Allora ci siamo, o almeno così sembra. Pochi giorni fa il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha presentato il progetto dello Human Technopole, che prevede l’istituzione di un grande polo della ricerca avanzata sull’area di Expo a Rho-Pero: 70 mila metri quadri (sul milione e 48 mila del sito), di cui 30 mila riservati a laboratori tecnici messi a disposizione di un migliaio tra scienziati, ricercatori e tecnici, e di circa 600 dottorati di ricerca. Tra le cinque macro aree di lavoro colpisce in particolare la prima: tecnologie per il welfare e contro l’invecchiamento (per completezza ricordiamo le altre: medicina di precisione, tecnologie per la nutrizione e l’agronomia, nanotecnologie e confezionamento del cibo, soluzioni innovative per preservare il patrimonio culturale e artistico del Paese). Un investimento previsto di 150 milioni l’anno da parte dello Stato una volta che la struttura sarà a regime.
Ma torniamo al primo punto. Suggestivo e ambizioso specie in un Paese alle prese da anni con il problema dell’invecchiamento della società, con il lento, lentissimo, quasi immobile assorbimento dei giovani nel mercato del lavoro, nelle università, nella politica stessa, fatta salva qualche eccezione locale.
In una realtà simile, scienza medica e ricerca tengono giustamente alta l’asticella dei rispettivi obiettivi: farci vivere più a lungo e meglio, a dimostrazione che il mito classico dell’eterna giovinezza, nato nella Grecia antica e arrivato fino a noi passando per la leggenda del Sacro Graal e il Dorian Gray di Oscar Wilde, solo per citarne alcuni, è ancora ben presente nel terzo millennio. Peccato che nelle moderne società mature occidentali, e in particolare in Italia, questo mito confligga spaventosamente con l’altrettanto mitologico mostro dei conti pubblici fuori controllo.
In assenza di soluzioni magiche degli economisti, i nostri figli e i nostri nipoti vivranno sì più a lungo e meglio dal punto di vista clinico, ma per il resto?
Un conflitto che porta al paradosso in cui noi tutti ci troviamo coinvolti: da una parte un sistema lavoro che tende ad espellere i suoi addetti prima ancora della soglia dei 60 anni, dopo averli regolarizzati in molti casi non prima dei 40, creando così voragini nei conti della previdenza; dall’altro il mondo della medicina che sembra voler scommettere su standard elevati di longevità.
È chiaro che qualcosa non quadra. A meno che in quell’espressione “tecnologie per il welfare” non si nascondano formule magiche in grado di non far sobbalzare sulla sedia il presidente dell’Inps, Tito Boeri, e i suoi colleghi presidenti delle casse previdenziali private, molte delle quali navigano da tempo in acque tutt’altro che tranquille. In assenza di soluzioni magiche degli economisti, i nostri figli e i nostri nipoti vivranno sì più a lungo e meglio dal punto di vista clinico, ma per il resto?