Solopreneur, l’imprenditore freelance che è il futuro del lavoro

Può un freelance garantirsi la stabilità economica del dipendente pur restando creativo? La risposta è sì. Partendo da visione, relazioni e tanta disciplina

In questi anni di tumultuosi cambiamenti nel mondo del lavoro, emergono nuove logiche di gestione delle attività di business, disegnando così scenari di innovazione, anche sociale, estremamente interessanti.

La figura del solopreneur è una di queste innovazioni. Secondo MBO Partners, il solopreneur è «colui che lavora almeno 15 ore a settimana come indipendente». Il fenomeno negli Usa è dirompente, tanto che si prevede che entro il 2021 la popolazione di lavoratori autonomi passerà dall’attuale 40% al 48 per cento.

Il termine solopreneur nasce per indicare un imprenditore (“entrepreneur”) che lavora solo. Si differenzia dal free lance, principalmente per l’ispirazione, appunto, imprenditoriale. Francesca Marano, autrice di Solopreneur – L’organizzazione del lavoro (in proprio) spiegata in modo semplice, sostiene che si tratta di «un libero professionista che decide di pensare in grande e non ha paura di essere ambizioso».

Si prevede che entro il 2021 negli Usa la popolazione di lavoratori autonomi passerà dall’attuale 40% al 48%

Come coltivare, allora, queste ambizioni, mantenendo l’agilità del freelance e costruendo la stabilità economica del dipendente? Ecco cinque suggerimenti, dalla mia esperienza diretta.

  1. Visione e business model. Avere chiaro il senso del proprio agire, l’appetibilità del proprio lavoro e come si pensa di guadagnare. In questo il solopreneur si comporta come un’azienda e deve, quindi, implementare una propria strategia. Esistono molte metodologie per farlo; la mia è basata sul design thinking dell’approccio di Alexander Osterwalder, che nel suo celebre Creare modelli di business offre una sezione dedicata alla consulenza con canvas ad hoc per pensare a risorse, attività e partner da mettere in campo per creare valore. Davvero un ottimo esercizio da fare, armati di penne e post-it.
  2. Disciplina. Il solopreneur lavora spesso da casa o in un coworking e una delle sfide più dure è rimanere focalizzati, lontani dalle distrazioni. Niente di nuovo sotto il sole, se si pensa al famoso aneddoto di Vittorio Alfieri che si faceva legare alla sedia dal suo servo per essere concentrato sullo studio. Il mio parere è che siano necessarie poche, ma semplici regole. Io ne ho tre: assegno attività di routine (come controllare la mail o i social) a momenti specifici della giornata, evitando le interruzioni, utilizzo per fissare priorità ed attività Trello (un bel tool di gestione dei progetti) e, infine, monitoro la mia produttività con Toggl (un’ottima applicazione di analisi dei tempi).
  3. Vendita. Serve un sistema per proporsi ai clienti. Harvard Business Review evidenzia come negli Stati Uniti, il 75% dei solopreneur ottenga progetti grazie al passaparola. Una percentuale che sale all’84% per i professionisti di maggior successo (che guadagnano più di 100.000 dollari l’anno). E i social? Meno del 3 per cento. La mia esperienza non è diversa. Se, quindi, da un lato è essenziale attivare un insieme di canali, come blog e social, dall’altro bisogna focalizzarsi sui propri contatti per comprendere se e in che modo sia possibile portar loro valore e capitalizzare sui clienti attuali. Non esiste vendita senza relazione. (…)

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Davide Zane è consulente di marketing Si occupa di marketing e comunicazione da 18 anni e ha affiancato aziende come Fastweb, Edison e Caterpillar nei loro progetti di crescita

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