C’è chi dopo 25 anni da venditore per Microsoft ha deciso di aprire un negozio di biciclette. Chi, avendo 30 anni di onorata carriera come manager pubblico alle spalle, ha poi aperto una gelateria. Chi, ancora, dopo due decenni a prendere ordini come dipendente da un mobiliere alla fine ha deciso di creare la propria bottega artigiana. Sono le tante storie che si nascondono dietro al dato evidenziato da uno studio della Camera di Commercio di Monza e Brianza: nel 2013 più di 13 mila italiani over 50 hanno aperto un’impresa per la prima volta, cioè senza aver mai avuto esperienze imprenditoriali precedenti. Rappresentano un terzo del totale di chi, nato prima del 1964, ha deciso di aprire un’impresa l’anno passato.
Molte di queste storie sono figlie della crisi. Dopo aver perso il proprio posto di lavoro, mancando ancora tra i 10 e i 20 anni alla pensione, tanti ex dipendenti hanno cercato la via del lavoro autonomo. Il fenomeno è stato letto da politici e media come un segnale positivo, un’indicazione di speranza e voglia di mettersi alla prova da parte di chi si è trovato in una situazione di difficoltà economica ma non si è rassegnato. Sicuramente c’è anche questo e le storie di successo che vengono raccontate da giornali e tv – chi ora esporta vino di qualità, chi ha aperto un agriturismo, chi un asilo nido privato – stanno lì a confermare che ricominciare da capo non solo è possibile ma talvolta vantaggioso. Il ruolo dell’esperienza viene esaltato anche da Carlo Edoardo Valli, presidente della Camera di commercio di Monza e Brianza, quando sostiene che «è utile anche per i giovani che esistano imprese in cui lavorano accanto a cinquantenni in grado di tramandare la propria conoscenza». Ma non è oro tutto quel che luccica.
«La nuove imprese hanno una vita media di 3-4 anni», spiega Renato Mattioni, segretario generale della Camera di commercio di Monza. «Questo significa che molte non passano l’anno di vita. Per quei cinquantenni che hanno già dovuto affrontare il dramma della perdita del posto di lavoro fisso da dipendente, fallire anche nella vita dell’impresa è una batosta micidiale». Molte delle persone che pensano di aver trovato una soluzione ponte – tra la perdita del posto e il traguardo della pensione – nell’attività imprenditoriale attingono o al proprio bagaglio di esperienze lavorative (“quel che facevo come dipendente lo faccio come lavoratore autonomo”) o a quello delle proprie passioni o hobby. Più di un quarto dei nuovi imprenditori over 50 si dedica all’agricoltura, un altro quarto abbondante agli esercizi commerciali, meno di uno su dieci alla ristorazione.
«Il problema – prosegue Mattioni – è che spesso le idee che ci vengono sottoposte non sono sostenibili. Noi, come Camera di commercio, cerchiamo di aiutare e indirizzare gli aspiranti imprenditori: abbiamo attivato il programma “start”, in cui selezioniamo le idee migliori e le seguiamo, dando anche aiuti economici; abbiamo anche lo sportello “help impresa”, che offre consulenza. Ma se il progetto imprenditoriale non è valido preferiamo suggerire di desistere. Il punto è che spesso non è facile fare il passaggio dalla mentalità del dipendente a quella dell’imprenditore che rischia il proprio capitale».
Una mentalità, quella dell’imprenditore, che non è rimasta immutata di fronte alla crisi. Considerato il numero di quanti sperano di trovare nell’impresa un sostegno economico per raggiungere la pensione, e non un mezzo per raggiungere il successo, la cosa non deve stupire. «L’attività imprenditoriale viene vissuta – dice ancora Mattioni – quasi come una misura sociale, un puntello temporaneo. Possiamo dire che per le imprese siamo alla “generazione 1.500 euro”: questo aspirano guadagnare moltissimi nuovi piccoli imprenditori. Cioè più o meno (spesso meno) di quanto guadagnavano come dipendenti. Paradossalmente va meglio ai giovani, figli della crisi. A un cinquantenne si chiede di cambiare completamente mentalità, e non è facile, e spesso vive l’urgenza di mantenere il proprio stile di vita, magari calibrato su aspettative divenute troppo alte, di mantenere la famiglia e via dicendo. I giovani – conclude Mattioni – sono in grado di adeguarsi molto meglio, hanno una mentalità più elastica, spesso non hanno una propria famiglia che gli impedisca scelte anche drastiche, come emigrare all’estero. E poi ovviamente sono al passo con le tecnologie. Tra i cinquantenni che vogliono fare impresa adesso per la prima volta ci sono ancora persone che non sanno usare un computer. Loro quante speranze hanno?».