Un mesetto fa, più o meno, Parmigiano Reggiano e Pornhub sono stati protagonisti di un siparietto niente male che, alla fine della fiera, ha dimostrato come il Consorzio abbia idee di marketing abbastanza antiquate, se non proprio sbagliate. La storia è abbastanza famosa ma interessante, soprattutto alla luce del concetto del definire uno standard.
Dicendo che il Parmigiano è il Pornhub Premium dei formaggi, si associa un prodotto d’eccellenza a un prodotto da promuovere
In poche parole, il colosso del porno americano aveva messo online una serie di video per promuovere il proprio abbonamento premium, paragonandolo a tre prodotti d’eccellenza: il Parmigiano Reggiano, appunto, poi un vestito da sposa e una grande villa. L’idea che ci sta dietro è semplice ma molto intelligente: Pornhub Premium non lo conosce nessuno, il Parmigiano lo conoscono tutti; dicendo che il Parmigiano è il Pornhub Premium dei formaggi, si associa un prodotto d’eccellenza a un prodotto da promuovere, ribaltando i rapporti di potere e trasferendo sul Premium tutte le qualità, già largamente riconosciute, del Parmigiano. Poi vabbè, i ragazzi di Parma si sono un po’ arrabbiati, ma questo è un altro discorso.
Il discorso rilevante, in questa sede, è la dinamica di costruzione di uno standard di eccellenza e la sua applicazione nella linearità temporale e storica: come si crea, come si distrugge, come si ripropone. Per diventare uno standard di eccellenza, servono almeno due cose: l’effettiva qualità superiore e un sistema di riferimento condiviso dal quale emergere come, appunto, eccellenza.
Il Parmigiano Reggiano, all’interno del sistema di riferimento dei formaggi, è l’eccellenza perché, a torto o a ragione, viene messo in discorso come più buono di tutti gli altri. Ma questi altri sono fondamentali, altrimenti non avremmo le categorie per sancirne la superiorità. Funziona tutto per relazioni negative: io sono più buono non tanto per un afflato di assolutismo, quanto perché il mio sistema di riferimento contiene altri soggetti che sono meno buoni di me. Quello che ha fatto Pornhub è stato paragonare due sistemi di riferimento diversissimi tra loro – il cibo e il porno – e trasferire le caratteristiche già acquisite del Parmigiano per magnificare il proprio prodotto, creando una relazione inedita e sorprendente. Per questo i video sono così divertenti.
Cosa succede quando un prodotto, un marchio, un atleta, un essere umano diventa un sistema di riferimento?
Molto bene, questo l’abbiamo capito. Ma cosa succede quando un prodotto, un marchio, un atleta, un essere umano diventa un sistema di riferimento? Per rispondere a questa domanda bisogna scomodare il re di tutti i re – che non è Aragorn ma Michael Jordan – e la bellissima biografia Michael Jordan, la vita, di Roland Lazenby, pubblicata meritoriamente da 66thand2nd.
Il librone – quasi ottocento pagine di godimento – racconta la storia di MJ dalle origini, i nonni, fino al tempo presente, passando per tutte le tappe della vita e della carriera del fenomeno di Wilmington. Tralasciando l’enorme importanza documentaristica e filologica di un’operazione di questo tipo, che si può facilmente immaginare attraverso la sua esaustività ma che, allo stesso tempo, non è raccontabile se non in scala 1 a 1, il concetto che esplode dalle pagine del libro è uno e uno soltanto: Michael Jordan funziona come il superamento della querelle tra Pornhub e Parmigiano Reggiano. Vediamo perché.
Michael Jordan è sempre stato amatissimo dal pubblico e, allo stesso tempo, odiatissimo da allenatori, avversari e, spesso, compagni di squadra. Il motivo è molto semplice: è una persona orribile. In pochissimi casi nella storia si dà una situazione del genere: l’uomo con l’ego più smisurato al mondo è anche l’uomo più forte del mondo nel suo campo, e probabilmente in molti campi limitrofi. Non succede quasi mai, per fortuna; di solito gli sbruffoni vengono sconfitti e gli umili si prendono tutte le rivincite possibili.
