Ancora un paio di riflessioni a mente fredda sulle nomine Rai. In questi giorni abbiamo letto del filo rosso, anzi rosa, delle candidate renziane. Del filo rosso del Grande Fratello. Del filo rosso di Giorgio Gori che, va ricordato, oltre a Bignardi e Dallatana, ha televisivamente allevato anche Antonio Campo Dall’Orto (il Superdg fu suo assistente a Canale 5 e i due tuttora si frequentano). Abbiamo letto del fattore Anzaldi… E che l’ex-conduttrice delle Invasioni barbariche è stata chiamata dopo che Andrea Salerno aveva troppo sbandierato la sua nomina. E che Andrea Fabiano è stato scelto dopo la rinuncia di Tinni Andreatta che ha preferito restare alla fiction. Ok, tutte cose vere o quasi.
Ora però vorrei prenderla da un’altra angolazione. I tre prescelti sono all’altezza dell’incarico? Che cosa si auspica sia un direttore di rete? Un buon funzionario? Un esecutore d’indicazioni altrui? Un confezionatore di format? O una persona che capisce di tv, un editore con una visione originale, che sappia dirigere professionisti e artisti in forza di competenza autorevolezza carisma e progettualità riconosciute. Sapremo dai risultati visibili nella prossima stagione se i prescelti soddisfano queste esigenze. Per ora non pare una buona partenza l’esordio di Bignardi: “la logica degli ascolti è un’anomalia”.
Ma torniamo ai neodirettori. Fabiano, quarantenne di Bari era divenuto vice di Giancarlo Leone provenendo dal marketing strategico governato da Carlo Nardello, fedelissimo di Gubitosi. Anche se ora i due professano affetto reciproco, fu proprio l’ex dg, che notoriamente non stravedeva per Leone, a piazzare lì Fabiano per sorvegliarne l’opera (ad un certo punto sembrava volesse addirittura spostare lo stesso Nardello in cima a Raiuno).