Prima di Di Bella e del caso Stamina c’era Ryke Hamer

Racconto

La prima volta che ho avuto a che fare con la famiglia Hamer avrò avuto vent’anni; stavo facendo il perdigiorno universitario al cimitero acattolico a Roma. In mezzo alle tombe di Gramsci, di Keats, di Gadda, di Byron, notai – nascosta sotto una selva di oleandri – la lapide senza foto che conserva le ossa di Dirk Hamer, insieme a quella di sua madre Sigrid Gertrud Ursula: nato nel 1959 morto nel 1978, più o meno coetaneo del me di allora. Era una storia infelicemente famosa ma non la non conoscevo, anche se ero naturalmente attratto – per una specie di macabro romanticismo famigliare (mia madre che da adolescente mi raccontava la tragedia del figlio di Romy Schneider infilzato a quattordici anni dagli spunzoni di un cancello che tentava di scavalcare) o di banale melanconia dell’età – da quelli che muoiono giovani: estenuavo i pomeriggi invernali ascoltando a ripetizione i tre album che Nick Drake aveva fatto in tempo a registrare prima di morire per un’overdose di antidepressivi o discutevo per ore sulle ragioni che avevano spinto Kurt Cobain a puntarsi un fucile alla testa.

Il fatto è che quella di Dirk non è solo la storia crudele di un ragazzo che non fa in tempo a diventare adulto, ma è anche la saga incredibile di una famiglia: padre Geerd Ryke, madre Ursula, e quattro figli. I genitori sul finire degli anni ’60 sono due giovani medici che collaborano tra loro. Lui ha trovato il modo per mantenere la famiglia, viaggiando in Germania e vendendo agli ospedali pubblici e privati alcuni suoi brevetti, come lo scalpello Hamer – una specie di microlama utile nella chirurgia plastica. È una personalità poliedrica, un medico affabile, un abilissimo promotore di se stesso: si è laureato in teologia da giovanissimo, si è sposato a 22 anni, lascia la Germania per girare in Europa in cerca di credibilità, riconoscimento, soldi. 

Ci sono delle foto che ritraggono i sei Hamer come una specie di famiglia modello, felici, uniti, bellissimi. Il 1976 è un anno d’oro. Birgit la secondogenita vince il concorso di Miss Germania, e anche grazie agli introiti dei brevetti di Ryke, gli Hamer decidono di venire in Italia per pubblicizzare le apparecchiature negli ospedali, per fare tutti insieme una sorta di Grand Tour, per evitare dei problemi con la burocrazia tedesca. Passano l’estate esplorando le coste e le isole: amano tutti il mare, i quattro figli sono dei grandi atleti. Dirk a Roma si è allenato con Pietro Mennea, Birgit è una nuotatrice incredibile. Durante l’estate del 1978, tutta la famiglia è ospite sulle barche di amici, intellettuali, industriali, artisti. Una sera dopo un’escursione all’isola di Cavallo, in Corsica, restano a dormire sulla barca, attraccata vicino a un piccolo ristorante frequentato da vip. È stata una giornata afosissima, e non si riesce a dormire. A un certo punto, nella notte, Birgit racconta di una voce in un italiano scomposto che urla che gli è stato rubato un tender, non la smette di urlare nonostante le proteste dei proprietari delle altre barche. «Italiani di merda», urla, «vi ammazzo!». 

Dopo pochi secondi si sente uno sparo e un grido. Poi un altro sparo. Dei razzi vengono lanciati in aria per illuminare la scena. Dura tutto pochi secondi ma sembra una guerra. Quando la scena si azzittisce, ci si accorge che un proiettile ha colpito Dirk al ventre, che giace rantolando in cabina. «È stato Vittorio Emanuele», dicono. «Era incazzato perché avevano usato le sue barche». «Ma chi è questo Vittorio Emanuele?», grida Birgit.

Il colpo pare sia partito dal fucile del principe di Savoia, l’ultimo erede in esilio della famiglia. Ma non c’è tempo per capire chi ha tirato; la vera tragedia è che nelle vicinanze non c’è un medico. La situazione, si capisce da subito, è spaventosa. Qualcuno prende per buona la voce per cui il principe stesso dovrebbe mandare un elicottero per prelevare Dirk. Ma passano i minuti e l’elicottero non arriva. Finché si decide di togliere gli ormeggi e arrivare alla terraferma in barca. 

È l’alba del diciotto agosto quando gli infilano la prima flebo. Dirk morirà il 7 dicembre, centoundici giorni dopo. Dopo aver peregrinato per decine di letti di ospedali, essere stato trasportato in una clinica in Germania, essere stato sottoposto a diciannove operazioni, aver avuto trasfusioni di quattrocento litri di sangue, aver subito l’amputazione della gamba prima al ginocchio e poi all’inguine. 

