Il calcio europeo scoprì Paul Breitner agli Europei del 1972, quando i tedeschi arrivarono in Belgio per la fase finale con le ossa rotte per la semifinale del Mondiale persa due anni prima nel Partido del siglo dell’Azteca, ma con l’organizzazione tipica che in Germania ci mettono per rialzarsi subito. In quella formazione, assieme al freddo Franz Beckenbauer e al terribilmente egocentrico Gunther Netzer, il giovane Paul sembrava un tizio fuori posto. Non tanto per il look da capelloni più basettoni che in quegli anni faceva furore. Il giovane Paul sembrava un tizio fuori posto per il suo modo di giocare. In un’Europa che stava imparando a conoscere il calcio totale olandese, un calciatore che in campo ci manca solo che faccia il portiere è ancora un’abitudine difficile da deglutire. Tanto più che mentre i club olandesi stanno emergendo, la nazionale Oranje non arriva alla fase finale di quell’Europeo, sbattuta fuori con una pacca sulla testa dai più esperti jugoslavi.
Ecco che allora il giovane Paul sembra un tizio fuori posto. Ognuno in quella nazionale che vincerà l’Europeo ha un compito e lo esegue alla perfezione. C’è Sepp Maier che ha smesso di dare i pugni sull’erba dell’Azteca ed è uno dei migliori portieri in circolazione. C’è il Kaiser che comanda le operazioni in difesa, con le spalle guardate a vista da quell’armadio a quattro ante di faggio che è Hans-George Schwarzenbeck. C’è il divo Nezter che dipinge calcio al centro e c’è il buon Gerd Muller che fa gol a secchiate. E poi c’è Breitner, che fa tutto. Nasce terzino, ma ha i mezzi tecnici (cioè i piedi, che sa usare entrambi allo stesso modo) per fare anche il laterale avanzato e i polmoni per giocare di fatto a tutto campo. Considerata l’assenza dell’Olanda, si può quasi dire che agli Euripei del 1972 Breitner sia il primo calciatore totale a fare la propria comparsa in un grande torneo per nazioni dell’epoca moderna. Perché all’intelligenza tattica, il cosiddetto saper pensare con i piedi, il giovane Paul abbina un carisma che è difficile trovare in un ragazzo di 20 anni. Un carisma che si vedrà bene due anni dopo quell’Europeo, quando si farà carico di tirare un rigore in una finale Mondiale, guarda un po’, contro l’Olanda che nel frattempo sarà finalmente diventata “Arancia Meccanica”.
Considerata l’assenza dell’Olanda, si può quasi dire che agli Euripei del 1972 Breitner sia il primo calciatore totale a fare la propria comparsa in un grande torneo per nazioni dell’epoca moderna. Perché all’intelligenza tattica, il cosiddetto saper pensare con i piedi, il giovane Paul abbina un carisma che è difficile trovare in un ragazzo di 20 anni.
Perché ce ne vuole di carisma per tirare dal dischetto in una partita importante, tanto quanto ce ne vuole per farsi fotografare in casa con il poster di Mao e Che Guevara dietro, o per arrivare agli allenamenti del Bayern Monaco con sotto il braccio il Libretto Rosso del leader cinese, in un’epoca in cui la Germania è divisa in due blocchi, uno dei quali guarda al comunismo, ma non è quello dove c’è Monaco, tanto per intenderci. Ogni volta che lo vede, a Beckenbauer si forma una lieve ruga sulla fronte. La ruga si ingrossa sempre più, tanto che lo spogliatoio comincia a diventare sempre più testimone delle litigate tra i due. Der Afro e il Kaiser non possono essere più diversi tra loro e non è solo una questione di acconciature. C’è una foto che li ritrae seduti assieme in tribuna: Paul fuma beato un sigaro grosso quanto un braccio di Schwarzenbeck, mentre accanto a lui un accigliato Franz cerca di concentrarsi sulla partita, con la faccia di uno al quale hanno rigato la macchina.
Non è l’unico ad avere quell’espressione: a turno ne farà incazzare molti, tra compagni di squadra e dirigenti della federcalcio tedesca. Così, dopo 3 campionati e una Coppa Campioni, Breitner cambia aria. E lo fa dichiarando ai giornali di non sentirsi tedesco, cosa che gli fa perdere il posto in nazionale. Ma non gli basta: decide di andare al Real Madrid. Come, un comunista dichiarato che va nel Paese (e nella squadra) del Caudillo Franco?
Ma non è la prima volta che il rosso Paul cede al fascino dei soldi. Poco prima del Mondiale ’74 protesta con la Federazione: o si aumentano i soldi del premio-vittoria, o lui non gioca. Qualche anno prima, quando la moglie lo spinge per tornare in Germania, accetta i soldi della Jagermeister per giocare nell’Eintracht Braunschweig, che è l’unica però a tirare fuori i marchi. A Monaco non lo vogliono più: nel 1976, all’Olympia Stadion, i suoi ex tifosi lo fischiano aspramente durante la semifinale di Coppa Campioni tra Real e Bayern. All’Eintracht si rende famoso più per quel che fa fuori dal campo. E anche in questo caso, è straordinariamente moderno: diventa protagonista di un programma tv in sei puntate chiamato Paul Breitners Fußballmagazin, nel quale mostra come si gioca a calcio ai ragazzini e allo stesso tempo svela la vita di un calciatore durante l’anno.
https://www.youtube.com/embed/EoEFL_XgeWo/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-ITMa in campo non va bene, così che a fine anno lascia con due parole scritte a macchina (“Vado via”). E torna al Bayern, perché stavolta ci sono i soldi dello sponsor Magirus Deutz. E soprattutto, non c’è più Beckenabuer, ma un ragazzone di nome Karl-Heinze Rummenigge. Stavolta l’intesa è perfetta e il Bayern, dopo qualche anno di normale reflusso, torna grande grazie a quello che ormai tutti chiamano Breitnigge. Per il ribelle Paul è ora di rientrare nei ranghi, anche in Nazionale. Nel 1978 salta il Mondiale: non vuole partecipare la circo messo in piedi da Varela e i generali. Nel 1980 salta l’Europeo, perché in rotta con il ct Derwall: ci pensa l’amico Rummenigge a far riappacificare i due.
Nel 1982 gioca la sua ultima partita in nazionale nella finale del Mundial: vinciamo noi 3-1 e quell’unico gol lo segna lui. Perché ci vuole carisma per andare a cercare un gol in una finale mondiale che tanto sai perderai lo stesso. Finito di giocare, Paul si taglia la barba: ci sono i soldi di una marca di dopobarba che lo aspettano.