Mentre i tifosi delle big d’Europa fanno la fila fuori dai negozi per comprare le maglie nuove fiammanti di Angel Di Marìa, Radamel Falcao e James Rodriguez, c’è un portoghese che la mattina del 1° settembre, nel fare l’estratto conto, si è ritrovato con 30 milioni di euro in più. E non è Cristiano Ronaldo. È quello che ne cura gli interessi: Jorge Mendes, il re incontrastato dei procuratori. Grazie alla compravendita delle 3 stelle sull’asse Manchester-Madrid-Montecarlo, Mendes si è messo in tasca tre corposi assegni per le provvigioni. Ai quali vanno aggiunti quelli per il passaggio di Diego Costa dall’Atletico Madrid al Chelsea e di Mangala dal Porto al Manchester City.
I numeri di un impero, per cominciare
Il circuito di Mendes va dove si possono realizzare profitti. Ovvero in Premier League e in Liga, i campionati più ricchi e competitivi d’Europa grazie alle laute sponsorizzazioni, che permettono ai club di spendere e spandere a più non posso. In particolare, è in Inghilterra che si è compiuto l’ultimo capolavoro economico di Mendes. La sola Premier, nell’ultima sessione di calciomercato, ha sfiorato movimenti complessivi per quasi un miliardo di euro, con un saldo negativo tra entrare e uscita di circa 500 milioni. Di questi, 193 sono stati spesi dal Manchester United. La corazzata di Louis Van Gaal può contare su entrare faraoniche alla voce sponsorship: 57 milioni all’anno arrivano da Chevrolet da questa stagione, mentre dalla prossima Adidas ne verserà 94, per un accordo complessivo da 940 milioni di euro: una cifra totalmente fuori mercato, ma che permette al club di fare affari che ingolosiscono i tifosi dopo una stagione fallimentare e ingrossano il portafoglio di Mendes, che a Old Trafford ha portato Angel Di Marìa per 75 milioni di euro, più il prestito di Falcao (con riscatto fissato a 55 milioni). E poi c’è il Chelsea, che di milioni ne ha spesi 107 e che ha preso un altro cliente di Mendes, l’attaccante Diego Costa, pagato 38 milioni. Quindi il City, che muovendosi tra i paletti del Fair Play Finanziario ha preso Mangala dal Porto per 28 milioni.
E visto che c’era, Mendes ha portato James Rodriguez al Real Madrid per 60 milioni di euro. Calcolando le percentuali di provvigioni, il procuratore si è messo in tasca 30 milioni di euro. Rafforzando così un impero che vede la Gestifute fatturare 400 milioni di euro all’anno, al netto di una società che oggi ne vale oltre 500, avendo sotto la sua ala giocatori per un valore complessivo di 600 milioni di euro. La nostra Serie A, nell’ultimo mercato, ne ha spesi in tutti 300. Non dev’essere un caso, che Mendes da noi non faccia affari: nel nostro campionato ne sono arrivati due (Morata e Rafa Marquez), contro gli 11 piazzati in Spagna.
Dai nightclub a Cristiano Ronaldo
Assistere tre stelle del calcio mondiale ha i suoi costi. E se sei il migliore, costi più di tutti. Ne è passato di tempo da quando, nel 1996, Mendes incontrò Nuno Espirito Santo in un bar di Guimaraes. All’epoca, Jorge era un giovane procuratore a caccia di grandi colpi e il portiere Nuno, titolare nella squadra locale, voleva un club più in vista per giocarsi un posto in Nazionale. Mendes voleva fare il calciatore, ma molte squadre lo avevano scartato e si era dovuto ritirare presto dai campi, a 20 anni. Il riscatto aveva preso la forma del trasferimento di Nuno dal Vitoria Guimaraes al Deportivo la Coruna, nella più prestigiosa Liga Spagnola. Tutti contenti, o quasi. Il portiere giocherà nel Depor solo 4 partite in stagione e dovrà aspettare il 2008 per entrare nella rosa lusitana che giocherà agli Europei in casa. Mendes invece comincia a farsi un nome e, spinto dal successo dell’operazione, fonda una società, la Gestifute.