Vittorio Emanuele nel frattempo è entrato in galera, c’è stato qualche settimana, ed è uscito di galera pagando una cauzione; nonostante i moltissimi dubbi, ricostruzioni minuziose da parte dell’accusa, verrà assolto fino all’ultimo processo nel 1991, scagionato dall’imputazione di aver sparato lui, a Dirk: nella confusione della terribile notte di agosto ’78 qualcun altro pare abbia premuto il grilletto. La famiglia Hamer ne esce distrutta, straziata e incredula, esplode. Birgit comincia a girare l’Europa come una trottola. I fotografi la vogliono, mentre lei vuole chiaramente giustizia. La madre è al crollo psichico. Il padre Ryke sviluppa un tumore al testicolo che riesce a prendere in tempo e curare: ma a partire da quest’episodio conia la formula Sindrome di Dirk Hamer. Quando anche a Ursula viene diagnosticato un tumore al seno, Ryke si convince che ci sia un nesso tra la morte del figlio e questi tumori, ed elabora un’articolata teoria basata sulle presunte Cinque Leggi della Biologia, che battezza Nuova Medicina Germanica. Secondo i suoi principi il tumore non è altro che una reazione dell’organismo a un conflitto emotivo: l’impossibile paternità o maternità nel caso suo e di sua moglie. Il tumore non va curato assolutamente con terapie come la chemio o la radio, ma piuttosto occorre che il corpo sviluppi da sé una soluzione spontanea al conflitto emotivo che può essere ricercata con una psicanalisi o, anche, dal contagio volontario di altre malattie che stimolino la produzione di anticorpi. È una teoria bislacca, ma molti malati cominciano a seguirlo. Ryke guarisce dal suo tumore, Ursula no. Muore nel 1985, sembra, in preda a dolori terribili: la Nuova Medicina Germanica proibisce l’assunzione di antidolorifici come la morfina. Che cosa è diventato quello che era un medico brillante: è uno scienziato geniale che ha scoperto la cura del cancro? O è un pazzo criminale che millanta guarigioni prodigiose? Alcuni credono alla prima e affollano gli ospedali dove riesce a praticare il suo metodo: in Austria, in Francia, in Spagna, ovunque riesca a impiantare con la collaborazione (connivenza?) di qualche medico un centro di cura. Altri cominciano a indagare sulla non-scientificità e pericolosità della Nuova Medicina Germanica: gli fanno chiudere i reparti dove riesce a infilarsi, lo incriminano per abuso della professione medica, lo arrestano, lo condannano a vari anni di carcere. Lui scappa da un Paese all’altro, si nasconde, comincia a mescolare nelle sue conferenze le sue teorie pseudoscientifiche con deliri antisemiti, viene condannato anche per istigazione all’odio razziale, evita la giustizia in ogni modo, cerca protezione presso coloro che sembrano seguaci di una setta, fino a che scompare nel nulla; le ultime notizie lo danno latitante in Norvegia.

Ecco. Ripassando la storia di Hamer, le controinchieste fatte da chi ne riconosce l’aspetto delinquenziale, l’assoluta assenza di una letteratura scientifica a suo supporto, i casi più clamorosi noti anche alla cronaca giudiziaria (genitori di bambini che si sono fidati delle sue cure e hanno visto togliersi la patria potestà), uno non può fare un parallelo con la vicenda di Davide Vannoni (per dire, nelle scorse settimane, in mezzo al bailamme del dibattito Stamina, è ricominciata a circolare su internet un’intervista a Eleonora Brigliadori che sostiene di essere guarita da un carcinoma al fegato grazie alla Nuova Medicina Germanica); e farsi quantomeno un paio di domande. Come è possibile che in Italia s’investa così poco in educazione scientifica che la medicina sia ogni volta assediata dalle battaglie mediatiche di ciarlatani guaritori, i Di Bella, gli Hamer, i Vannoni? Perché su questioni del genere sembra che scientismo e antiscientismo si trovino a affrontare in una tenzone ogni volta identica senza che sia possibile una cultura condivisa che eviti che i dibattiti pubblici finiscano in scontri tra tifosi? 

Ma, al di là della cronaca, la morale più profonda di tutta la vicenda Hamer ha un che di sofocleo. In fondo la storia ha origine con un ragazzo di diciannove anni ucciso senza che si sia trovato un colpevole. E forse questo colpevole è un principe: nel marzo 2011 viene fuori sui giornali un’intercettazione del 2006 in cui Vittorio Emanuele che se la ride perché è riuscito a scampare alle accuse («Avevo una batteria di avvocati. Devo dire che li ho fregati»). Il principe sostiene che l’audio sia stato manipolato ad arte, la sorella Birgit spera che dopo trentacinque anni possa essere fatta giustizia sulla morte del fratello. Un padre a cui uccidono un figlio, un principe che evita la colpa, una medicina clamorosa che si dice faccia miracoli, una serie di malati inconsapevoli che si affidano per non morire alle cure di un mago che ora si nasconde non si sa dove. Come nelle tragedie greche, l’amartema (la colpa) si trasmette di generazione in generazione; e anche oggi sembra che la Nuova Medicina Germanica o il metodo Stamina siano la condanna di una macchia del passato, qualcosa che è come se dovessimo scontare perché qualcuno a suo tempo non se ne è fatto carico carico, quasi vittime di chi desidera essere innocente per forza. 

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter