Carmen Consoli: “L’Italia è nel baratro ma la bellezza ci salverà”

L’intervista

Un romanticismo impegnato e consapevole alla base del nuovo disco di Carmen Consoli, L’abitudine di tornare. Nessun moto di ribellione, nessuna canzone di protesta, solo il desiderio di raccontare l’Italia con gli occhi di una donna attenta e impertinente. Avvolgente il legame tra musica e parole, convincente quello tra attualità e speranza. Con una dolce ammissione: «Ho un debole per Papa Francesco, quest’uomo farà la rivoluzione». Carmen in perfetto equilibrio tra la denuncia e la compassione, quando canta l’arrivo dei migranti sulle nostre coste (La notte più lunga), Carmen e la Palermo di Esercito Silente, un popolo che sapeva “sfidare la malavita a suon di musica e poesia”.

L’incontro gira intorno alla cultura, perché – ripete la cantautrice orgogliosamente catanese – «la tolleranza si diffonde sempre in un luogo dove c’è cultura». In mezzo, la (stupenda) contraddizione di un’artista che ama e difende il suo Paese, pur definendolo impiccione, conservatore e un po’ razzista. Come darle torto…?

Ogni pezzo lancia una “richiesta di attenzione” rivolta, soprattutto, all’umanità, alla nostra condizione di essere umani

Azzardo subito: il nuovo disco è lo specchio di una moderna canzone di protesta?
Mi lusinga come definizione, ma direi che è un po’ esagerata. Non fuori luogo, ma vicino all’azzardo. Ci sono tanti brani che vivono e vibrano sul tappeto di una protesta sana, intesa come proposta, e questo costituisce il valore aggiunto di un lavoro discografico. Io resto una cantautrice romantica. Impegnata, sì, ma romantica. Mi piace l’idea della canzone d’amore, dell’amore che riflette la vita quotidiana, non solo quello tra due amanti.

Ogni pezzo sembra quasi lanciare un messaggio, un sasso nello stagno…
Diciamo che si tratta più propriamente di “richieste di attenzione”. Attenzione rivolta, soprattutto, all’umanità, alla nostra condizione di essere umani. Bisognerebbe investire tutti i giorni e di più sul valore extra-sociale che tiene unite le persone, indipendentemente da sesso, lavoro, etnia, religione. Quel valore si chiama felicità.

A proposito di popoli e di differenze. Quanto mai attuale è La notte più lunga , con i profughi sempre più nel vortice dei media e sempre meno oggetto di una soluzione.
Non è completamente esatto. Qualcuno dimostra di aprire le frontiere, di aprirsi alle differenze, eliminando le diffidenze. La mia è una terra in cui esistono rifugiati, non migranti, uomini e donne che sbarcano sulle nostre coste per assicurarsi una possibilità di sopravvivenza. Sono ospiti che ci chiedono aiuto. Ti sei domandato perché lo fanno da anni?

Perché?
Anni fa abbiamo sventolato il vessillo della libertà, il “grande Occidente” avrebbe dovuto liberare i popoli oppressi da questi dittatori senza scrupoli. Lo abbiamo fatto, e lo abbiamo detto, anche per giustificare i nostri sciagurati interventi militari. Loro hanno creduto alle nostre promesse e adesso bussano alla nostra porta. Credo che un segno di civiltà sia anche quello di offrire pasti, soccorsi e accoglienza, non solo quello di fare bene la raccolta differenziata…

Siamo stati abbastanza civili?
Non so, so che continuo ad apprezzare il reiterato monito del Papa ad aprire le parrocchie a tutti. Mi piace quel che dice Francesco, come lo dice. È l’unico vero rivoluzionario che conosco. Io, pur non non essendo cattolica, credo che le chiese costituiscano ancora il posto migliore per accogliere chi viene da lontano. E anche quelle mamme che vogliono allattare in pace i propri figli. Credo anche che Papa Francesco, parlando di parrocchie, si riferisca a tutte le proprietà del Vaticano: sarebbero luoghi ideali per offrire alloggio a tutti i disperati del mondo.

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La Sicilia è una terra in cui esistono rifugiati, non migranti, uomini e donne che sbarcano sulle nostre coste per assicurarsi una possibilità di sopravvivenza. Sono ospiti che ci chiedono aiuto

Da La notte più lunga a Ottobre , mi sembra un album che ha molto a cuore il tema del “diverso”. Come si muove l’Italia verso il diverso?
Siamo abbastanza conservatori. L’Italia è da sempre molto impicciona, si cura di tutte le abitudini altrui, giudica e critica tutto quello che non risponde ai canoni della normalità. Ammesso che quei canoni normali siano veramente normali. Al riguardo, mi viene in mente il film Indovina chi viene a cena: anche lì amore e diverso non riuscivano a stare in equilibrio, sempre a causa della reazione di un’ottusa e ignorante collettività.

