Per un pugno di tasse. Anzi, per un pungo di tasse “illegittime”. Perché dall’1 gennaio i viaggiatori degli aeroporti italiani pagano la nuova versione dell’addizionale comunale sui biglietti: altri 2,5 euro a ticket, su qualsiasi compagnia, che vanno a sommarsi alla vecchia gabella di 6,5. Nove euro in tutto per alimentare un pozzo senza fondo presso l’Inps che ha nome Fsta: Fondo speciale trasporto aereo. Fuori dal gergo burocratico, la cassa integrazione di lunga durata per piloti e assistenti di volo, alcuni dei quali, come ha rivelato Stella sul Corriere della Sera, godono di un assegno ad alta quota: fino a 30mila euro lordi mensili. Ed è lo stesso Inps, nelle sue relazioni, a stimare il valore della Cig – la Cassa Integrazione Guadagni – in alcuni casi superiore a 20mila euro e quasi sempre superiore al massimale di 1.099 euro fissato per i dipendenti nel 2015.
Ma oltre al danno – il rincaro sui biglietti per gli utenti – ora c’è anche la beffa. Perché il Tar del Lazio ha accolto il 18 febbraio il ricorso di EasyJet Airline, ordinando la sospensione della tassa fra l’1 gennaio e il 20 febbraio, in attesa di decisioni definitive entro il 30 giugno 2016.
La nuova tassa d’imbarco maggiorata di due euro e mezzo a ticket. Il Tar del Lazio l’ha bloccata ma i soldi arrivano lo stesso all’Inps. Le compagnie svolgono il ruolo di esattore dello Stato per alimentare il Ftsa: Fondo speciale trasporto aereo, la cassa integrazione di lunga durata (e d’oro) di piloti e assistenti di volo
Ma la “tassa d’imbarco” addizionata ha continuato ad esistere per i primi due mesi dell’anno, noncurante del parere (ordine?) dei giudici amministrativi romani. E nelle compagnie aeree non tira una buon’aria: i rumors parlano di malumori nei confronti del governo per essere obbligate a svolgere il ruolo di esattore sugli utenti. Sono infatti le compagnie che alzano il prezzo del biglietto e girano i soldi all’Inps. Ma il messo viaggiatore, che ha visto il ticket maggiorato dopo il 31 di dicembre, non ha molta voglia di distinguere i ruoli.
E non si tratta proprio di bruscolini. Stando ai dati del traffico aeroportuale sono 6,6 milioni i passeggeri in partenza ogni mese dagli hub italiani. E costituiscono un “tesoretto” aggiuntivo da 16,5 milioni di euro ogni 30 giorni. Se si aggiunge che quei soldi non servono a rimpinguare l’assegno dei cassaintegrati a 1000 euro – che infatti la cassa integrazione l’hanno versata a suon di prelievi dalla busta assieme ai datori di lavoro – e nemmeno quello dei facchini della logistica – tutti esternalizzati e senza tutele grazie al nuovo dominio delle cooperative nei cargo degli aeroporti italiani – ma ad alimentare gli ammortizzatori sociali di lusso per gli intoccabili come i piloti, ecco che la frittata è fatta.
Il Fsta ha una lunga storia e conosce una sola parola d’ordine: più soldi. Perché se l’invenzione è da attribuirsi al duo Berlusconi-Lunardi fra 2005 e 2006, per poi essere reso “strategico” dal Cavaliere di Arcore all’interno dell’operazione “capitani coraggiosi” e Cai-Alitalia – con tanto di bad company a carico dei contribuenti – non sono molti i politici in grado di dire di no ai sindacati dei comandanti con le ali.
Fsta, il fondo a cui nessuno dice no: lo creò Berlusconi per renderlo strategico nell’operazione “capitani coraggiosi”. Lo alimentarono Monti e Lupi. E il settimo giorno arrivò Delrio, portando la tassa a 9 euro per biglietto
Il taglia-tutto Mario Monti lo inserì in finanziaria 2012 portando la tassa a 4 euro. Il Ministro Maurizio Lupi, che non si occupava solo di autostrade, la fece decollare a 6,5 euro. E il settimo giorno arrivò Delrio e quota nove euro – pilota automatico inserito e velocità di crociera.
L’inquilino del Ministero delle Infrastrutture dei Trasporti ha risposto mercoledì 24 febbraio alla Camera dei Deputati su questa vicenda. Con toni che rischiano di agire come la benzina sul fuoco: «Le compagnie aeree hanno affrontato questa questione in maniera che non condivido, minacciando di ridurre voli e personale a causa di una tassa prevista da anni per il potenziamento del fondo a tutela dei lavoratori» hanno battutto le agenzie. E sul rincaro ha aggiunto: «Non accettiamo l’impostazione che si va via perché aumenta di due euro e mezzo una tassa». Parafrasando: le tariffe dei ticket non dipendono da una tassa.
Il riferimento per nulla velato del ministro è a Ryanair che, meno di tre settimane fa, ha “schiaffeggiato” l’esecutivo decidendo di tagliare 16 rotte e 600 posti di lavoro fra Alghero, Pescara e Crotone e facendo trapelare una nota minacciosa alla stampa. Un avvertimento, secondo molti, che la compagnia low-cost irlandese ha voluto mandare a Palazzo Chigi e Piazzale di Porta Pia, contro nuovi rincari. Perché se gli irlandesi decidessero di lasciare scali più imponenti le conseguenze su posti di lavoro, competitività e indotto sarebbero drammatiche.
Soluzione al momento ne esistono due: la prima è quella prevista dalla legge Fornero di trasformare il Fsta in un normale fondo di solidarietà alimentato dai contributi degli operatori del settore. È l’opzione privilegiata dal ministro emiliano, che però sconta gravi ritardi nella discussione fra Governo, Inps, Ministero dell’Economia e quello del Lavoro.
Chi restituisce i 30 milioni di euro ai viaggiatori italiani (e non solo)? Di certo non Delrio che ha una guerra aperta con le compagnie che minacciano di tagliare rotte e posti di lavoro
La seconda opzione sembra quella più concreta, in attesa di sapere cosa deciderà il Tar a giugno. Delrio ha parlato di mettere le mani nei risparmi e negli avanzi patrimoniali del Fsta stesso per ridurre l’addizionale comunale. Scopriamo quindi che il fondo dispone degli accantonamenti necessari a pagare gli ammortizzatori sociali senza bisogno di nessuna maggiorazione.
Rimangono allora due domande: perché non li usa? E, sopratutto, chi restituisce i quasi 30 milioni di euro che i viaggiatori italiani hanno pagato in tassa d’imbarco dall’1 gennaio a oggi? La risposta, se la state cercando, è fra le nuvole.