Più che di una vera e propria mafia unitaria si parla di piccoli gruppi criminali organizzati dediti a estorsioni, contraffazione, spaccio di droga, prostituzione, sfruttamento dell’immigrazione clandestina e riciclaggio di denaro. Questa può essere al momento una messa a fuoco del fenomeno criminale cinese in Italia.
La presenza di cittadini cinesi nel Belpaese è in aumento e si assiste a una progressiva integrazione, ma la chiusura di alcune comunità rende difficilmente permeabile il mondo delle gang criminali. Spesso aiutati da professionisti italiani, i criminali cinesi negli anni hanno espanso i loro mercati criminali, a volte hanno stretto alleanze con frange della criminalità organizzata italiana e c’è chi ha fatto soldi a palate.
Non si può certo parlare di Triadi, ma anche i criminali cinesi sono proiettati nel futuro e hanno imparato molto dalle nostra mafie, per esempio a operare nel mercato dei rifiuti: tra Taranto, Genova e Napoli sono stati rintracciati container destinati in Cina contenenti rifiuti speciali non trattati, pronti a partire grazie all’interessamento di cittadini cinesi sul territorio.
ESTORSIONI ED ESTORSORI
Quattro ragazzi nemmeno ventenni entrano in uno dei bar della “Chinatown” milanese. Si guardano in giro. In tre prendono un caffè al bancone mentre uno si avvicina, guardandosi in giro, al frigorifero delle bevande. Nel bar oltre ai quattro non c’è nessuno, così parte un calcio diretto al frigo. Subito dopo la richiesta di denaro oppure quella di rivolgersi a un fornitore preciso, salvo ritrovarsi con danni ancora maggiori al locale. Scene di ordinaria estorsione all’interno degli esercizi pubblici cinesi.
Tra Milano e Prato Lorella Garofalo, ricercatrice del gruppo di criminologi Transcrime, ha studiato le varie fasi delle estorsioni dei gruppi criminali cinesi. «Materialmente – dice Garofalo a Linkiesta – gli autori materiali delle estorsioni sono giovani poco più che ventenni, che solitamente fanno sempre riferimento a qualcuno che sta più in alto di loro». Nella seconda fase dell’estorsione infatti, che arriva successivamente alle prime intimidazioni, «arriva un mediatore che solitamente è una persona nota e influente all’interno della comunità cinese».
Il mediatore arriva e cerca una «soluzione» con il negoziante. «In questo modo – conclude Garofalo – si innesca un vero e proprio meccanismo in tutto e per tutto somigliante a quello del pizzo delle mafie italiane, in cui la contropartita non riguarda necessariamente denaro liquido». Nei ristoranti in particolare si preferisce imporre una tassa occulta costringendo i ristoratori a rivolgersi a determinati fornitori.
Tuttavia rispetto agli anni precedenti sono aumentate le denunce da parte dei titolari delle attività che hanno subito estorsioni dai propri connazionali. Denunce che hanno portato anche all’arresto in flagranza degli stessi estorsori.
Rispetto agli anni precedenti sono aumentate le denunce da parte dei titolari delle attività che hanno subito estorsioni dai propri connazionali
L’EPOCA D’ORO DEL RICICLAGGIO
Non solo estorsioni però. Come si legge nell’ultima relazione della Direziona Nazionale Antimafia rilasciata nel 2015. «Le principali attività illecite poste in essere sono il contrabbando, la contraffazione di merci, l’immigrazione clandestina, le estorsioni, delitti dai quali ricavano profitti ingenti. Tra le tipologie dei reati commessi in Italia dai gruppi cinesi si nota un trend di crescita per i delitti di riciclaggio».
A confermare il trend evidenziato dalla Direzione Nazionale Antimafia è una inchiesta della procura di Firenze che si è sviluppata nel corso degli ultimi cinque anni e che ha lambito anche Bank Of China, coinvolgendo un centro di money transfer bolognese e un’agenzia viaggi di Prato specializzata in voli verso l’Asia, arrivano alla Chinatown milanese di via Paolo Sarpi.
Coinvolti nell’indagine oltre ai titolari italiani del money transfer bolognese Money 2 Money, ci sono anche quattro dirigenti di Bank of China, la seconda banca cinese e la quinta al mondo per valore di capitalizzazione di mercato. Tra il 2006 gli indagati avrebbero sottratto illegalmente al fisco 4,6 miliardi di euro poi dirottarli verso la Cina.
La vicenda ricostruita dagli investigatori – scrive Antonio Talia che ha dedicato all’indagine un lungo approfondimento su Internazionale – comincia tra la fine degli anni novanta e i primi anni duemila, e porta appunto alla scoperta di un riciclaggio monstre da cui è nata una inchiesta chiusa nel giugno 2015 con la richiesta di rinvio a giudizio per 297 persone, alcune delle quali accusate di associazione a delinquere di stampo mafioso. I quattro funzionari di Bank of China sono infatti accusati di riciclaggio: secondo gli investigatori di quei 4,6 miliardi almeno due sarebbero passati per la banca.
