Le parole sono difficili perché i dizionari sono trappole, non si può uscire. I dizionari sono delle mura grandissime che cingono il nulla, sono la superficie fatta lessico, l’orizzontalità fatta sistema. È tutto tangente, tutto circolare, solo che non si tange nulla e non si accerchia nessuno. Per esempio. Prendo una parola a caso, mucca. Bene, vado in qualsiasi dizionario e cerco sotto la lettera M, trovando la definizione: vacca lattifera. Ma la vacca cos’è? Femmina adulta dei bovini. E i bovini? I buoi. E i buoi? Maschi castrati dei bovini domestici. Uhm.
Dai dizionari non si esce, si rimane sempre invischiati in quel reticolato di definizioni che rimandano direttamente o indirettamente l’una all’altra, all’infinito.
Cambiamo strada. Lattifera, che produce latte. E il latte è un liquido denso, bianco opaco prodotto dalla secrezione di ghiandole mammarie. Aspetta un attimo. Cosa sarebbero queste ghiandole mammarie? E cosa vuol dire opaco? Insomma, abbiamo capito. Le parole sono difficili perché dai dizionari non si esce, si rimane sempre invischiati in quel reticolato di definizioni che rimandano direttamente o indirettamente l’una all’altra, all’infinito. Non c’è salvezza.
Questo significa, magari, che i dizionari non producono né aggiungono cultura, semplicemente la sistematizzano, che è una bella cosa, per carità, ma di certo non si impara nulla, non si avanza, non si accresce.
Andrea Girolami è riuscito a risolvere questo annoso inghippo con il suo Atlante delle cose nuove, uscito per Indiana Editore che, bisogna dirlo, pubblica sempre della bella roba. Ma come ci è riuscito, dicevamo? Anzitutto chiamandolo atlante e non dizionario, e mi sembra un’intuizione non da poco. L’atlante, almeno letteralmente, è un libro che raccoglie le carte geografiche. Per estensione, si intende per atlante un libro che raccoglie illustrazioni anche di argomento non geografico, come l’astronomia o l’anatomia. Per estensione ulteriore, si intende per atlante un libro in cui ci sono delle figurine dentro che spiegano qualcosa e non sono solo decorative.
Nel libro di Andrea Girolami non c’è nemmeno una figura, a parte quella della copertina, ma è come se ci fossero.
Nel libro di Andrea Girolami non c’è nemmeno una figura, a parte quella della copertina, ma è come se ci fossero. Intanto perché, in realtà, ci sono tutte e si trovano sul sito omonimo – e mi sembra una cosa abbastanza nuova per un libro, quindi rimaniamo coerenti con il titolo. Poi perché Girolami non vuol dare delle definizioni ma delle immagini, le immagini di quarantotto parole che rappresentano e, appunto, illustrano il mondo che cambia.
Il secondo motivo per cui l’autore è riuscito a spezzare il paradosso del dizionario è che le parole che ha scelto, a parte alcune ovvie eccezioni come captcha o crowdsourcing, non sono parole nuove, neologismi o anglicismi o che altro. È roba tipo “anonimato”, “poster”, “faccia”, “ossessione”, “lavoro”, “lista”, eccetera. Dicevamo all’inizio che le parole sono difficili, ma non solo per colpa dei dizionari. Sono difficili perché spesso cambiano significato, si svuotano e si riempiono come otri e non è bene mai del tutto chiaro chi sia davvero che si procura l’acqua. Ma non possiamo vivere in un mondo con parole così cangianti, ci vuole univocità, ci vuole accordo e, paradossalmente, è proprio quello che ci dà la pluralità di internet, con una serie pressoché infinita di immagini, spunti e ragionamenti che, se raggruppati insieme, diventano un oggetto abbastanza coeso e coerente da poter essere definito.
Andrea Girolami fa questa roba qui: tira le fila e si pone come portavoce di una pluralità
Andrea Girolami fa questa roba qui: tira le fila e si pone come portavoce di una pluralità. Intendiamoci: non lo fa perché è un bullo o uno spaccone (lo è, ma non in questo caso, certo), semplicemente è stato il primo a pensarci e a fondare un atlante su quella poetica del “lo sapevo e non lo sapevo” tipica del nuovo lessico contemporaneo. Perché L’atlante delle cose nuove non è un manuale per analfabeti informatici né una stele di Rosetta per smanettoni con la canottiera in rilievo sotto la polo gialla Fruit of the Loom.
Piuttosto è un libro piacevole da leggere e da guardare (l’oggetto è bellissimo, le illustrazioni sul sito splendide) che non ha nessuna pretesa e nessuna presunzione ma, per una volta, fissa alcuni concetti cardine della nostra contemporaneità affiancandogli delle immagini, fatte di aneddoti, riferimenti alla cultura contemporanea e tanto altro. Dirime quei dubbi, quelle insicurezze anche minime sull’esatta collocazione di alcune parole e le inspessisce, accrescendone il significato tramite accumulo di storie e illustrazioni che dovrebbero descriverle ma, in realtà e in un certo senso, le liberano. Dal dizionario, dall’ignoranza e, paradossalmente, da internet stesso.