Sarà una delle prime questioni che dovranno affrontare il nuovo governo di Alexis Tsipras, uscito vincitore dalle elezioni anticipate del 20 settembre, e le “Istituzioni”, o ex Troika, che detengono gran parte del debito di Atene. Su quello che avverrà in futuro peserà la decisione politica delle cancellerie europee, dopo che lo stesso Fondo monetario internazionale, una delle tre istituzioni creditrici, ha già insistito sulla sua riduzione. Ma l’attuale livello di debito è compatibile con il percorso delle riforme e la crescita in prospettiva dell’economia greca? Linkiesta ospita un dibattito tra Giorgio Arfaras, economista del Centro Einaudi di Torino, e Alessio Terzi del think tank Bruegel di Bruxelles.
Scrive Giorgio Arfaras: «Il debito pubblico greco è enorme – il 180% del PIL – ma è detenuto dalla Troika per l’ottanta per cento e costa alla Grecia circa il due per cento. Costa, come ovvio, ben di più il rimanente venti per cento che è in mano ai privati. Tuttavia, se la Grecia seguisse la strada delle riforme, esso potrebbe prima o poi rientrare nei programmi di acquisto della banca centrale europea – il famigerato Quantitative Easing – e quindi finire per costare molto meno. Insomma, il debito è grosso, ma costa poco, e scade nel lontano futuro».
Diverso il parere di Alessio Terzi, intervistato da Arianna Sgammotta: «Ora come ora il debito ellenico è insostenibile. Questo è un dato di fatto. È chiaro a tutti. (…) È probabile che si proceda a una rinegoziazione della sua extension of maturity, e cioè spalmare il rimborso degli interessi del debito su più decenni. Non è difficile capire che questa opzione, politicamente più praticabile, non risolve il problema. La Grecia resterebbe anche in questo scenario non appetibile per gli investitori stranieri e questo significa tenere lontani dal Paese gli investimenti».