Mein Führer! Il dibattito sull’edizione tedesca, annotata e commentata, del Mein Kampf sfiora il ridicolo. Più proibisci qualcosa, più l’uomo è allettato a infrangere proibizioni e proibizionismi, perciò, liberi tutti, nessuna censura, se qualcuno è così ridicolo da tatuarsi la svastica nazista sul cuore idiota lui.
Il dibattito, per altro, non tocca il nostro mercato editoriale, fertilizzato da anni dal Mein Kampf di Hitler. Il libro, prontamente stampato da Bompiani per interesse di Mussolini nel 1934 (un anno dopo l’insediamento al potere di Hitler), vigorosamente ristampato, si trova anche in rete, senza troppa difficoltà (l’edizione Bompiani è pubblicata da Radio Islam, e nessuno se ne lamenta, qui).
Dal 1970, poi, tutta una serie di editori in fila si è messa a stampare il libro “proibito”, dalla Pegaso di Bologna a Homerus di Roma, fino a Kaos, nel 2002, con la curatela di Giorgio Galli, e alle Edizioni di Ar di Franco Freda, che pubblicano il Mein Kampf nel 2009, ma hanno una collana hitleriana formidabile che va dai Discorsi sull’arte nazionalsocialista ai Pensieri alle Idee sul destino del mondo. Libri, questi, tutti disponibili, li potete comperare anche ora, adesso, se vi va. L’ultima edizione in libreria del Mein Kampf è dell’anno scorso, griffata Edizioni Clandestine, ma quella più raffinata è del 2010, intitolata La mia battaglia, pubblicata da Gherardo Casini Editore, marchio specializzato in testi sulla massoneria e in superclassici (insieme a Hitler, per dire, forse per indorare il dolore, hanno pubblicato l’Autobiografia di un dandy di Oscar Wilde e Il galateo di Giovanni Della Casa), proprietà di Rusconi Libri, che ha sede a Santarcangelo di Romagna.
Il libro, che si rifà alla traduzione italiana di Angelo Treves per Bompiani, introdotto da un saggio storico di Pierluigi Tombetti (uno che l’anno scorso, per Arkadia, ci ha svelato i rapporti tra La Santa Sede e il nazismo), dicono dall’azienda editoriale, funziona alla grande. In cinque anni (il libro è ancora disponibile, ve lo spediscono nell’arco di 24 ore) «ne abbiamo vendute 3mila copie, che per noi è un risultato importante. Diciamo che si vende sempre».
Mussolini scrittore? Meglio di Tolstoj. Parola di Elio Vittorini
Ave o Duce. Chi, editorialmente, se la passa peggio di Hitler, nel nostro Belpaese di benpensanti, è senza dubbio Benito Mussolini. Del Duce si pubblica il Diario di guerra del 1915-17 (L.C.E. Edizioni), le Lettere a Clara Petacci (Mondadori), le riflessioni del 1913 su Giovanni Huss il veridico (Bonanno), perfino il romanzo d’appendice L’amante del Cardinale (Salerno), del 1910.
Nessuno osa di più. Peccato. Il pezzo letterariamente più rilevante del Duce, infatti, pare sia l’obliata Vita di Arnaldo, in cui il Mascellone rievoca la vita del fratello piccolo, giornalista, direttore de Il Popolo d’Italia, morto nel 1931. Il testo, stampato nel 1932, è salutato come un capolavoro: bastano una manciata di pagine «che fanno pensare di chi le ha scritte: ecco un poeta». Anzi, sono sufficienti dieci pagine per capire che il genio letterario del Dux surclassa quello di Lev Tolstoj, «queste dieci pagine (è straordinario ma è così) mi ricordano le duecento del più bel romanzo, forse, di Tolstoj, del romanzo che appunto s’intitola Infanzia». Il critico in questione, che scrive nel 1933, sul Bargello, si chiama Elio Vittorini. Se lo dice lui, cari editori, attrezzatevi.