Se c’è una metafora abusata di quel che dovrebbe essere l’impresa italiana del futuro, è quella della sartoria. Il made in Italy dovrebbe essere “sartoriale”, si sente dire spesso nei convegni. Già, ma che vuol dire, in fondo? Forse nessuno può spiegarlo meglio di un sarto come Marco Concolato, figlio del maestro di quest’arte, Silvano, e nipote di un altro artista dell’ago e filo, Dino, di seconda generazione dell’omonima sartoria di Padova, una delle eccellenze nazionali del settore: «Era il maggio del 2006 – racconta – quando riceviamo la telefonata di un signore che chiede di andare a trovare un cliente in albergo. Una volta arrivati nella sua stanza, scopriamo che quel signore era Stephen Hawking, quel giorno ospite dell’Università di Padova. Soprattutto, scopriamo che aveva bisogno di un abito su misura in meno di una settimana, che la domenica successiva sarebbe ripartito per Roma a incontrare il Papa. Abbiamo preso le misure e siamo riusciti a confezionare l’abito nei tempi richiesti. La domenica, vediamo Hawking dal Papa con il nostro abito, in televisione. Due anni dopo ci ha richiamato perché ne voleva un altro».
Eccola, la sartorialità. La capacità di adattarsi ai tempi, alle richieste, alle condizioni (in questo caso fisiche) del cliente, per realizzare qualcosa di unico e di altissima qualità manifatturiera. Un marchio di fabbrica che da sempre contraddistingue i Concolato e il loro negozio di via Roma a Padova, attivo dal 1963. Un marchio di fabbrica che esiste e resiste da più di cinquant’anni perché la più grande sfida per una bottega sartoriale e per la sua capacità di adattamento è quella di saper cambiare nel momento in cui il futuro si manifesta e cambia le carte in tavola: «Erano gli anni settanta quando la sartoria inizia a dover competere con le confezioni industriali – ricorda Marco – non erano anni in cui andava il su misura e la personalizzazione». La sartoria dei fratelli Concolato rischia così di capitolare, sotto i colpi della standardizzazione e della sterilizzazione del prodotto. Si adattano, Dino e Silvano, e aprono una boutique di abiti confezionati per reggere l’urto.
«L’età dell’oro è finita, invece, e non tornerà più. È per questo che serve una comunicazione differente, un modo di presentarsi differente, processi innovativi che permettano di ampliare i nostri mercati»
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La Sartoria sopravvive alla sua fase più critica e si rimette in moto. Sono gli anni dell’alta moda e del riflusso, gli anni ’80, anni in cui «tu stavi fermo e il lavoro arrivava da solo», spiega Marco: «Io quel mondo non l’ho visto nemmeno col binocolo», aggiunge, ma in lui non c’è amarezza. Semmai, la consapevolezza che chi ha vissuto anni d’oro è portato a pensare che la lunga crisi del 2008 sia una fase transitoria, ancorché molto lunga, che le vacche magre non dureranno in eterno: «L’età dell’oro è finita, invece, e non tornerà più», chiosa Marco. Ma non c’è l’ombra della resa, nelle sue parole: «È per questo che serve una comunicazione differente, un modo di presentarsi differente, processi innovativi che permettano di ampliare i nostri mercati». In altre parole, la bottega deve diventare digitale”.
«Non è stato semplice far capire a mio padre che l’inserzione sulle pagine gialle non serve più, oggi. Che il nostro biglietto da visita è il sito internet, che la vetrina è, anche, la pagina di Facebook, che la pubblicità bisogna farla online», spiega Marco, che però vuole anche rivoluzionare la rappresentazione locale e fisica della sartoria: «Al pubblico la nostra identità non è mai stata del tutto chiara – racconta – se entri nel nostro negozio, oggi, sembra un negozio d’abbigliamento, non una sartoria artigianale. Bisognava cambiare tutto, e così abbiamo cominciato i lavori. Nel giro di un paio di mesi porteremo la sartoria nel punto vendita, a vista. Prima non era nemmeno nel negozio, ma al piano di sopra. Bastano il rumore e l’odore per dare la rappresentazione di dove siamo, di quale sia la nostra identità».
Il futuro della Sartoria è ancora tutto da scrivere: «Saremo alla Maker Faire Rome dal 14 al 16 di ottobre. Avremo a disposizione un metro digitale e un software per la misurazione in 3D dell’abito», racconta Marco. È lo stesso processo di sartoria digitale che è stato messo in scena nella mostra New Craft alla Fabbrica del Vapore di Milano, nell’ambito della XXI Triennale. Funziona così: il cliente entra nella sartoria, lo scanner gli prende le misure, il computer registra un numero di misure doppie rispetto a quelle che prenderebbe il migliore dei sarti tradizionali. Poi il cliente, insieme al sarto decide un modello di abito e sullo schermo il cliente vede se stesso con tanto di abito e accessori. Una volta scelto il modello, il computer progetta i cartamodelli e la produzione può cominciare.
«Sono tecnologie che potrebbero rivoluzionare il nostro modo di lavorare e ampliare a dismisura i nostri mercati – riflette Marco – Ma vanno tarate, come ogni innovazione, con lavoro quotidiano. È uno strumento che può essere molto importante, che potrebbe veramente farci fare un salto di qualità». Ma ogni innovazione va cucita su misura all’impresa. E chi più di un sarto ne è consapevole?
Botteghe Digitali è il progetto di Banca IFIS dedicato al Made in Italy 4.0