Ne ha fatta di strada l’odontotecnico Stefano Ricucci, anche se ad attenderlo dall’altra parte del guado spesso ci sono state le grigie divise della Guardia di finanza. Dallo studio di Carchitti, piccolo centro urbano alle porte di Roma, in cui esercitava abusivamente la professione di dentista col solo titolo di odontotecnico al crac del Gruppo Magiste che lo ha portato oggi agli arresti, passando per la stagione dei «furbetti del quartierino» (con Fiorani, Gnutti & Co.) e quell’ingresso nel salotto buono di Rcs, mai troppo apprezzato dagli altri azionisti.
L’inchiesta vede implicato oltre a Stefano Ricucci anche un altro imprenditore, Mirko Coppola, omonimo di quel Danilo protagonista di varie operazioni con lo stesso Ricucci. Con loro sono indagate altre dieci persone tra cui, fanno sapere le Fiamme gialle «Nicola Russo, magistrato del Consiglio di Stato nonché componente della Commissione Tributaria Regionale». Le accuse ruotano attorno alle accuse di rivelazione e utilizzo di segreti d’ufficio, corruzione in atti giudiziari e un giro di false fatturazioni che, stando alle indagini, avrebbe portato alla società riconducibile a Ricucci un credito IVA di 20 milioni di euro oggetto di un contenzioso presso la Cassazione.
Scrivono gli uomini della Guardia di Finanza: «A tal proposito, sono stati svolti accertamenti tesi a verificare la regolarità del contenzioso tributario e sono emersi significativi elementi di anomalia in ordine alle motivazioni della sentenza di secondo grado. In particolare – specificano – detta pronuncia rappresenta, in parte, un “copia e incolla” delle memorie del contribuente, riproducendone i contenuti e addirittura gli errori di battitura».
Le accuse ruotano attorno alle accuse di rivelazione e utilizzo di segreti d’ufficio, corruzione in atti giudiziari e un giro di false fatturazioni
Quanto basta alla Finanza per riscontrare la stranezza del caso e verificare come Ricucci volesse «rientrare in possesso» dei propri beni immobiliari e «dei crediti nell’ambito della procedura fallimentare», che lo stesso avesse una conoscenza diretta col «giudice relatore della sentenza di secondo grado che ha annullato la pretesa fiscale dell’Erario»; i contatti tra lo stesso giudice e Liberato Lo Conte che la procura ritiene essere uomo riferibile a Ricucci e infine che le fatture emesse da una delle società di Ricucci verso una società di Coppola fossero in realtà per operazioni fittizie.
Insomma un giocattolo che si è rotto quello del Gruppo Magiste che rappresenta la cassaforte storica dell’immobiliarista romano ben salda in Lussemburgo e con un portafogli immobiliare che in passato a toccato quota 500 milioni di euro. L’inchiesta denominata “Easy Judgement” e coordinata dal procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo ha aperto la scatola e arrestato dunque il suo possessore.
D’altronde, come si diceva, Ricucci è finito spesso tra le maglie della giustizia. Da uomo simbolo della stagione dei «furbetti del quartierino», da cui è uscito tra patteggiamenti e saldi col fisco, si è riciclato in immobiliarista rampante in quel di Londra. «Altra mentalità, si lavora meglio» aveva detto qualche tempo fa l’ex marito di Anna Falchi. Non piaceva ai salotti, Ricucci, ma in qualche modo ci è sempre stato dentro, tanto da prendersi il 10% di Rcs. Un 10% poi ripagato con una multa della Consob da 10,2 milioni di euro, la più alta mai applicata a una persona fisica fino ad allora. La multa arrivò a lui e contestualmente anche a Magiste, società oggetto dell’inchiesta di oggi e che tra i fascicoli dell’inchiesta Bnl-Antonveneta compare qui e là come il prezzemolo.
Ma come, confidavo al cliente un’operazione della Banca e lui me la soffiava
Uno spaccato del modo di agire dell’immobiliarista romano lo diede Giovanni Alberto Berneschi, presidente di Banca Carige ai tempi delle tentate scalate, che davanti al pm di Milano Luigi Orsi fa mettere a verbale: «Era particolarmente irrituale e seccante il fatto che Ricucci chiedesse quotidianamente alla Banca di aumentare l’affidamento in funzione dell’aumento della quotazione del titolo BNL in Borsa. Questo costringeva continue riunioni del Comitato Fidi, era una prassi insostenibile. Ricucci tuttavia fu allontanato per un diverso episodio. Nei primi mesi del 2005 – racconta Berneschi, ex uomo solo al comando della banca ligure, e anch’egli indagato nel fascicolo – la Banca Carige stava pensando di acquistare un immobile a Roma, sito in via Cristoforo Colombo. Di questa intenzione avevamo fatto cenno occasionalmente a Ricucci. Eravamo titubanti ad acquistare il cespite perché il venditore era in stato di difficoltà, ciò che sempre fa temere revocatorie fallimentari. Mentre riflettevamo sul da farsi, Ricucci ci disse che aveva opzionato l’immobile. Quando gli chiedemmo cosa ne avrebbe fatto ci rispose che lo avrebbe rivenduto ad un multiplo del prezzo di acquisto. Mi arrabbiai moltissimo. Ma come, confidavo al cliente un’operazione della Banca e lui me la soffiava. Fu così che ad aprile 2005 chiudemmo il rapporto con Ricucci».
L’eterno ritorno dei furbetti, undici anni dopo, è sempre dietro l’angolo. Non voleva essere ricordato «per ‘ste storie de 15 anni fa», tornerà invece sulle cronache nazionali ed è probabile che ci starà per un po’. Tempi duri per Stefano, Figlio di Matteo, autista di pullman e militante democristiano, e di Gina, casalinga, che da odontotecnico si è trasformato in immobiliarista partendo da un piccolo centro commerciale in quel di San Cesareo.