Bank of China dal canto suo fa sapere che «ha sempre operato nel rispetto della normativa italiana. In Italia, così come in Cina, vige il principio della presunzione di non colpevolezza degli indagati». Quei soldi però potrebbero riprendere la strada dell’Europa tornando dalle nostre parti sottoforma di prodotti venduti a prezzi bassissimi. Un sistema – conclude Internazionale – che potrebbe costituire un continuo gioco di scambi di capitali occulti e merci non dichiarate tra Europa e Asia, capace di stabilire una vera e propria economia sommersa tra i due continenti. La pista che stanno seguendo gli stessi investigatori nel tentativo di ricomporre il puzzle.
«Le principali attività illecite poste in essere sono il contrabbando, la contraffazione di merci, l’immigrazione clandestina, le estorsioni, delitti dai quali ricavano profitti ingenti. Tra le tipologie dei reati commessi in Italia dai gruppi cinesi si nota un trend di crescita per i delitti di riciclaggio»
CONTRAFFAZIONE, IMMIGRAZIONE CLANDESTINA, DROGA E PROSTITUZIONE
A tratteggiare l’evoluzione del fenomeno criminale cinese nei mercati è ancora una volta la Direzione Nazionale Antimafia: «I gruppi criminali di origine cinese rappresentano un tipico esempio di criminalità transnazionale in quanto dalla madrepatria alimentano i circuiti mondiali di merci contraffatte e/o di contrabbando e favoriscono l’immigrazione clandestina per poi gestire nei Paesi di destinazione lo sfruttamento degli immigrati, principalmente come forza lavoro e la commercializzazione dei prodotti illecitamente importati e/o contraffatti».
Contraffazione e immigrazione clandestina costituiscono due business redditizi e consolidati della criminalità cinese in Italia. Il primo si è radicato in particolare nella zona di Prato, dove nel corso sono fiorite fabbriche e capannoni clandestini spesso ai limiti della schiavitù e delle norme di igiene e sicurezza.
Un tema quello della contraffazione spesso combattuto con armi spuntate, come fa notare Tiziana Siciliano, sostituto procuratore del tribunale di Milano davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo: «qui le forze in campo sono poche: di contraffazione al momento, nonostante Milano sia una realtà giudiziaria importante, ci occupiamo in due magistrati a tempo pieno, e obiettivamente è poco», e ancora, «Su questi reati come ci muoviamo ? Ci muoviamo male». «Mi rendo conto – ha continuato il magistrato – che la mia possibilità di agire, di muovermi, di cercare di capire e di contrastare un fenomeno criminale si ferma in frontiera, perché con Stati come la Cina non ho nemmeno la possibilità di chiedere una rogatoria perché manca la convenzione internazionale di reciprocità che la consenta, questo è un problema enorme. Finiamo infatti – conclude Siciliano – per contrastare soltanto il rivolo finale di un’enorme attività ben più interessante». Insomma, arriviamo al pesce piccolo, ma quello grosso lo lasciamo nuotare indisturbato.
«La mia possibilità di agire, di muovermi, di cercare di capire e di contrastare un fenomeno criminale si ferma in frontiera, perché con Stati come la Cina non ho nemmeno la possibilità di chiedere una rogatoria perché manca la convenzione internazionale di reciprocità che la consenta, questo è un problema enorme»
Difficoltà che si possono riscontrare in generale nelle indagini sulla malavita cinese: il sistema chiuso, la scarsa o nulla presenza di collaboratori di giustizia (i cosiddetti pentiti) e la difficoltà nel reperire traduttori che non vengano intimiditi dai connazionale complica la partita per investigatori e magistrati.
Allo stesso modo lo sfruttamento dell’immigrazione clandestina rimane un business che permette di avere sempre manodopera attiva agli imprenditori del falso e non solo. Imprenditori spesso aiutati nei meccanismi per eludere il fisco da professionisti italiani che promuovono il meccanismo “apri e chiudi”, tipico di questi gruppi criminali: il sistema consiste, spiegano gli investigatori, nell’apertura di una posizione IVA per svolgere una attività con un arco temporale molto breve, mediamente due anni. A questo punto l’imprenditore chiude la posizione evitando di assolvere gli adempimenti fiscali e facendo aprire la medesima attività, almeno formalmente, ad altri cittadini cinesi mantenendo attrezzature, personale, clienti e fornitori.
Prostituzione e spaccio di droga, sono sempreverdi della criminalità cinese in Italia. La prima in particolare esercitata nel giro dei connazionali, mentre i gruppi cinesi per quanto riguarda la droga si sono specializzati nella produzione e nel commercio dello Shaboo, metanfetamina pura che tiene svegli e iperattivi. In alcuni laboratori clandestini questa sostanza viene utilizzata per tenere svegli i lavoratori e farli resistere alla fatica.