Prima dell’avvento del digitale i rapporti tra giornalista e pubblico erano ben definiti. Era la testata a infondere fiducia (o antipatia) istintiva nel lettore, con la sua storia, al sua linea editoriale, le sue firme. L’interazione fra chi firmava un articolo e chi comprava un giornale era nulla, o meglio, univoca: il primo dava un’informazione e il secondo la accettava passivamente, senza interagire.
Il web ha causato ha cambiato paradigmi, tempi, modi. È nato il citizen journalism, il giornalismo partecipativo: gli utenti-lettori hanno iniziato a commentare in tempo reale le notizie, a fornire informazioni a loro volta, destinate ad arricchire un pezzo o una storia, a produrre regolarmente materiale multimediale utilizzato poi dalla testata (foto, filmati), a creare piattaforme e siti di news privi di filtri e, in certi casi, di controllo.
L’informazione si è trasformata in un flusso libero, in continuo movimento e aggiornamento. A tale flusso, secondo la definizione di Jay Rosen, autore di What are journalists for? e PressThink, hanno iniziato ad accedere i lettori, ossia le«persone precedentemente conosciute come pubblico». Grazie ai nuovi mezzi a loro disposizione queste persone hanno iniziato a interagire con i giornalisti, costretti a loro volta a costruirsi una nuova “fiducia” e spesso una nuova reputazione.
Adesso, a provarci, è Sabina Guzzanti che, pur non facendo parte del mondo del giornalismo, cerca di fare informazione, anche fuori dai canali tradizionali, anche vestendola da satira.
Per questo ha creato TgPorco, “il telegiornale più partecipato del web” per chi è stanco dell’informazione televisiva che «vuole travestire da pillola la tua supposta». Le otto puntate della prima stagione sono state un successo e un caso. Adesso, per finanziare la seconda stagione, la comica romana si è rivolta direttamente alla sua community, che fin da subito si è dimostrata viva e generosa, aiutando in pochissimi giorni a raccogliere il budget per produrre le prime due puntate.
Il motivo è duplice e non è banale: la polemica aperta dalla Guzzanti sulla possibilità di pagare il lavoro delle persone che confezionano il suo TG. Anzi il motivo diretto della chiamata al sostegno del suo progetto giornalistico/satirico è proprio questo, pagare il lavoro delle persone, “Fare controcultura costa!” ha dichiarato su Facebook.
Ma non è tutto, come una vera giornalista, dialoga con i suoi sostenitori sulla sua pagina facebook, accettando critiche e consigli. Contemporaneamente segue le regole base per una buona campagna di crowdfunding: interagisce, promuove il suo progetto, pubblica quasi quotidianamente video dove ringrazia i suoi donatori o anticipa qualche contenuto del TgPorco. I risultati, almeno al momento, sembrano premiare il suo lavoro.
Il giornalismo online ha cercato da sé nuovi modelli di sostentamento economico, cercando a più riprese di conciliare il bisogno di produrre contenuti di qualità con l’obbligo di essere veloce e “sul pezzo”.
I tentativi sono stati molti. Qualcuno è fallito (o lo sta lentamente facendo), come il sistema di paywall, «totalmente antitetico al web aperto: un sito con il paywall è solo un giornale stampato in un altro formato» secondo Katharine Viner, deputy editor del Guardian.
Alcune testate hanno fatto propri gli insegnamenti dello yellow jorunalism, il giornalismo sensazionalista e urlato che ha caratterizzato il settore dell’informazione americana alla fine dell’Ottocento. I titoli clamorosi stampati su metà facciata di notizie montate ad arte corredate da foto scioccanti si sono tradotte in tecniche di clickbaiting spesso non più raffinate, a discapito dei criteri di onestà e trasparenza. Con tanta gloria anche per i gattini.
Chi ha cercato di non tradire i lettori si è rivolto direttamente a loro, con una raccolta fondi volta a trovare i soldi necessari per produrre contenuti di qualità. L’apripista, in Italia, fu la blogger Tigella, al secolo Claudia Vago, che attraverso unacampagna di crowdfunding su Produzioni dal Basso, ottenne dai suoi sostenitori i 2600 € necessari per volare in America a seguire le proteste i #occupyChicago. Oggi l’esempio più famoso, e di successo, è probabilmente Gli Occhi della Guerra, esperimento de Il Giornale che, grazie alla generosità dei donatori e al lavoro dei suoi giornalisti, ha già prodotto undici reportage.