismo descritto è perverso. «Buona parte dei nostri debiti riguarda ditte edili. Nelle ultime settimane abbiamo avuto due alluvioni e un’emergenza neve: sei costretto a chiamarle, anche se non paghi da tre anni. Finché possono continuano a dire sì, e lavorano giorno e notte. Poi però arriva un momento in cui non riescono più a sfamare gli operai». Forse senza la recessione non sarebbe successo. E Teramo non avrebbe fatto causa.
I 15 milioni incassati dovrebbero dare respiro a molte aziende e allo stesso Comune, che riuscirà a versare gli stipendi ai dipendenti con più tranquillità. «Non potremo fare nuovi investimenti, perché si tratta di soldi già previsti in bilancio. Ma se non fossero arrivati il territorio avrebbe subìto una rapina». Non è che la vostra causa – come quella di altre amministrazioni – punta a recuperare il possibile prima della cancellazione delle Province? «Nel nostro caso no, e lo escluderei anche per i colleghi. Se fosse così dovremmo vendere in fretta e furia tutto il patrimonio». In vista di un’abolizione sbandierata più volte, ma tutt’altro che certa.