Era già con Wargames, film del 1983 con un giovanissimo Matthew Broderick, che avremmo dovuto capirlo: tra videogiochi e militari c’è un confine molto, molto sottile.
Nel film, il giovane David si introduce per sbaglio nei computer del Pentagono mentre cerca delle anteprime di videogiochi e finisce per giocare una partita a Guerra Termonucleare Globale contro un’intelligenza artificiale. David crede di giocare a un videogioco, ma in realtà sta sfidando un simulatore programmato per prevedere le mosse dei russi in una (in quei tempi ancora plausibile) guerra nucleare. Il film, dopo una serie di eventi che portano l’intelligenza artificiale a un passo dallo scatenare veramente una guerra lanciando delle testate atomiche, si chiude con un messaggio pacifista. Il computer riconosce che «l’unica mossa vincente è non giocare».
Il messaggio, però, non è passato. Guardando alla miriade di progetti militari che coinvolgono i videogame, sembra vero il contrario. Per vincere la guerra, qualsiasi guerra, la mossa vincente è giocare. O, almeno, sfruttare le abilità dei milioni di ragazzi e ragazze che lo fanno.
Nel 2002 è stato pubblicata la prima versione di America’s Army. A prima vista è un videogioco sparatutto come tanti altri: si gioca nei panni di un soldato, ci sono missioni da superare, tattiche da imparare, nemici da uccidere. Solo che America’s Army non è un gioco come tutti gli altri, è sviluppato dall’esercito americano e, prima ancora che un videogame è uno strumento educativo, di propaganda e di reclutamento. America’s Army usa le meccaniche dei giochi di guerra e le piega alle proprie necessità: il classico percorso di addestramento che in molti videogame viene usato per insegnare al giocatore i comandi, in America’s Army diventa un vero e proprio boot camp, un addestramento in cui si insegnano vere tattiche militari, uso delle armi in situazioni reali e valori dell’esercito americano. E quando si gioca veramente, le missioni da portare a termine sono tutte modellate su possibili operazioni di intervento militare.
Per l’esercito americano l’operazione è stata un successo: negli ultimi 10 anni sono uscite quattro versioni del gioco e almeno 13 milioni di persone hanno giocato ad America’s Army. E già nel 2009, in un intervento al Congresso degli Stati Uniti, i militari dicevano che il gioco è stato più efficace di «qualsiasi altro metodo di contatto» per il reclutamento di nuovi soldati.
Nel 2011 la Cina ha seguito l’esempio di America’s Army, pubblicando 光荣使命 o Glorious Mission. Un videogioco fortemente sostenuto dall’Esercito Popolare di Liberazione che ha scopi molto simili alla controparte statunitense. Secondo gli sviluppatori, Glorious Mission ha più di 2 milioni e mezzo di giocatori.
America’s Army e Glorious Mission, però, sono solo due giochi di simulazione bellica. Ogni anno escono decine di titoli simili, come quelli delle serie Call of Duty o Battlefield. L’unica differenza è lo scopo: invece di trovare nuovi potenziali reclute, l’obiettivo di questi giochi è essere prodotti di intrattenimento. Ognuna di queste saghe ha ben più giocatori del titolo dell’esercito americano e dell’esercito cinese messi insieme. Ogni anno tra i quaranta e i cinquanta milioni di giocatori giocano a Call of Duty e a Battlefield. Ma i militari stanno studiando modi per ingaggiare anche questi giocatori. La giornalista Heather Chaplin dice che un colonnello dell’esercito le ha rivelato che i militari cercano esattamente abilità che i videogiocatori sviluppano dopo centinaia di partite: la capacità di rimanere calmi anche nella confusione, l’abilità di capire immediatamente l’obiettivo e la capacità di analizzare dinamiche complesse di causa ed effetto.
Anche la tecnologia dei videogiochi, le console, gli accessori e i controller, vengono militarizzati. A inizio febbraio abbiamo scoperto che Kinect, la telecamera ad infrarossi sviluppata da Microsoft per riconoscere i movimenti dei giocatori sul divano, è usata dai militari della Corea del Sud per controllare i confini con la Corea del Nord. E sappiamo nel 2009 il Pentagono si comprò oltre 2000 Playstation 3 per potenziare un sistema di supercomputer.
La cosa più spaventosa, però, è quanto i militari cerchino di far assomigliare la guerra vera a quella virtuale: un ex pilota di droni dall’esercito americano, l’anno scorso ha parlato con l’artista Omer Fast dicendo che pilotare un drone «assomiglia molto a giocare a un videogioco. Un videogioco in cui si gioca lo stesso livello di per quattro anni di fila». La cosa è nota da parecchio. Una pubblicità del 2007 dell’esercito inglese mostra un soldato mentre pilota un drone usando un controller della console Xbox 360 di Microsoft. Paul Maunders, il blogger che per primo ha notato la presenza del controller nello spot ha chiesto tramite il Freedom of Information act la conferma che quello fosse proprio un controller dell’Xbox 360.
La risposta che ha ricevuto dice che il controller non è esattamente quello del’Xbox 360 ma una versione molto simile: stessa forma ma senza loghi Microsoft. Ma si spinge molto più in là, confermando che con quella pubblicità l’esercito stava cercano esattamente di coinvolgere i videogiocatori.
La pubblicità dimostra che le capacità che un individuo ha sviluppato durante la propria vita, prima di entrare nell’esercito, possono essere molto utili nelle operazioni militari dell’esercito inglese.
Ovvero: se nella tua vita hai giocato ai videogiochi, se sai usare un controller, allora hai le capacità che servono per pilotare un drone. Nell’esercito, anni di partite virtuali possono tornare utili. Per uccidere persone vere.