8 Marzo“Nude finalmente sì, emancipate ancora no”

Anna Meldolesi nel suo libro “Elogio della nudità” ripercorre l’evoluzione del nudo, femminile soprattutto. “Oggi abbiamo più occasioni per denudarci”, dice, “ma siamo affetti da una censura estetica, per cui solo il corpo bello è libero di esibirsi”

È l’estate del 1971. La turista danese Lise Wittrock cammina in pantaloncini rosa nel centro di Palermo. Oltre le sue lunghe gambe, il pretore Vincenzo Salmeri si convince di intravedere anche i suoi glutei. Chiama i vigili urbani e fa portare in commissariato la “spudorata”. Nello stesso anno Lando Buzzanca nel Merlo maschio suona il corpo nudo di Laura Antonelli come un violoncello. E i corpi nudi di Edwige Fenech e Barbara Bouchet imperversano sul grande schermo. «La storia del nudo e del senso del pudore è sempre stata infarcita di paradossi», dice Anna Meldolesi, giornalista autrice del libro Elogio della nudità. «Succede anche oggi: siamo bombardati dai corpi nudi da ogni angolo, ma nello stesso tempo abbiamo vergogna a mostrarci senza vestiti. Un pudore dovuto anche all’ansia da prestazione indotta dal paragone con i corpi perfetti e ritoccati che vediamo in tv e nelle pubblicità».

Quindi più che andare avanti abbiamo fatto passi indietro?
L’inglese ha due termini per parlare di nudo: naked è il nudo naturale, che oggi è molto raro; nude è il nudo che è ovunque, è il nudo che sa di essere osservato. Noi oggi siamo vittime di una nudità estetizzata, che non è quella naturista o naturale. Ma di certo la gabbia di Photoshop è meno oppressiva del pretore di Palermo. Anche se le contraddizioni restano. Facebook ti rimuove ancora oggi una foto di nudo. Un seno che esce in televisione fa notizia. E il topless è più permesso di prima, ma sempre meno praticato.

Cos’è cambiato dai tempi del pretore Salmeri?
Da una parte, con il passare del tempo, c’è una tendenza a vivere meglio la nudità, ci sono più occasioni in cui ci si può mostrare nude, e nessuno ti arresta se vai in giro con gli shorts. Ma oggi c’è un’autocensura estetica. Diversi studi dicono che le ragazze si vergognano di più a denudarsi negli spogliatoi a causa di canoni estetici elevati. C’è una sorta di somatofobia, di paura del corpo, mentre viene esaltata la libertà sessuale.

Sono le stesse donne che guardano i corpi attraverso la lente di Photoshop.
Le donne guardano i corpi femminili in maniera non diversa dagli uomini. Anche quello femminile è uno sguardo reificante. Lo confermano gli studi di eye tracking, tramite i quali è possibile seguire i movimenti oculari. Lo sguardo delle donne, come quello degli uomini, si fissa sugli indicatori di avvenenza fisica, sul rapporto tra vita e fianchi. Lo sguardo negativo viene soprattutto dalle donne. Le donne si guardano molto tra loro e vedono le altre come rivali, perché attraverso le altre misurano se stesse.

Ci sono più occasioni in cui ci si può mostrare nude, e nessuno ti arresta se vai in giro con gli shorts. Ma oggi c’è un’autocensura estetica. Il corpo per essere libero oggi deve seguire certi canoni di bellezza

Davanti alla dominanza del magro, oggi si propongono però anche modelli, come il curvy, per esempio.
Ma è esattamente la stessa cosa del canone magro, è sempre un dire come bisogna essere. Si reifica il corpo della donna allo stesso modo, stabilendo un canone giusto o sbagliato. Un giorno si pubblicano le foto delle dive per esaltarne la forma fisica, solleticando l’invidia di chi le guarda. Il giorno dopo si gioca a trovare la cellulite. Un giorno ammiriamo i visi delle dive ritoccati con Photoshop, un altro giorno ci divertiamo a dire quanto sono meno belle senza trucco.

Possiamo dire che nel rapporto con il corpo le donne sono più o meno emancipate di prima?
Il nostro rapporto con la nudità non è più emancipato né più represso rispetto al passato. La storia della nudità non è né solo una progressione lineare verso la libertà, né solo una regressione rispetto al naturale. Ci sono elementi di una e dell’altra cosa. Ma forse il controllo esterno di Salmeri è stato sostituito da una reciproca autosorveglianza su chi può mostrare cosa. Il corpo per essere libero oggi deve seguire certi canoni di bellezza. Si sente spesso dire: “Guarda quella con quel sedere si mette pure i leggins”. La bruttezza va coperta. E lo dicono le donne stesse.

