Mentre la politica litiga sulle unioni civili in un Europa che ha sorpassato da tempo la nostra legislazione, sempre più coppie omosessuali italiane vanno all’estero per adottare un figlio e creare un nucleo familiare che in Italia ancora non è riconosciuto. Secondo l’associazione Family Legal, una coppia gay su dieci nel nostro Paese va fuori dai confini per cercare di adottare un bambino, con un forte aumento nell’ultimo anno di quelle che si sono del tutto trasferite.
I principali Paesi di destinazione sono Spagna e Olanda, che hanno legislazioni simili in materia. L’Inghilterra, invece, che pure ha aperto la possibilità di adozione alle coppie omosessuali nel 2002, ha una legislazione più rigida e per questo è meno “ambita”. «In Inghilterra», spiega Lorenzo Puglisi, avvocato e presidente di Familylegal, «il procedimento per ottenere il decreto di adottabilità è curato dai servizi sociali locali che adottano un filtro molto stringente. Nel 2007 su migliaia di richieste, solo 90 coppie hanno ottenuto l’adozione. Viene richiesta una stabilità di coppia prolungata e un legame con il territorio, per evitare quello che viene chiamato forum shopping. Si fanno colloqui molto rigidi con gli aspiranti genitori per effettuare una perizia, poi il giudice valuta se ci sono i requisiti». Si tratta di «un sistema molto simile al nostro in materia di adozioni, con la differenza che in Inghilterra gli omosessuli possono adottare un bambino».
Per Spagna e Olanda, l’iter è più semplificato. «Si tratta comunque di legislazioni molto serie», conferma Puglisi, che ha stabilito una delle sedi del suo studio proprio a Madrid per seguire i suoi clienti da vicino, «ma con una burocrazia molto più snella, che permette per esempio l’uso dell’autocertificazione, la possibilità di ottenere modifiche anagrafiche più veloci ecc.». E infatti non mancano rigidi vincoli: «In Spagna per poter inoltrare la domanda di adozione è necessario essere residenti da almeno 3 anni, che però iniziano a decorrere dal deposito presso la casa comunale della documentazione necessaria a stabilirsi in loco, e non dalla stipula di un contratto di affitto, che può, invece, avvenire anche dopo parecchio tempo. Poi è necessario provare un consolidato legame con il territorio, avendo ad esempio un lavoro nel Paese. Solo se vi sono queste due condizioni, può essere avviato l’iter di verifica di conformità della coppia, con passaggi quindi simili a quelli previsti in Italia per le coppie sposate eterosessuali».
In totale, la coppia dovrà aspettare da un anno a un anno e mezzo per poter dire di avere un figlio. Una volta conclusa l’adozione, i genitori possono tornare in Italia con il bambino. «Ma solo uno dei due potrà essere considerato genitore. Nel caso di una coppia lesbica sarà la madre biologica ad avere la patria potestà. Ma uno dei membri della coppia non verrà considerato genitore, perché questo sarebbe in contrasto con la norma che in Italia vieta le coppie omosessuali». Il che significa che se quella persona viene a mancare, quello o quella che resta per la legge italiana è un perfetto estraneo per il bambino e non può rivendicare alcun diritto. Stessa cosa avviene se la coppia si dovesse separare: «Uno dei due genitori non ha diritto di vedere il figlio, né di partecipare alle scelte fondamentali della sua vita».
Le cose, poi, si complicano se l’adozione avviene in un Paese extra Ue, come il Canada. «Mentre nell’area Schengen c’è la libera circolazione delle persone», spiega Puglisi, «se si proviene da Paesi extraeuropei, è necessario chiedere un procedimento di ricongiungimento familiare, che richiede anche più di un anno di attesa».
Un iter difficile, che richiede tempo, trasferimenti forzati, e soprattutto soldi. «Tra spese legali e spostamenti, si spendono dai 5mila ai 10mila euro. Quelle che lo fanno infatti sono tutte coppie benestanti. In tanti, visti soprattutto i tempi di crisi, non possono permetterselo». Sono soprattutto «manager e dirigenti di multinazionali, che in alcuni casi chiedono di essere trasferiti nella sede del Paese prescelto per l’adozione». Al primo posto per i trasferimenti a scopo di adozione nel nostro Paese c’è Milano: secondo i dati di Family Legal, solo nel 2013 45 coppie che sono partite dalla città meneghina hanno effettivamente portato a termine la domanda di adozione, mentre di una coppia su 10 si è documentata a questo scopo.
Quella del nostro Paese «è una lacuna grave di cui dovrà occuparsi del Parlamento», dice Puglisi. Ci sono diverse sentenze che premono in questa direzione: la Corte di cassazione nel 2013 ha definito un pregiudizio il fatto che un bambino non cresca bene in una famiglia gay, mentre la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ridefinito la famiglia come insieme di valori e affetti senza classificazioni sessuali della coppia.
Per quanto riguarda l’affidamento, invece, ben due tribunali dei minorenni – quello di Bologna e quello di Palermo – hanno deciso in due casi distinti di farlo a favore di coppie omosessuali. A Bologna, nel novembre 2013. A Palermo, a gennaio 2014. E nel disegno di legge sulle unioni civili presentato dai senatori renziani Andrea Marcucci e Isabella De Monte, come fa notare Claudio Rossi Marcelli, si trova la possibilità della cosiddetta stepchild adoption, cioè la procedura agevolata per l’adozione dei figli biologici o adottivi del proprio coniuge. D’altronde, la Corte di Strasburgo lo aveva già detto nel febbraio 2013: nelle coppie omosessuali i partner devono avere il diritto ad adottare i figli dei compagni, così come avviene per le coppie eterosessuali non sposate.