Tra i videogiochi violenti e la violenza vera

Tra i videogiochi violenti e la violenza vera

È da almeno 30 anni che i videogiochi sono un fenomeno di massa. Ed è da almeno altrettanti che sentiamo parlare di quanto i videogiochi violenti trasformerebbe i “nostri ragazzi” in assassini, criminali, violenti (il primo caso è addirittura del 1976). I videogiochi violenti sono stati associati dai media e dalla politica al massacro della Columbine High School, a quello della Virginia Tech, a quello dell’isola di Utøya in Svezia, a quello recentissimo della Sandy Hook Elementary School. Ma cosa c’è di vero? I videogiochi violenti hanno una relazione diretta con la violenza o no? Alcune ricerche hanno mostrato che i videogiochi violenti portano a un aumento dell’aggressività nei giocatori, ma se e come questa aggressività si trasformi in violenza vera, nelle strade, in crimine, è tutto da dimostrare. Un nuovo studio, realizzato da alcuni ricercatori della Villanova University e della Rutgers University degli Stati Uniti, ha messo a confronto un po’ di dati e cercato di scoprire se c’è veramente una correlazione diretta tra i videogiochi violenti e il numero di crimini violenti.

La ricerca, intitolata Violent Video Games and Real-World Violence: Rhetoric Versus Data (Videogiochi violenti e violenza nel mondo vero: retorica contro dati) sarà pubblicata da Psychology of Popular Media Culture, una rivista edita dalla American Psychological Association a revisione paritaria (un metodo che garantisce una revisione delle metodologie di ricerca usate da parte di altri ricercatori, garantendo una certa affidabilità). E dice che la retorica non regge alla prova dei dati.

Lo studio si è basato su quattro analisi comparative basate sugli Stati Uniti: i cambiamenti nelle vendite di videogiochi violenti e nel numero di crimini violenti dal 1978 al 2011, i cambiamenti mensili nelle vendite di videogiochi violenti e crimini violenti dal 2007 al 2011, il volume di ricerche online per guide e soluzioni per i giochi violenti e il numero di crimini violenti dal 2004 al 2011, i crimini violenti in seguito alla pubblicazione di tre videogiochi violenti molto popolari: Grand Theft Auto: San Andreas, Grand Theft Auto IV e Call of Duty: Black Ops.

I risultati sono abbastanza incredibili. La ricerca dice che i videogame violenti hanno, sì, una correlazione col numero di crimini violenti, ma non quella che ci aspettiamo. L’aumento del consumo di videogiochi violenti non solo non porta in alcun modo all’aumento del numero di crimini violenti, ma pare invece che porti alla diminuzione, almeno nei mesi immediatamente successivi alla pubblicazione.

Il perché succeda è ancora dubbio, ma i ricercatori suggeriscono alcune ipotesi. La prima teoria è che i videogiochi violenti funzionino come strumento di catarsi. Ovvero: sfogando la violenza nel virtuale, i giocatori non la portano nel reale. E alcuni studi hanno addirittura suggerito che gli adolescenti usino i videogiochi come strumento di sfogo per l’aggressività. La seconda spiegazione è molto più pratica. I videogiochi violenti hanno un target molto ben definito: i giovani maschi, e i giovani maschi sono anche i più frequenti autori di crimini violenti. La teoria dei ricercatori è che, nei mesi immediatamente successivi alla pubblicazione dei giochi violenti, i giovani maschi siano più spesso in casa davanti al computer o alla console a giocare, piuttosto che in strada a compiere crimini violenti.

Ma alcuni studi, dicevamo all’inizio, hanno dimostrato che c’è un aumento di aggressività in chi gioca a videogiochi violenti. Vero, ma la violenza causata dal consumo di videogiochi, spiegano i ricercatori, è molto difficile da misurare in laboratorio. Le pratiche più comuni per misurare l’effetto dei videogiochi sono due. O un sondaggio in cui i partecipanti rispondono a delle domande dopo aver giocato ai videogame o delle prove in laboratorio in cui a due gruppi vengono fatti giocare rispettivamente un videogioco violento e uno non violento per qualche decina di minuti, e poi vengono sottoposti a dei test in cui gli viene chiesto se sarebbero disposti a adottare delle pratiche aggressive nei confronti di altre persone (ad esempio: dare della salsa piccante a persone che odiano i cibi piccanti o esporre una persona a un noise blast, un rumore molto forte e fastidioso). E benché molti di questi test abbiano dimostrato che c’è veramente un aumento di aggressività nei giocatori che giocano a videogiochi violenti, è difficile collegare questa aggressività all’aumento di crimini violenti: insomma, è difficile dimostrare che essere disposti a fare qualcosa di spiacevole a qualcuno voglia anche dire essere pronti a picchiarlo, derubarlo o ucciderlo. Ed è possibile che questa aggressività si manifesti in contesti molto più privati e personali, senza sfociare in crimini, e anche senza essere dannosa.

Il passaggio fondamentale della ricerca, vale la pena semplicemente citarlo: «nessuno scienziato ha mai suggerito che i videogiochi violenti siano l’unica causa di comportamenti violenti, così come nessuno scienziato ha mai suggerito che […] fumare sia l’unica causa del cancro ai polmoni. Ma i fattori di rischio […] del fumare sono forti abbastanza da […] mostrare che quando molte persone hanno smesso di fumare, c’è stata una forte diminuzione dei casi di cancro ai polmoni. Questo pattern non esiste coi videogiochi violenti. Benché sempre più persone siano state esposte a videogiochi violenti, i crimini violenti non sono aumentati. Sembra che gli effetti negativi dei videogiochi sui comportamenti violenti siano o inesistenti o ridimensionati da altri fattori che rendono l’effetto dei videogiochi violenti inesistente».

In un’intervista a Polygon, i ricercatori sottolineano che lo studio si basa sulla correlazione e che bisogna essere sempre cauti quando si analizzano le correlazioni, perché anche se due cose sono correlate non significa che siano l’una causa dell’altra. Ma «non abbiamo semplicemente guardato i dati di vendita e i dati dei crimini violenti. Abbiamo preso in considerazione anche trend nei dati. E abbiamo rimosso cose che succedono in modo prevedibile, come l’aumento degli omicidi durante l’estate e il picco di vendite vicino a Natale, e [la relazione tra videogiochi e crimini violenti] è sempre negativa. Quello che mi  stupisce di più è che non è mai positiva. È sempre statisticamente negativa».