Eppure, come racconti nel libro, oggi come negli anni Settanta il corpo nudo viene ancora usato come strumento di ribellione.
L’idea del libro è nata proprio quando Repubblica, il 20 maggio 2013, ha pubblicato il primo topless in prima pagina in Italia. Era quello diciannovenne tunisina Amina Sboui. Il caso vuole che di topless quel giorno si parlasse anche in cronaca, ma in altri termini. L’altro seno apparteneva a una modella esposta in una vetrina di una profumeria di Pisa, mentre una truccatrice lo decorava con il body painting. Il primo era un seno politico, che si fa alfiere della lotta e dell’emancipazione. Il secondo un seno commerciale. La nudità non è una ma tante: la stessa porzione del corpo mostrata in circostanze diverse assume significati diversi. Un seno non è mai solo un seno.

Ma che differenza c’è tra i seni mostrati delle Femen e quelli sulla terza pagina del Sun?
Il seno del Sun ammicca, vuole piacere e rassicurare chi lo guarda. Il seno delle Femen, invece, è sbattuto in faccia. È un seno che dice: “Io sono io e faccio quello che mi pare”. Le Femen sono aggressive, non offrono una visione rassicurante.

Le donne dello spettacolo non sono tutte donne oggettificate. Ci sono storie di molte donne anticonvenzionali. Purtroppo c’è un’ideologia femminista paternalista per cui se ti dedichi alla bellezza non puoi essere intelligente

Ma perché le donne hanno bisogno di mostrare il corpo per protestare? Gli uomini non fanno lo stesso.
Esporre la nudità femminile mette in campo due forze. Da un lato la forza sessuale che un corpo nudo esercita sul cervello. Dall’altro rompe un tabù: colpisce il pudore e la vergogna, le radici profonde di una emozione che si è sviluppata per favorire la monogamia e l’ordine sociale. Il seno nudo mostrato per strada, e non su un cartellone o su un dipinto, è qualcosa che irrompe nella normalità.

In alcuni momenti esporre il corpo coincide con un messaggio di emancipazione, in altri casi è sinonimo di un’ideologia sessista, però.
Negli anni Settanta il rapporto con la nudità era libero e provocatorio. Il nudo era sinonimo di libertà. L’ideologia berlusconiana ha ribaltato questa visione. Ma gli anni Settanta erano anche quelli di Edvige Fenech e Barbara Buchet: c’erano tanti tipi di nudità anche allora. Il rapporto con il corpo è sempre pieno di contraddizioni. Declinato in modi diversi man mano che cambia il ruolo della donna nella società.

Però, nonostante il bombardamento del nudo, la donna che fa soldi tramite l’avvenenza del proprio corpo viene ancora vista negativamente.
La storia delle donne che si spogliano nel mondo dello spettacolo, in realtà, è piena di storie di donne anticonvezionali. Lo racconto nel libro: non sono tutte donne oggettificate. Questa è una visione paternalista di una parte delle femministe, quel filone del femminismo per cui se ti dedichi alla bellezza non hai tempo per dedicarti all’intelligenza. E invece una star del burlesque come Lydia Thompson, ad esempio, finì sui giornali per aver frustato il direttore del Chicago Times. A seconda del momento storico, mostrare il corpo può essere sintomo di emancipazione o di sessismo, può essere di destra o di sinistra.

Oggi in che fase siamo?
Oggi siamo in una fase postfemminista e possiamo prenderci il lusso di giocare con il corpo e con i simboli. Prendiamo Dita Von Teese e il suo corsetto, che può sembrare un oggetto antifemminista ma non lo è. Oggi possiamo usare in modo diverso gli stereotipi e le fantasie prefemministe. Apparentemente il corsetto di Dita Von Teese è una gabbia, ma invece è un gioco. E siamo anche in una fase postideologica: esporre il corpo può essere sia di destra sia di sinistra. Probabilmente lo si fa con sfumature diverse e con una diversa estetica. Si può essere nudi e nude in molti modi. Ognuno può cercarsi il suo.

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