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Non è il primo business di Jorge. Che dopo aver abbandonato il calcio aveva cominciato a fare soldi proprio nella sua vecchia squadra, il Lenhense. Il club era in difficoltà, tanto che era Jorge a pagare gli stipendi arretrati agli ex compagni: in cambio, dal presidente del club, aveva ricevuto in gestione dei cartelloni pubblicitari dello stadio di casa. Con quei soldi aveva non solo estinto le pendenze della squadra, ma aveva aperto un negozio di vhs prima e un nightclub dopo, lo stesso in cui incontrerà Nuno. Un locale che facesse da palcoscenico alle sue performance da dj. E la Gestifute funziona proprio così. Per fare della sua passione un lavoro, Mendes il business se lo costruisce da solo. E va in giro per le scuole calcio portoghesi, dove osserva ore e ore di partite e convince alcuni ragazzi promettenti a firmare per la propria società. Per le nazionali giovanili portoghesi si sta aprendo un periodo d’oro e Mendes ne approfitta, mettendo sotto contratto Cristiano Ronaldo, Jorge Andrade e Hugo Viana. Nel 2002 Viana va in Inghilterra, al Newcastle, assistito da Mendes. È la sua prima operazione internazionale.
Ha fiuto, Mendes. Perché fa entrare nella propria scuderia i giocatori più promettenti proprio prima che questi firmino per club importanti. E di lui si comincia a parlare in negativo, ma l’importante è che se ne parli. Nel 2005 Ana Almeida si lamenta pubblicamente che il proprio assistito, il laterale d’attacco Nani, è passato sotto l’ala di Jorge un attimo prima di firmare con il Manchester United, quando era ancora Ana il suo procuratore. Ma la gente è invidiosa. E Mendes negli anni si è costruito una rete importante, con canali preferenziali tra Lisbona, Oporto e l’Inghilterra. Manchester, in particolare: oltre a Nani, all’Old Trafford finiscono pure Cristiano Ronaldo prima e Carlos Queiroz poi, come assistente del manager Alex Ferguson. Una rete che permette a Mendes di piazzare in Inghilterra giovani “raccomandati”. Succede nel 2010, quando Queiroz suggerisce a Ferguson l’emergente Tiago Manuel Correia Dias. Da piccolo, il fratello maggiore lo ha soprannominato Bébé e pigliano a chiamarlo tutti così. Di lui dicono che Mendes lo abbia scoperto durante la Homeless World Cup, il Mondiale dei senzatetto. Dicerie che si rivelano infondate. Mendes è potente, la gente come detto è invidiosa. Il re dei procuratori lo porta a Manchester, dove Ferguson lo conosce il giorno della firma del contratto: 7,4 milioni di sterline il costo dell’operazione, a Mendes come da prassi va il 5% sugli emolumenti, più 3 milioni di euro di mancia. Bébé, all’Old Trafford, i tifosi francamente non ricordano nemmeno che faccia abbia.
Nel 2008, negozia il passaggio di Felipe Scolari al Chelsea. L’allenatore brasiliano è ct del Portogallo e Mendes ottiene dal proprio cliente di «Là fuori è pieno di calciatori che hanno firmato contratti, ma che aspettano uno come Mendes per giocare in un grande club», accuserà pubblicamente Ana Almedia. Già, la vecchia guardia resta indietro e non gradisce. Resta leggendaria, in patria, la litigata furibonda che Mendes ha con il manager di Luis Figo, José Vega, nel 2000 all’aeroporto della capitale lusitana. Più che uno scontro verbale – e fisico – è un vero e proprio passaggio di consegne. La Superfute di Veiga si vede eroso il terreno dalla Gestifute e a poco serve l’estremo tentativo di trovare nuovi capitali quotandosi in Borsa a Parigi. Veiga molla il mondo delle procure entrando nel board del Benfica, ma arriva il crack del club e cade in disgrazia. Nel frattempo, il Portogallo diventa vicecampione d’Europa e molti nomi della Nazionale sono della Gestifute, che si specializza nella cessione dei diritti di sfruttamento d’immagine ad alcuni club: nel 2003, il Porto acquista il 20% di quelli del centrocampista Deco per 2,25 milioni di euro, più il 5% dei diritti di Ricardo Carvalho e di Ferreira. Il network è il vero passo avanti di Mendes. Rapporti, conoscenze, legami con i club. Se vuoi andare in una grande squadra, devi fare parte della sua società. Nel 2004, è lui a portare Josè Mourinho dal Porto al Chelsea. Ovviamente, Mou prima rompe con il suo vecchio procuratore, Jorge Baidek. Nel pacchetto sono compresi anche Ferreira e Carvalho (e in precedenza Thiago), per un totale di 40 milioni di euro, più la parcella del procuratore.
