La foto che introduce questo articolo è tratta da un video che potete trovare su YouTube in cui Christina Stephens si costruisce una protesi per la sua gamba amputata con i celebri mattoncini colorati Lego. Christina ha un videoblog settimanale e anche una pagina Facebook dove racconta le sue piccole sfide quotidiane. Persone come lei dimostrano come la disabilità non debba soltanto essere una limitazione, ma che anzi da essa può nascere un rapporto più vero con il proprio corpo che ha molto da insegnare anche alle persone “sane”.
Le persone disabili sono il campo “naturale” per sperimentare tecnologie che hanno come obiettivo quello di interagire con il corpo, colmando le lacune funzionali causate da incidenti o malattie congenite. Ma non si tratta dell’unica categoria interessata a sperimentare in questo campo. Mentre nel caso dei disabili la tecnologia ha come scopo quello di colmare delle lacune o correggere delle disfunzioni che limitano la persona, biohacker e transumanisti vogliono trascendere le ordinarie possibilità umane, utilizzando la tecnologia per donare al corpo nuove funzioni.
L’intersezione tra robotica, biohacking e tecnologie protesiche ha davvero il potenziale di trasformare il nostro rapporto con il corpo. I dispositivi tecnologici, ovvero le nuove tipologie di artefatti che la società produce, hanno da tempo invaso il nostro ambiente esterno. C’è una certa discussione filosofica che si chiede quanto il nostro ambiente sia naturale o invece quanto la tecnologia e le convenzioni sociali ci abbiano allontanato dalla natura. Ci si chiede anche se mai sia esistita veramente una condizione in cui gli esseri umani fossero per natura, incontaminati e puri, senza protesi tecnologiche né un raffinato e complesso linguaggio. Oggi viviamo un nostro mondo pesantemente plasmato dalla tecnologia, un mondo fatto di acciaio e petrolio, plastica e tessuti e infrastrutture di comunicazione. La seconda rivoluzione industriale si pone all’inizio della più grande esplosione demografica dell’umanità, nonché del più grande miglioramento di massa della qualità della vita. Ma mentre quella dell’800 è stata una rivoluzione che ha imposto una certa omogeneità e standardizzazione dei consumi, l’attuale era elettrica offre nuove possibilità di piegare la propria porzione di mondo artificiale al proprio gusto e alle proprie, personali, esigenze. E non solo.
Soltanto il corpo, l’interfaccia più antica, la prigione mortale dell’anima, è poco cambiato negli ultimi secoli. La medicina è migliorata, si cura meglio e si vive di più. Ma le tecnologie del corpo sono state, sempre e comunque, monopolio di qualche istituzione ufficiale. Oggi però le cose stanno cambiando: il movimento dei biohacker rivendica il diritto di poter intervenire chirurgicamente sugli esseri umani per inserire sensori, montare telecamere o produrre sculture di metallo chirurgico sottopelle. C’è il movimento della biotecnologia DIY e dei laboratori comunitari aperti. “Donna immagine” del movimento è Ellen Jorgensen, che si è impegnata a sensibilizzare l’opinione pubblica su questo movimento. Il video qui di seguito ha disponibili i sottotili in italiano.
Alcuni pensano che il corpo umano sia un dispositivo obsoleto e si stanno ingegnando nel trovare un modo di migliorarlo. Con un approccio do it yourself al proprio hardware di carne e tendini la comunità biohacker sta sperimentando diversi modi in cui infilare tecnologia sotto la pelle. Un esempio sono il collettivo Grindhouse Wetware. Grindhouse farà storia come la prima comunità DIY non affiliato ad alcuna istituzione accademica o società scientifica che ha sviluppato e impiantato un dispositivo elettronico interattivo dentro il corpo di un essere umano. Il biosensore impiantabile è chiamato Circadia ed è leggermente più piccolo di una carta di credito, ma più spesso. Situato tra la pelle ed i muscoli nell’avambraccio, il suo scopo è fornire dati sulla temperatura corporea della persona, una volta sincronizzato a uno smartphone, che trasmette i dati ad esso tramite Bluetooth. Il dispositivo è dotato di tre LED rossi che brillano attraverso la pelle attivabili a distanza con il telefono dell’utente.
Ma anche la scienza ufficiale ha i suoi pionieri. Hugh Herr era un prodigio delle scalate quando perse entrambe le gambe da bambino ma, insieme al suo gruppo di ricerca al MIT Media Lab, ha sviluppato la prima protesi a motore che mima la funzione di spinta del piede nella deambulazione. Il nuovo tipo di protesi è in grado di fornire una spinta meccanica a chi la indossa, sostituendo con discreto successo la funzione di una caviglia biologica.
Esiste una comunità in crescita attorno a questo fenomeno. Ultima delle news è la notizia della sedia a rotelle controllabile elettronicamente tramite un percieng sulla lingua che funziona come joystick. Del nostro corpo possiamo fare moltissime cose e personaggi come Hugh Herr o intere comunità come quella biohacker ci insegnano a farlo con spirito di iniziativa e sana curiosità, esaltando i propri difetti e le proprie imperfezioni, invece di nasconderle.