C’è vita oltre la banda larga e le bad bank. Se queste due sono le questioni più spinose per il futuro prossimo della Cassa Depositi e Prestiti, il nuovo piano industriale 2016-2020 dipinge un ente che cambierà pelle. Sosterrà le startup, si farà carico della creazione di spazi di co-working, sarà uno strumento della politica estera del governo, attraverso la cooperazione internazionale. Proverà a superare l’assurda frammentazione degli enti dedicati all’export. Ma soprattutto avrà più soldi. Verranno dal piano Juncker e, se le cose andranno come dicono i nuovi vertici Claudio Costamagna e Fabio Gallia, anche tanti soldi privati da attivare attraverso un ruolo di “promozione”. Tutte promesse che saranno da verificare nel tempo.
Le mani sul piano Juncker
La “Cassa” con la Legge di Stabilità in via di approvazione si ritrova l’etichetta di “istituto nazionale di promozione”. Sarà la chiave per permetterle di utilizzare i fondi del Piano Juncker, indirizzato prevalentemente alle infrastrutture. Ma non solo, e per capirlo basta farsi due conti. Nel quinquennio le risorse attivate complessivamente tra Pubblica amministrazione, infrastrutture, imprese e real estate saranno di 160 miliardi di euro, ben 60 miliardi in più di quelle messe sul piatto tra il 2011 e il 2015. La grande differenza la fanno i 50 miliardi in più (da 67 a 117) che saranno stanziati per le imprese.
Da dove vengono queste risorse, visto che con i tassi bassi la redditività resta compressa? «Divenendo istituto promotore potremo attivare i fondi Juncker e li potremo usare per portare avanti dei progetti», ha risposto l’ad di Cdp Fabio Gallia durante la presentazione del piano industriale. Le risorse mobilitate saranno un misto di crediti, garanzie ed equity. Non tutti utilizzabili subito, visto che, ha aggiunto Gallia, «ci auguriamo arrivino strumenti normativi».
Nel quinquennio le risorse attivate complessivamente tra Pubblica amministrazione, infrastrutture, imprese e real estate saranno di 160 miliardi di euro, ben 60 miliardi in più di quelle messe sul piatto tra il 2011 e il 2015
La promozione
A questi 160 miliardi, secondo i calcoli della Cassa, si dovranno aggiungere altri 105 miliardi di euro, che verranno dai privati. «Non ho mai visto un interesse così alto per carta italiana da parte di investitori istituzionali esteri – ha detto il presidente di Cdp, Claudio Costamagna -. Dobbiamo sfruttare questo momento e costruire strumenti che attraggano capitali che insieme a noi possono supportare l’economia». Il partenariato pubblico privato, che in settori come le infrastrutture ha funzionato male, sarà la chiave su cui intervenire.
Export: arriva la super Sace
Finisce l’era della convivenza di tre società che sotto Cdp si occupano di export. E finisce anche la vicenda stucchevole che vedeva le lotte di Sace per diventare una banca di sostegno alle esportazioni, fin qui stoppata proprio dalla Cassa Depositi e Prestiti. Ora sotto Sace (che fin qui si è occupata di assicurazione dei crediti alle esportazioni) vanno sia la Simest che le attività di prestiti per l’export della Cdp. «Vogliamo che il nuovo soggetto sia visto come più vicino alle medie imprese. Ora Sace è sentita come vicina solo alle grandi imprese», ha detto Gallia.
Startup e mercati alternativi
“Ciclo di vita” è un’altra parola chiave: alla base del nuovo piano industriale c’è l’idea che si possono sostenere anche le startup. L’ente di proprietà del Tesoro diventerà di fatto un incubatore. Dalle fasi iniziali, dove agirà come “business angel” la Cdp arriverà fino a curare le exit nei confronti del mercato. Uno degli obiettivi è «supportare lo sviluppo da mercati alternativi (come il mercato Aim di Borsa Italiana dedicato alle Pmi, ndr), perché le imprese italiane sono troppo legate alle banche».
Non solo: nei progetti della Cassa rientrano anche gli spazi di coworking e i “posti dove si insegnino i nuovi mestieri. «Mancano gli spazi per le innovazioni. Noi abbiamo del patrimonio e possiamo fare qualcosa per colmare questo divario», ha aggiunto l’ad di Cdp.
L’ente di proprietà del Tesoro diventerà di fatto un incubatore. Dalle fasi iniziali, dove agirà come “business angel” la Cdp arriverà fino a curare le exit nei confronti del mercato
Il nuovo fondo strategico
Se l’obiettivo è quello di diventare «il primo operatore di venture capital italiano», la strada è quella di cambiare il fondo strategico italiano (Fsi). Si creerà una Sgr, chiamata appunto Fsi Sgr, il cui compito sarà «prendere aziende ben gestite che affrontano sfide come l’internazionalizzazione e il ricambio generazione, per farle crescere».
Alle nuove imprese baderà uno delle due gambe su cui camminerà il fondo, quella dedicata al venture capital. L’altra continuerà a occuparsi delle partecipazioni “stabili”, come Metroweb, Sia, Ansaldo Energia, mentre da gennaio potrebbe entrare Saipem e in futuro Eni.
Si creerà una Sgr, chiamata appunto Fsi Sgr, il cui compito sarà prendere aziende ben gestite che affrontano sfide come l’internazionalizzazione e il ricambio generazione, per farle crescere
Fondo di turnaround
Forse arriverà a breve anche la svolta sul Fondo di turnaround, quello pensato per intervenire temporaneamente nelle imprese in difficoltà, come l’Ilva. «La sua nascita è travagliata – ha ammesso Costamagna -. Ma siamo a buon punto: entro la fine del mese di gennaio contiamo di partire. Abbiamo scelto un board, con presidente e amministratore delegato, anche se non possiamo ancora comunicarlo. Saremo presenti con altri investitori istituzionali. Una volta nominato, il management farà ulteriore fund raising. Ma potrà cominciare a guardare i primi dossier».
Cooperazione internazionale
Come anticipato negli scorsi mesi, ci sarà un ruolo di Cdp anche nella “cooperazione internazionale”, e questo significherà diventare uno «strumento di politica estera nonché di politica economica rivolta a Paesi in via di Sviluppo», ha detto Gallia.