L’isola di Ventotene è stata da sempre terra di confino. Il fascismo vi inviò i suoi oppositori, i borboni vi avevano costruito una colonia penale, e prima di tutti, i romani la avevano usata per esiliare le loro donne più pericolose. Fu una tradizione che inaugurò Ottaviano Augusto, quando nel 2 a. C., scoprì e sventò una congiura ai suoi danni organizzata, tra gli altri, anche dalla figlia Giulia. Fu un duro colpo: la sua prima reazione fu di chiederne la condanna a morte, poi ci ripensò e mutò la pena in un esilio forzato nell’isola di Pandateria, l’attuale Ventotene.
Giulia non era un tipino semplice. Sua madre era Scribonia, seconda moglie di Augusto (da cui divorziò proprio pochi giorni prima della nascita della figlia per sposare Livia Drusilla), descritta da Svetonio come “sregolata nei costumi” – e anche Giulia, stando alle fonti/propaganda dell’epoca, non si rivelò da meno. Amori, tradimenti, lussuria e sregolatezza sono le parole che gli storici antichi (non sempre da prendere alla lettera) associano alla ragazza. A parte questi comportamenti, era molto amata dal padre. La educò con durezza per farla diventare una vera aristocratica, le impose di imparare l’arte della lavorazione della lana (tipica delle matrone di epoca repubblicana), le fornì ogni mezzo per studiare e farsi una cultura. Giulia ebbe i migliori insegnanti e poté frequentare le menti più eminenti dell’impero (si parla di personaggi del calibro di Orazio e Virgilio, mica di Baricco). Era un pensiero costante per lui: “Ho due figlie di cui occuparmi: la Res Publica e Giulia”, diceva.
Lei, oltre alla cultura, aveva un altro dono: era bellissima. Fin da ragazzina attirò l’attenzione degli uomini, tanto che Ottaviano ne fu allarmato: decise che la ragazza potesse incontrare e parlare solo con persone autorizzate da lui. Il suo controllo, oltre a essere espressione di una patologica gelosia paterna, aveva un senso: la figlia, attraverso un’accorta politica matrimoniale, era uno strumento per consolidare il potere. Nell’ordine: la sposò, quando aveva solo due anni, con Marco Antonio Antillo, figlio di Marco Antonio, che ne aveva dieci (ma non fu mai celebrato). Subito dopo la promise a Cotisone, re dei Geti (più o meno gli attuali rumeni), ma senza mai sposarla.
A 14 anni andò in sposa al cugino Marcello (celebrato anche nell’Eneide era l’erede al trono designato, ma morì due anni dopo senza lasciare figli). Augusto la risposò, quando ebbe 18 anni, con Agrippa, il suo generale preferito e nuovo erede al trono, che aveva all’epoca 39 anni. Non fu un matrimonio felice: in questo periodo Giulia comincia la sua vita dissoluta, fatta di tradimenti e sfarzo. Gli storici la definiranno “promiscua”, “inquinata dalla lussuria”, “modello di licenziosità”, “molteplice adultera”. Un amante sicuro fu Sempronio Gracco (ritornerà più avanti). Un altro fu il fratellastro Tiberio (che poi sposerà). Ci furono però molti viaggi – in Gallia e nelle province orientali – e quattro figli. L’ultimo nacque nel 12 a.C., poco dopo la morte di Agrippa. Augusto non perse tempo e la risposò subito, proprio con Tiberio (il nuovo erede).
Il secondo matrimonio andò peggio del primo. Tiberio non aveva stima di Giulia, e Giulia lo considerava un cafone – lo diceva sempre all’amante storico Sempronio Gracco, che addirittura lo scrisse ad Augusto.
Nel corso degli anni, le cose peggiorarono. Giulia cominciò a frequentare, tra gli altri, Iullo Antonio, anche lui figlio di Marco Antonio. Fu un’unione scandalosa e pericolosa. Non solo: i due, intorno al 2 a.C., organizzarono una congiura proprio contro il padre di lei, Ottaviano. Vi partecipò Sempronio Gracco (amante onnipresente nella vita di Giulia) e la serva Febe. Augusto scoprì tutto, fece saltare la congiura, costrinse Iullo e Febe al suicidio, spedì Sempronio lontano da Roma e inviò Giulia, la sua figlia prediletta, in esilio a Pandataria. Con l’accusa di “adulterio” e “tradimento”. Per lui fu un grande dolore: “Vorrei essere morto senza figli”, dirà citando l’Iliade.
Giulia, insomma, fu la prima esiliata celebre della storia di Ventotene. Restò sull’isola per cinque anni. Come quando era ragazza, non erano ammessi uomini vicino a lei. Gli eventuali visitatori dovevano avere l’autorizzazione di Augusto (che doveva sapere la loro statura, dettagli fisici, carnagione e statura). Non poteva nemmeno bere vino né aver accesso ad alcun genere di lusso. Fu un periodo lungo, che passò in compagnia (ma la cosa non è certa) della madre Scribonia.
Poi le cose cambiarono: Giulia ottenne il permesso di lasciare l’isola, tornò in Italia e fu confinata a Reggio Calabria, Ma per l’imperatore rimase sempre persona non grata e più volte negò la grazia che il popolo chiedeva per lei. Un bando che continuò anche dopo la morte: per ordine dell’imperatore le sue ceneri non furono ammesse al mausoleo di famiglia. Tutto sommato, anche se quei tempi erano piuttosto duri e la vita politica si consumava ogni giorno tra delitti e congiure (e non tra finanziarie e fiducie), lo si può capire.