In Italia, le entrate fiscali e contributive si sono assestate al 44% del Pil nel 2012, in aumento di 3,5 punti percentuali dal 2002. Questo pone l’Italia al terzo posto nell’aumento della pressione fiscale, dopo Cipro e Malta, che però hanno livelli di carico fiscale nemmeno lontanamente paragonabili al nostro. Siamo oramai a ridosso del livello della Svezia, che nel decennio ha tuttavia diminuito la sua pressione fiscale di 3,3 punti percentuali, e che – è cosa nota – ha una qualità e una efficienza nell’erogazione dei servizi pubblici che noi ci sognamo. Guardando alla composizione delle entrate si osserva come sia il capitale, sia il lavoro siano altamente tassati in Italia. Al contrario, le tasse sul consumo, con aliquote comunque altissime, per il noto fenomeno dell’erosione della base imponibile misto all’evasione, è ben al di sotto della media europea.
La Commisione Ue ha recentemente raccomandato all’Italia di tassare meno i fattori di produzione per spostare il carico fiscale su consumi e proprietà. Visti i dati, ci sia consentito di dire che la priorità è abbasare la pressione fiscale totale. Spostare il carico fiscale tramite continui aumenti di aliquote è solo un palliativo di scarsa efficacia. Le manovre sull’Iva del governo Berlusconi e Monti dovrebbero essere prese ad esempio. Un aumento delle aliquote non ha causato nessun aumento delle entrate fiscali, anche grazie alla forte contrazione dei consumi. E se provassimo, per una volta almeno, ad abbassare le tasse globalmente?