Michael Jordan no. La sua competitività letteralmente eccessiva e la sua arroganza costitutiva sono cresciute insieme al suo talento, mai visto prima su un campo da basket e, molto probabilmente, su nessun altro campo da gioco di qualsiasi sport. Questo gli ha permesso di settare un nuovo standard e diventare pietra di paragone, anche retroattiva, per tutti coloro che decidono di allacciarsi le scarpe e palleggiare sul cemento o sul parquet. Qualsiasi grande giocatore di basket è stato paragonato a Michael Jordan e ha inevitabilmente perso la partita: Kobe Bryant e LeBron James su tutti.
La grandezza di MJ, a questo punto, non è tanto l’essere stato effettivamente più forte di tutti gli altri – e non è detto, anzi – quanto essere riuscito a diventare un sistema di riferimento da solo prima di tutti gli altri. E come ha fatto? Semplice: cambiando il paradigma.
Ci sono due modi per far avanzare una disciplina nel tempo: alzare l’asticella e cambiare paradigma. Per usare una metafora concreta, prendiamo il salto in alto. Prima del 1968, gli atleti saltavano con la tecnica ventrale, cioè con il torso rivolto verso il basso. Nel tempo, come sempre succede, i campioni si sono succeduti e l’asticella ha continuato ad alzarsi, metaforicamente e letteralmente. Poi, nel 1968, il buon Dick Fosbury inventò l’omonimo stile e cominciò a saltare di schiena, vincendo l’oro olimpico e cambiando paradigma.
Poi, certo, da quel momento in poi l’asticella si è alzata sempre di più, tuttavia ciò che ha reso possibile la nascita e la crescita di nuovi grandi campioni non è stato il semplice superamento di un record ma, al contrario, il cambio di stile. Fosbury era più o meno forte di Sotomayor? Chissà, di certo Sotomayor saltava in stile Fosbury, e non viceversa.
Le categorie per definire la qualità e l’importanza di chi ha cambiato paradigma, e non solamente di chi ha alzato l’asticella, sono molto difficili da definire perché articolano un sistema di riferimento nuovo, inedito e, dunque, suscettibile di costruzione e calcificazione nel tempo. In più, sembrano ribellarsi alla normale linearità del tempo, un concatenamento di cause ed effetti che tende a riproporsi ciclicamente.
Questo per dire: forse LeBron James è, centimetro per centimetro, più forte di Jordan. Tuttavia, sulla schiena, porta il numero 23. LBJ è meglio di MJ? Magari sì, ma Jordan è Jordan, non scherziamo. Questa particolare dinamica di rapporti di forza sembra la naturale evoluzione del rapporto che si era instaurato tra Pornhub e Parmigiano Reggiano e si può sorprendentemente applicare a qualsiasi cosa. Le serie tv, per esempio. Lost. Lost ha cambiato il paradigma. Poi, Breaking Bad è più bella di Lost, Fringe è più bella di Lost ma, purtroppo o per fortuna, non sono Lost e non lo saranno mai. Lost è il Jordan delle serie tv.
La letteratura, per esempio. Meno di zero non è il libro più bello di Bret Easton Ellis (se la giocano Lunar Park e Glamorama), tuttavia Meno di zero è il Jordan della bibliografia di BEE, perché ha cambiato il paradigma e si è inventato un nuovo modo di scrivere. E così via.
Michael Jordan è un modello di eccellenza che non si è costruito a partire da un sistema di riferimento, come succede di solito; al contrario, ha costruito il proprio sistema di riferimento, obbligando tutti quelli che sono venuti dopo di lui a sottostarne.
Michael Jordan è anche la negazione dell’eterno ritorno, è una singolarità, un fixed point in time che agisce in avanti e indietro
È la storia che ripropone continuamente se stessa attraverso un bolso cinquantenne che, tra l’altro, si è rivelato un medio(cre) dirigente e proprietario sportivo. Ma Michael Jordan è anche la negazione dell’eterno ritorno, è una singolarità, un fixed point in time che agisce in avanti e indietro, proattivamente e retroattivamente. Paradossalmente, infatti, anche gli atleti che giocavano a basket prima di lui sono stati risucchiati dal sistema di riferimento che ha costruito ed espanso a macchia d’olio, fino a riempire del tutto un’intera categoria, quella dei giocatori di pallacanestro, abolendo la linearità del tempo.
A volte ritornano, sosteneva Stephen King nella sua strabiliante prima raccolta di racconti del 1978. Michael Jordan non ritorna mai. Altro che Giambattista Vico; altro che Federico Nieztsche. Michael Jordan è. E basta.