L’Italia ha paura del diverso?
Assolutamente sì. Siamo stati educati al fatto che essere diverso significhi essere cattivo. Niente di più sbagliato, se pensi poi che il Diverso, nella religione cristiana, è rappresentato proprio da Dio. Il viandante, il prossimo. L’amore non ha confini, non ha differenze, è assai triste basarsi su presupposti anatomici per considerarsi famiglia. Mi viene difficile non dare al mio paese l’etichetta di “razzista”, perché l’omofobia vuol dire razzismo: l’omosessualità non è mica una malattia, non lo è mai stata. Poi non bisogna meravigliarsi se dilagano fenomeni di violenza, perché la tolleranza si diffonde nei luoghi dove c’è cultura. E da noi, negli ultimi vent’anni, la cultura è stata mortificata.

Sono versi tuoi: “.. un tuffo al buio necessario negli abissi di una nuova vita ”. Si è sempre destinati a scappare per trovare libertà e identità?
Ogni fuga ha direzioni svariate. Spesso si scappa per prendere una decisione, spesso tocca lasciare il certo per l’incerto: questo capita anche nella scelta del lavoro, del posto o del paese in cui andare a lavorare. Si scappa dai genitori, lo si fa per difendere un’idea, per trovare quella che tu chiami ’identità’. Alla lunga, credo sia sempre preferibile ascoltare il proprio cuore, con la consapevolezza che seguire il cuore comporti comunque una rinuncia. Del resto, una volta cantavo: “si dice che ad ogni rinuncia corrisponda una contropartita considerevole…”.

E in cos’altro credi?
Non credo nella morale, ma nell’etica. Credo all’attenzione per l’individuo, a chi dà attenzione al singolo individuo. Credo che un giovane “accusato” di omosessualità, magari voglia diventare semplicemente sacerdote. Fammelo dire, siamo arrivati al paradosso: oggi è quasi meglio essere gay che essere preti! Porca miseria… Ma io dico: se un povero ragazzo di provincia sente la vocazione, che senso ha vergognarsi? E così è costretto a pregare di nascosto, al riparo dai genitori disperati perché la propria creatura non si mariterà e non farà figli.

La Sicilia ha avuto i più grandi eroi dell’antimafia. Ma ormai la malavita sa muoversi nella legalità, fanno tutto con la penna, non più con la pistola

Si può dire, insomma, che il più trasgressivo è chi vuole fare il religioso…
Assolutamente sì! E aggiungo: oggi la normalità è pura trasgressione. È trasgressivo chi preferisce fare la spesa a postare un tweet, oppure chi – come me – decide di coltivare un campo o allattare un figlio. Pensa che io stessa sono stata accusata di eccedere con l’allattamento, di essere la negazione della femminilità, di voler creare da subito un rapporto malsano con mio figlio! Dove siamo arrivati? Non capirò mai perché una cosa così naturale debba generare scandalo. Forse perché anormale, diversa. Torniamo sempre lì, eh…

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Passiamo a Esercito silente : quali e quanti legami con Mulini a vento , brano del 2002 dedicato a Falcone e Borsellino?
La tematica è simile. Come ho detto prima, non sono cristiana e non credo in Dio, ma ho enorme rispetto per chi crede in Dio. Attribuisco agli uomini la capacità di cambiare le cose, non si può aspettare qualcuno che faccia le cose per noi. Si chiama rivoluzione umana e poggia sulle piccole cose, soprattutto sul fare bene il proprio lavoro, con passione e dedizione. Giorno dopo giorno.

..e della tua Sicilia che dici?
Credo che abbia avuto i più grandi eroi dell’antimafia, credo anche che molto tempo fa sia riuscita a partorire una soluzione: uomini come Peppino Impastato capaci di diffondere la cultura come esempio di bellezza e come antidoto alla bruttezza dilagante. Questa era e rimane la chiave: un esercito di maestri ci salverà. Ma tocca avere pazienza, ci vuole sempre molto tempo perché le cose prendano forma. Detto questo, c’è una sottile differenza col passato: ormai la malavita sa muoversi nella legalità, fanno tutto con la penna, non più con la pistola. Ci hanno fregato, insomma.

Tante speranze aleggiano su E forse un giorno . Non è il brano simbolo del disco, ma forse ne è la base: ti sei messa alla finestra e hai deciso di raccontare tutto quello che vedevi là fuori…
A me piace stare alla finestra, bravo. Quel brano altro non è che un’intervista di una donna trascritta e messa in rima. Se un giorno venisse a cercarmi, sarò anche costretta a pagarle i diritti. Racconta di una famiglia costretta a dormire in macchina: un giorno trovano un biglietto sul parabrezza, nessun gesto di solidarietà, solo una multa! Allora, mi piace cantare che “ ..una primavera tornerà nei nostri poveri cuori abbrutiti e invecchiati e li scalderà…”, ma se ci levano la speranza, dove vogliamo andare?

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