Più la spara grossa e più cresce nei sondaggi, «strappiamo il fiscal compact», dice, «meglio uscire dall’Euro», urla, «non ripaghiamo il debito pubblico», minaccia, «Napolitano ha la colpa di tutto lo sfacelo», accusa, «sbattiamo i pugni sul tavolo». Bum! Bum! Bum! E persino Silvio Berlusconi ormai lo ammette, «questo dice più cazzate di tutti, e vince». Così il vecchio Cavaliere rotea verso Beppe Grillo gli occhi d’un vitello appena sospinto sul treno diretto al mattatoio di Chicago e in conferenza stampa a Milano si fa persino sfuggire la più amara delle confessioni per un uomo che amava descriversi invincibile: «Se Forza Italia arriva al 20 per cento è un miracolo». E persino nel Pd, incoraggiato com’è dal vittorioso Matteo Renzi, adesso si comincia a percepire uno strano rullìo di tamburelli, come un mormorare ancora sommesso, ma sempre più rumoroso e allarmato: «Le europee?», dice il mite Roberto Giachetti, «sono elezioni che contano poco. Dunque sono elezioni pericolose».
Perché alle europee si può scherzare, e gli italiani credono di poter esprimere senza rischi il loro fastidio per il ceto politico, la loro sovrana diffidenza, la loro sgangherata fantasia, il loro scosso torpore civile, quella voglia di rivoltare la politica con un rutto — come propone Grillo. E senza che ciò davvero comporti qualche effetto, perché — si sa — le europee sono europee, qualche parlamentare da mandare a Bruxelles e nulla più. Così il Movimento Cinque Stelle si appresta a diventare il secondo partito del paese, per qualche sondaggio persino il primo, sul piedistallo alla pari con il Pd. Centinaia di deputati europei che credono nell’esistenza delle sirene, che temono la minaccia dei microchip impiantati sotto pelle, che manifestano l’idea piratesca di non restituire i debiti contratti, che coltivano la suggestione suicida di uscire dall’euro, che all’intelligenza visionaria di Altiero Spinelli preferiscono l’alito pesante e il pensiero leggero d’un comico genovese rotondo e milionario.
E ancora una volta vale il principio della provocazione, malgrado ci fosse certamente più dignità nella candidatura radicale di Cicciolina, alla quale non credeva neppure Marco Pannella se non come sberleffo al Parlamento e al regime di allora. Tutti, istintivamente, riconosciamo come talune abitudini, taluni tratti di carattere, certe tendenze siano inequivocabilmente nostre. Le chiamiamo “cose all’italiana”. Queste parole vengono talora pronunciate con fierezza, talora con affetto, con ironia, con compassione, con aria divertita, o con rassegnazione, molto spesso con ira, sdegno, o sarcasmo, ma sempre con un sottofondo di tristezza. La maggior parte di ciò che avviene da noi non è soltanto “all’italiana”. Tuttavia le cose “all’italiana” non devono essere prese alla leggera. Sono indizi preziosi. E indizio prezioso è il voto europeo “all’italiana”. Perché gli italiani manderanno in Europa una carrettata di mattoidi che essi stessi non hanno voluto nei loro comuni, nelle loro province e nelle loro regioni, e che si sono presto pentiti d’aver votato alle elezioni nazionali di febbraio 2013. Il Movimento Cinque Stelle che si prepara a trionfare alle europee è lo stesso partito estinto alle ultime amministrative, è il partito che non si è nemmeno presentato alle regionali in Sardegna. E c’è da capirlo, davvero nessuno farebbe amministrare il proprio condominio a gente che vaneggia di “decrescita felice”, di “uscita dalla Nato” e di “blocco delle grandi opere”. Gli apprendisti grillini sembrano gli arditi con il web tra i denti al posto del pugnale. Per loro sono «illegittimi il Parlamento, il governo, il Presidente della Repubblica, le elezioni, la corte Costituzionale, le istituzioni e, prima di tutti, i cronisti che non criticano ma “diffamano”» e presto: «tutto finirà in una combustione politica spontanea». E insomma i garzoni strampalati di Grillo vorrebbero fare dell’Italia lo stesso uso che fanno di Internet: una latrina dove il primo che arriva scrive le proprie porcherie.
Eppure, l’Italia che rifiuta giustamente di consegnare il proprio campanile a questo pasticcio grossolano, è lo stesso paese pronto a consegnargli il blu e le stelle d’Europa. Il proprio condominio no, ma l’unione europea sì, perché è lontana, indefinita, inafferrabile, forse persino un po’ ostile. Dunque Grillo può andare a Bruxelles, ma non a Cagliari. Per gli italiani è adatto a Strasburgo, ma non a Roma. E tutto avviene un po’ così, svagatamente, tra frizzi e lazzi, per sberleffo, a conferma che confusione e farsa non sono mai molto lontane dai nostri orizzonti, caratterizzati dal disinteresse per tutto ciò che è lontano, dall’ironia autoassolutoria per tutto ciò che è vicino, dall’indifferenza per tutto ciò che è faticoso.