Sorpresa, le piccole e medie imprese non sono un ostacolo all’innovazione

Sorpresa, le piccole e medie imprese non sono un ostacolo all’innovazione

A fare le equazioni a volte i conti non tornano. Da anni sentiamo dire che le Pmi sono una zavorra all’innovazione, ma i numeri non confermano il luogo comune. Siamo il secondo Paese in Europa per numero di aziende (65.481) che negli ultimi tre anni hanno introdotto innovazioni di processo o di prodotto. Di queste, più dell’80% ha meno di 50 dipendenti. Meglio di noi, spiega il rapporto, in Europa fa la sola Germania, con 90mila aziende, mentre Regno Unito, Francia e Spagna ne hanno molte meno. A dirlo è lo studio “Pmi e la sfida della qualità”, curato da Fondazione Symbola e Cna, che interpretano questi numeri come il «segno evidente che le dimensioni delle nostre Pmi non sono affatto un ostacolo all’innovazione». 

Una fotografia di questa innovazione si vede nel design, in scena in questi giorni al Salone del Mobile di Milano. Se si prendono i brevetti comunitari relativi a questo comparto l’Italia fa meglio di tutti i vicini, Germania esclusa. Si piazza infatti nelle prime tre posizioni per numero di progetti depositati in 22 classi di brevetto su 32. Francia e Regno Unito si fermano a 16 classi, la Spagna non entra mai sul podio. La invece c’è sempre, in 32 classi su 32. 

Prima di festeggiare è subito il caso di ricordare che, se è vero che le dal 2000 le spese di ricerca e sviluppo sono aumentate in Italia del 30%, gli investimenti in apparecchiature hardware in Italia sono al palo. Lo stesso trend si può osservare per gli investimenti in software protetti da brevetto o copyright, dove l’Italia non solo arranca nei confronti degli Stati Uniti, ma è distanziata fortemente dai suoi maggiori partner dell’Unione Europea.

Se i limiti italiani non scompaiono, è merito della Fondazione Symbola fissare nero su bianco dei dati sulla nostra competitività che troppo spesso vengono sviliti nella narrazione giornalistica. Questa volta è il turno delle Pmi, che dall’analisi «emergono per ciò che sono: non un peso di cui liberarsi ma una delle chiavi di volta del made in Italy, tra le più adatte e versatili a mettere a frutto le virtù che in tanti al mondo ci riconoscono».

Tra le piccole imprese europee, è la tesi di fondo, le nostre sono particolarmente capaci di innovare, esportare, creare prodotti che hanno un alto valore aggiunto, riconosciuto dai mercati. Così si spiega perché le micro e piccole aziende italiane contribuiscono per oltre un quinto (22,1%, 77 miliardi di euro) al valore aggiunto prodotto in Europa dalle imprese della manifattura fino a 50 addetti. È grazie a queste piccole realtà che Brescia e Bergamo risultano  le prime due province manifatturiere d’Europa (per valore assoluto), davanti alla tedesca Wolfsburg, che ospita la Volkswagen. Bergamo e Brescia sono seguite, nelle prime 20 posizioni europee, da altre 9 province tricolori.

Valore aggiunto delle piccole imprese manifatturiere (quote % sul totale UE, imprese con meno di 50 addetti)

Cartina di tornasole di questa relativa forza delle Pmi italiane è l’export: le Pmi italiane sono un quarto delle piccole imprese esportatrici in Europa (più delle tedesche, che sono il 14,5% del totale europeo), e rappresentano ben il 90% del totale delle imprese manifatturiere esportatrici nel nostro Paese.

Piccole imprese esportatrici (valori assoluti e quote % sul totale UE, imprese con meno di 50 addetti) 

Una conseguenza è che siamo primi al mondo per valore medio unitario di 255 prodotti. Tra questi ci sono sia blasoni del made in Italy (dall’agroalimentare alla meccanica al mobile e design alla moda), sia rappresentanti di settori nuovi e innovativi: «si va dai motocicli ai formaggi – esemplificano Symbola e Cna -, dalle borse alle parti di orologi, e poi cappotti, calzature, guanti e portafogli, ma anche pellicole cinematografiche, funghi e carta da riciclare, cinghie di trasmissione e pannelli di legno, pianoforti a coda, violini e fresatrici per metalli, bastoni per golf e tavole da windsurf».

Numero di prodotti con più alto Valore Medio Unitario (rapporto tra valore e quantità prodotto), 2013



La seconda parte dello studio dice che le nostre imprese hanno dei meriti, in genere ignorati dall’opinione pubblica, anche sul versante ambientale e culturale. «L’Italia – si legge nel rapporto – è tra i primi Paesi dell’Ue per eco-efficienza del sistema produttivo, con 104 tonnellate di anidride carbonica ogni milione di euro prodotto (la Germania ne immette in atmosfera 143, il Regno Unito 130), e 41 di rifiuti (65 la Germania e il Regno Unito, 93 la Francia)». Inoltre, il 51% delle Pmi italiane ha almeno un “green job”, ossia un lavoro legato in qualche modo alla tutela dell’ambiente, percentuale superiore a quella dei Paesi vicini europei. 

Tonnellate di CO e di rifiuti per milione di Euro prodotto

Quanto al turismo, in genere dimentichiamo che l’«Italia è il primo Paese dell’eurozona per numero di pernottamenti di turisti extra-Ue – come ricorda lo studio -, con 56 milioni di notti: 13 milioni in più rispetto alla Spagna» e 17 in più della Francia. Numeri raggiunti in gran parte grazie alle Pmi. 

La conclusione di Symbola e Cna è qualcosa di molto diverso rispetto alla narrazione usuale della stampa. «Se vogliamo che il Paese si lasci definitivamente alle spalle la crisi, e che torni a guardare a testa alta i partner europei e i competitor mondiali, va valorizzato. Vanno sostenute, e vanno additate come modelli, le imprese che hanno intrapreso questo cammino. Vanno rimossi gli ostacoli che le frenano, per far sì che le storie di successo individuali – e potremmo citarne davvero tante – diventino il successo di un intero sistema produttivo».

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