Le difficoltà in Nigeria, Kazakhstan e Libia e il calo della domanda in Italia e in Europa. Non è stato un buon 2013 per Eni, colosso petrolifero controllato dal Tesoro, che vorrebbe cederne il 3% per racimolare risorse utili a ridurre il debito pubblico italiano. Sarà anche per questo che si segnala un certo nervosismo ai piani alti del cane a sei zampe in vista del valzer di nomine di maggio nelle grandi aziende statali, quando il mandato dell’amministratore delegato Paolo Scaroni andrà in scadenza. Del resto, escludendo il contributo di Snam, l’utile netto si è fermato a 4,43 miliardi di euro, rallentando del 35% sul 2012. La produzione è scesa a una media di 1,619 milioni di boe/giorno (-4,8%) «principalmente a causa di fattori geopolitici», si legge nella nota stampa. Si tratta del medesimo livello del 2004. L’indebitamento è leggermente sceso da 15,5 a 15,4 miliardi di euro.
Sono tutti numeri che il nuovo governo di Matteo Renzi dovrà valutare, scegliendo se mantenere il manager vicentino (sarebbe il quarto mandato), indagato per corruzione internazionale nello scandalo Saipem in Algeria, alla testa di una delle aziende più importanti in Italia. E proprio durante la presentazione dei conti a Londra, Scaroni è stato interpellato sulla fase politica, dopo la caduta di Enrico Letta. «Non sono incline a commentare la politica italiana e non vorrei iniziare ora» ha spiegato aggiungendo però un auspicio sulle nomine: «Non ci sia un happening a mezzanotte del giorno prima». Ma da quel che filtra nel giro dei nuovi proprietari di palazzo Chigi, quel «giglio magico» tanto amato dal rottamatore di Firenze, ci vorrà ancora del tempo per capire se Scaroni resterà al suo posto. Di certo, oltre agli scandali degli ultimi mesi, i conti non sono un buon biglietto da visita.
Scaroni lo sa, tant’è che si è precipitato a commentare a Bloomberg TV: «Quel che mi piace di Renzi è la sua volontà di agire e di agire velocemente. Ha impeto, è davvero una persona che vuole riformare il Paese e riformare il Paese a volte non equivale a essere popolari». Un endorsement bello e buono. Prosegue Scaroni: «Certamente sono disponibile per un nuovo mandato. Ho il miglior lavoro del mondo e mi diverto parecchio quindi avere un altro anno di divertimento sarebbe una buona notizia», ha ammesso il manager vicentino.
Al di là delle ambizioni di Scaroni, l’Eni è in fase di profonda ristrutturazione. La generazione di cassa, poco meno di 11 miliardi, dipende in gran parte delle massicce cessioni, pari a 5,6 miliardi: l’uscita dalla joint venture siberiana Artic Russia – nata dalla spartizione di Yukos, ex impero dell’oligarca Kodorkowsky, di recente liberato dal presidente Putin dopo un decennio di prigionia – e la vendita per 4,2 miliardi di dollari ai cinesi di Cnpc del 28,7% di Eni East Africa, titolare dei diritti di sfruttamento di un giacimento in Mozambico. Meglio dei rivali, invece, l’attività esplorativa, che si assesta a 2,5 volte la produzione media annua grazie alle scoperte in Mozambico, Ghana, Angola, Norvegia, Australia, Pakistan, Egitto e Congo. Quest’ultima, che da sola vale 1,2 volte la produzione annua, è stata annunciata ieri con ottimo tempismo comunicativo.
Con un occhio rivolto a Piazza Affari, Eni ha deliberato una crescita del dividendo a 1,10 euro per azione, rispetto a 1,08 euro del 2012, di cui 55 centesimi già distribuiti agli azionisti. Un profondo processo di revisione ha riguardato i contratti take or pay legati al gas contratti tra gli altri con Gazprom, Statoil e Gasterra. Come ha spiegato Marco Alverà, numero uno della divisione Gas & Power e pupillo di Scaroni – presente oggi insieme al direttore generale Claudio Descalzi, papabile successore del manager vicentino, e al direttore finanziario Massimo Mondazzi – i risparmi saranno nell’ordine di 2 miliardi di euro da qui al 2016. Il top management non ha reso noto se tra questi vi sia l’accordo siglato nel lontano 2006 con Gazprom, con scadenza 2035, contro il quale si scagliò l’ex direttore delle strategie Leonardo Maugeri. Al contrario, è noto che la marginalità della divisione Gas & Power è stata negativa per 612 milioni nel 2013.
Guardando al piano industriale, l’aggiornamento al 2017 prevede una discesa da 56,8 a 53,8 miliardi della spesa in conto capitale, dismissioni per 9 miliardi ma una crescita organica annua della produzione al 3 per cento. La divisione upstream, legata all’esplorazione e perforazione, ha gli obiettivi più ambiziosi con una generazione di cassa annua del 9% (e del 40% al 2017 rispetto al 2013). Segno che l’azienda sta virando verso una specializzazione in questo senso, nonostante rispondendo a una domanda di un’analista di SocGen su questo tema il management sia stato piuttosto vago.
Si fa di necessità virtù. I guasti alle tubature del giacimento Kashagan al largo del Mar Caspio e le presunte penali da pagare al governo kazako, negate in conference call da Descalzi, hanno scottato a tal punto il management da costringerlo a pianificare per oltre il 2017 gli ulteriori sviluppi del giacimento, che comunque dovrebbe essere operativo nel 2015. Un incidente, quello kazako, che pesa non soltanto sui conti. La procura di Roma continua infatti le indagini sul caso Shalabayeva, la moglie del dissidente Ablyazov. Sul coinvolgimento di Eni lavorano i magistrati dopo la trasmissione Report di Milena Gabanelli. Come finirà non è chiaro, ma di certo è un altro argomento a sfavore dell’attuale management.
A quanto pare Scaroni sta facendo il diavolo a quattro per essere riconfermato a San Donato. «Si agita troppo e Renzi si innvervosisce» conferma una fonte ben attenta alla partita delle nomine, ma che vuole mantenere l’anonimato. La visita a Porta a Porta da Bruno Vespa infatti, dove Scaroni arrivò all’improvviso per incontrare il rottamatore, non sarebbe stata così gradita all’intellighenzia renziana che sa di giocarsi parte della propria credibilità sulle prossime nomine pubbliche. Non solo. Nelle ultime settimane si segnala pure l’attivismo di Luigi Bisignani, il gran manovratore di palazzo, sponsor di Scaroni, che sarebbe impegnato a contattare al telefono sia Luca Lotti sia Marco Carrai, i due renziani che hanno in mano il file nomine per Renzi. I ben informati dicono che l’attuale amministratore delegato di Eni avrebbe chiamato negli ultimi giorni pure il padre di Renzi, Tiziano, per coinvolgerlo nei progetti futuri di Eni. La risposta è stata la stessa di sempre: «Matteo ascolta tutti i consigli, ma poi decide di testa sua». Del resto, da questa decisione dipenderà molto del futuro della sua azione politica. E soprattutto dai rapporti con Silvio Berlusconi, il vero grande sponsor di Scaroni.