In queste settimane si son scritte cose improbabili, imprecise ed anche platealmente false sul sistema bancario italiano, la sua crisi e quali strade percorrere per uscirne. Ci vorrebbe un libro per smontarle tutte e forse varrebbe la pena qualcuno lo scrivesse dato che più di qualche stimato collega ha raggiunto straordinarie vette di contorsionismo logico/empirico per sostenere tesi preconfezionate, e dannose.
Scrivo questo editoriale – per l’ospitalità del quale ringrazio Linkiesta – dopo un silenzio durato circa 4 anni e che iniziò proprio dopo aver suggerito la soluzione “svedese” per MPS. Oggi invoco la “spagnola”: mutadis mutandis – le circostanze da allora sono mutate – mi sto tristemente ripetendo perché da allora non s’è fatto nulla.
Partiamo dai dati di fatto sul terreno.
1) Una parte rilevante del sistema bancario italiano è di fatto paralizzata, MPS essendone il caso paradigmatico. Dalla paralisi del sistema bancario segue quella creditizia che sta strangolando l’economia reale e nessun Quantitative Easing può risolvere finché le banche italiane rimangono degli zombie. Gli zombie hanno una causa semplice, ed antica: il loro capitale sociale non è in grado di coprire le perdite da contabilizzarsi qualora l’ammontare di crediti non esigibili ed incagliati fosse ascritta in bilancio a valori di mercato. Questa condizione dura almeno dal 2009 e continua ad aggravarsi proprio perché non affrontata: rinnovare crediti inesigibili è male anzitutto per la banca che li rinnova. Il management bancario, e il sistema politico che lo supporta, hanno disperatamente cercato di evitare l’esplicito riconoscimento di tali perdite perché esso conduce con se il loro redde rationem.
2) La ragione è semplice: se si portassero le perdite a bilancio il capitale sociale si azzererebbe, sarebbe necessario far entrare altri azionisti e le attuali maggioranze azionarie (che girano quasi tutte attorno ai partiti, in particolare attraverso le c.d. “fondazioni bancarie” che essi controllano) perderebbero il controllo che da sempre esercitano sul sistema creditizio.
3) Esiste una procedura di risoluzione del problema – ben definita a livello europeo, concordata da vari governi italiani e dall’Italia regolarmente accettata – ma il sistema politico italiano non è in grado di accettare le conseguenze di una rigorosa e ben amministrata applicazione del bail-in. La ragione ufficiale è che il bail-in “punisce ingiustamente” il piccolo obbligazionista. Quella vera, ma sottaciuta, è che prima di punire il piccolo obbligazionista il bail-in caccia l’azionista di controllo.
4) Tutte le soluzioni sino ad ora prospettate da parte politica hanno questo comun denominatore: garantire, con un complicato gioco di scatole cinesi chiamate CDP, Atlante, Giasone, Atlante2, cartolarizzazione … che il sistema politico non perda il proprio antico controllo sul sistema bancario. Per maggiori dettagli non posso che rinviare agli articoli pubblicati sul blog noisefromamerika.org dal sottoscritto ed altri colleghi.
Il sistema politico italiano non è in grado di accettare le conseguenze di una rigorosa e ben amministrata applicazione del bail-in. La ragione ufficiale è che il bail-in “punisce ingiustamente” il piccolo obbligazionista. Quella vera, ma sottaciuta, è che prima di punire il piccolo obbligazionista il bail-in caccia l’azionista di controllo
Cosa ritengo invece si possa e si debba fare ora in Italia? Seguire, con gli opportuni adattamenti al caso italiano, la lezione spagnola di Bankia che venne ripulita via EMS contro l’espresso desiderio del governo spagnolo. Nello stesso modo che fatti e circostanze imposero a Mariano Rajoy di “accettare” l’aiuto europeo, io credo sia necessario che l’opinione pubblica italiana imponga a Matteo Renzi ed all’intero sistema dei partiti – il lettore avrà notato come anche l’opposizione più populista taccia sulla questione banche, strano no? – di chiedere, per MPS e per le altre banche, il simultaneo intervento del Meccanismo Europeo di Stabilità (Esm) e l’applicazione del bail-in.
È questa oggi l’unica soluzione trasparente che consente di risanare per davvero le banche in difficoltà eliminando radicalmente i meccanismi (e buona parte degli attori) che hanno portato al dissesto attuale ed esorcizzando definitivamente il fantasma del moral hazard che impesta il sistema bancario italiano. La soluzione qui proposta avrebbe anche un ulteriore vantaggio, anzi ne avrebbe due, interconnessi: permetterebbe di risparmiare sull’emissione di debito pubblico necessaria a ricapitalizzare le banche ed imporrebbe un controllo esterno al nostro sistema politico sulle procedure di nazionalizzazione, ricapitalizzazione e vendita sul mercato delle banche risanate.
Che fare dei cosiddetti piccoli obbligazionisti? Questione tutta politica che, come ora spiego, non influenza in alcun modo l’opportunità di usare “il metodo spagnolo”, anzi lo favorisce. È palese, anzitutto, che molta retorica odierna sul tema abbia il solo scopo di coprire il vero obiettivo: non sottostare alle regole del bail-in e mantenere, in una forma o nell’altra, le mani della politica sulle banche. Di fatto (come avvenuto per Bankia rispetto ai piccoli clienti/azionisti) sarebbe necessario un esame caso per caso – e per via giudiziaria – sia dei proventi acquisiti nel tempo dall’obbligazionista, sia delle modalità con cui tale esposizione si determinò. Dettagli tecnici su cui è perfettamente possibile lavorare: alla fin fine, nella misura in cui l’Esm è in grado di prestare all’Italia N miliardi di Euro per ricapitalizzare le proprie banche, è perfettamente capace di prestarne anche N+5 o N+10 per gestire il problema, tutto politico, del piccolo obbligazionista. Da questo punto di vista nulla cambia per il debito pubblico italiano: se la decisione politica di tassare i lavoratori futuri (ossia i giovani di ora) per rimborsare i cattivi investimenti degli anziani di oggi dovesse essere presa (decisione che, personalmente, non auspico se non per casi singoli ed eccezionali) il costo in termini di debito pubblico della medesima è minore se contratto via ESM che sul mercato. E questo è quel che conta, sul piano economico.
Non servono complicati tecnicismi (la chiacchiera sul rischio sistemico che oggi c’è e domani non c’è più dà oramai la nausea) quanto la semplice ammissione che la gestione di aziende in base ad indirizzi politici produce dissesti. Nel momento in cui il governo decide di intervenire per alleviare i costi sociali di questi dissesti dovrebbe scegliere la strada che minimizza l’esborso per i contribuenti, intervenendo in modo strutturale sulle cause del dissesto per eliminarle definitivamente e rendendo più ampia possibile la partecipazione agli eventuali utili, realizzabili al termine del processo, da parte di chi nella rinnovata banca si prende il rischio di investire. Da privato e senza coperture politiche.