I rapporti con la Doyen e fondi d’investimento del Qatar
D’altronde, in Portogallo hanno un certo talento nel vedere lontano e fare soldi. Da qui arriva Nelio Lucas, 35 anni, amministratore delegato della Doyen Sport Investments, fondo d’investimento sulla bocca di molti negli ultimi mesi che genera ricavi lucrando sul player trading dei giocatori. Tra la Doyen e Mendes esiste un filo diretto. Nello spiegare i rapporti tra i due lusitani, il Daily Mail ha scritto che «Mendes e Peter Kenyon, ex ad di Manchetser United e Chelsea, sono stati erroneamente collegati alla Doyen». Sarà, ma quando Radamel Falcao è passato dall’Atletico Madrid al Monaco per 60 milioni di euro, solo 18 sono andati ai Colchoneros, mentre il resto della torta è finito nelle tasche della Doyen e di Mendes stesso, proprietario del 50% del cartellino del colombiano. Come certo deve essere un caso che Jorge rappresenti Mangala, uno dei calciatori che nell’ultima sessione di calciomercato ha arricchito il calcio inglese di un nuovo talento del calcio europeo e i conti correnti del procuratore e del fondo che dominano in Europa.
Il meccanismo è semplice. Si tratta di spalleggiarsi a vicenda. Le cosiddette Tpo (third party ownership) si comportano come quei fondi d’investimento che entrano nei capitali delle imprese da lanciare, finanziandole e poi creando profitto una volta che l’azienda produce utili, uscendo dal capitale dotandosi di una ricca buonuscita. E la Doyen tratta i giocatori proprio come aziende, investendo proprio sui più giovani e meno conosciuti. La Doyen compra e vende, Mendes media. Non lo fa sempre in prima persona, ma talvolta attraverso un altro fondo, il Quality, assieme a Kenyon. Il fondo ha sede nelle Manica, zona nota per la sua morbidezza fiscale. Una caratteristica tipica dei fondi impegnati nel calcio. Il Dis di Delcir Sonda, re brasiliano dei supermercati, ha sede poco dopo il confine con l’Uruguay mentre l’Msi di Kia Joorabchian, faccendiere protagonista dello sbarco in Europa di Carlos Tevez e Javier Mascherano, risulta nelle Isole Vergini.
E allora, sarebbe più corretto dire che il core business Doyen/Mendes è molto simile a quello dei private equity, perché spesso sull’origine dei capitali vige un certo riserbo. «Difficile spingersi oltre queste indiscrezioni perché il business delle Tpo è circondato da una certa riservatezza. Meglio mantenere un basso profilo dal momento che i regolamenti sportivi non sono uniformi: in alcuni Paesi è consentito ciò che altrove è vietato, ma nella maggior parte dei casi manca una disciplina specifica e in caso di controversia ci si affida alla giurisprudenza favorevole del Tas di Losanna», spiega in un ottimo articolo sui Tpo Stefano Scacchi, su “Repubblica”. Ma se la provenienza dei soldi non è nota, il profilo di chi li amministra sì.
L’ultimo caso è quello del giovane calciatore belga Maxime Lestienne, acquistato dal club qatariota Al Arabi ma girato in prestito con diritto di riscatto di 20 milioni al Genoa. È in Qatar, sede dei Mondiali di calcio del 2022, che si sta sviluppando l’ultima frontiera dei Tpo, che seguendo il solito schema consolidato tra Brasile e Europa investono su giovani calciatori per poi realizzare profitti sulla compravendita. Di mezzo c’è la famiglia reale degli Al Thani, proprietaria del Psg tramite il fondo Qatar Sport Investments e già in affari con Mendes, che tramite la Gestifute assiste il difensore centrale del club parigino Thiago Silva. Ma i punti di contatto non finiscono qui. Nel Golfo, a Dubai, opera il Royal Football Fund, che condivide con il Qsi la sede fiscale a Jersey, nella Manica. Molto vicino all’Irlanda del fondo Quality del duo Mendes/Kenyon. Serve altro?