“Arriva Caronte!”, che porterà afa torrida, un’estate da record con temperature superiori ai 45 gradi centigradi, forse 52 gradi. E un punto esclamativo in omaggio. È il 18 luglio 2016 quando i giornali tuonano sull’arrivo del traghettatore dell’Ade. “Caronte” è il nomignolo con cui alcuni siti di informazione meteorologica hanno ribattezzato l’anticiclone africano che di tanto in tanto fa capolino sul Bel Paese. Come fanno negli Stati Uniti con gli uragani – si penserà a Sandy, Wilma, Katrina. Proprio per niente. In America quella tassonomica ha un senso ben preciso. Le lettere iniziali stanno per il momento dell’anno in cui si è verificato l’evento. “C” inverno-bassa primavera, “S” tardo autunno-inverno.
Farlo in Italia con termini tratti dalla mitologia o dal gergo bellico come “missile polare” o ancora “sciabolata artica di Attila” non significa nulla. È solo un trucchetto da clickbait. E una prassi scorretta dal punto di vista scientifico, visto che esiste già l’Isituto Tedesco di Meteorologia dell’Università di Berlino che è l’ente riconosciuto ufficialmente per farlo, per il semplice motivo che i teutonici ci hanno pensato prima degli altri e quindi si sono fatti gelosi custodi dei “brevetti” dei nomi di uragani, anticicloni e quant’altro. Per tutta l’Europa il monopolio è loro.
Dentro la giungla della meteorologia privata in Italia. Fra bufale, “missili polari”, “sciabolate artiche”, clickbait e tanta fantasia con i punti esclamativi
Ma c’è di più: a fare qualche ricerca in rete si scopre che “Caronte” stava arrivando a settembre dello stesso anno, questa volta sotto forma di “traghettatore infernale che farà impennare la colonnina di mercurio”, e anche nel luglio 2013 provocando un “allarme rosso sulla penisola”. E qualche altro milione di volte nella storia, come in effetti è normale per un anticiclone.
Si potrebbero liquidare queste sparate come sensazionalismo, che coinvolge in egual maniera giornalisti e pubblico, e chiuderla qui. Lo si potrebbe fare quando gli stessi amministratori dei siti chiedono venia sui social con frasi come “E sorridete, suvvia, non insultateci sempre. Cerchiamo di divertirtici tutti insieme sognando la neve, che arriverà. Tanto lo sapete che siamo pazzerelli”.
Pazzerelli come certi climi se non fosse che i problemi sono più seri: si va dai siti più o meno farlocchi, ma dotati di risorse economiche e raccolta pubblicitaria, che pagano le testate giornalistiche e le agenzie di stampa per far riprendere solo i loro comunicati, e non magari quelli dei concorrenti scientificamente più validi, fino ai danni economici agli operatori turistici che vedono sbriciolarsi un weekend di business annunciato – per informazioni rivolgersi all’Associazione Albergatori della riviera romagnola o gli impianti sciistici alpini.
“E sorridete, suvvia, non insultateci sempre. Cerchiamo di divertirtici tutti insieme sognando la neve, che arriverà. Tanto lo sapete che siamo pazzerelli”
E poi si tratta di verità. Di ambiente, di sicurezza. Perché quando un sito che viene ripreso dall’Ansa titola “4-6 novembre: ALLERTA per Piemonte e Liguria” c’è un problema. L’allerta possono darla solo tre figure: protezione civile, a cui spetta l’ultima parola, sindaci e prefetti.
Ci sono poi note di folklore che non danneggiano nessuno, al massimo strappano ilarità, come “la Befana Freezer” con tanto di scope e calze ghiacciate nell’infografica, “Lucifero” oppure l’utente Facebook che commentando la presenza di “aria umida calda da sud di origine libica” scrive: “certo che è prevedibile, è creata artificialmente” – temiamo non in riferimento ai cambiamenti climatici ma alle famose scie e derivati vari.
Tutto questo accade per un motivo. Il più semplice. Il settore privato della meteorologia italiana è una giungla. Nel senso di legge della jungla. Non esiste una norma o testo unico che lo regolamenti, un garante, un’authority, a ben vedere non esiste nemmeno una laurea, al contrario di quello che accade, per esempio, nella vicina Innsbruck. Anche in passato non c’era e diventavano meteorologi magari dei geometri. Ma dopo formazioni intensive dentro l’Aeronautica che garantiva standard di qualità elevati. E quando i modelli di previsione a base di equazioni e algoritmi erano meno complicati di quelli attuali. Il curriculum che le si avvicina di più si trova nelle facoltà di Fisica con indirizzo Fisica dell’Atmosfera e del Sistema Terra, frequentato da quelli che Luca, studente a Bologna – che con Tor Vergata rappresenta il melgio dell’accademia nella penisola – definisce «un manipolo di coraggiosi che sopravvive». Coraggiosi, perché anche le condizioni del mercato del lavoro, in linea con il Paese, non offrono grandi sbocchi agli aspiranti.
Ed è curioso. Perché in questo settore si può parlare di tutto tranne che di crisi di domanda. Basti pensare a quanto è cresciuta in dieci anni, con l’arrivo degli smartphone, la richiesta di informazioni meteo. Quasi un nuovo profilo di essere umano, se prima abituato a portare un ombrello appresso anche per un giugno in Sardegna, oggi lo stesso uomo stringe in pungo il suo telefono controllando nei cristalli liquidi che la nuvoletta di Pippo non lo stia inseguendo per Milano. Ironia a parte, il settore vale soldi, nell’ordine di qualche decina di milioni di euro. «Fra i 50 e i 70 milioni» ci dice Raffaele Salerno, fondatore assieme al colonello Giuliacci di Epson Meteo nel 1995. Con precisione il volume d’affari non lo conosce nessuno proprio perché nessuno controlla. Non c’è un collettore dove trovare questo dato. Bisognerebbe analizzare i bilanci e sommare i fatturati di circa 30 operatori privati di settore. Al netto dei servizi venduti a privati che una branca del servizio pubblico realizza – è il caso, per esempio, dei 14 uffici meteo regionali in capo alle Arpa.
Un giro d’affari da decine di milioni di euro ma nessuno sa quanto. Perché non esistono leggi, authority, garanti. A ben vedere nemmeno una laurea
Guai grossi per i settori più disparati. Il viticoltore, ad esempio, a cui vengono rovinate le aspettative di guadagno perché qualcuno azzarda previsioni a diversi mesi, nel momento fondamentale dell’anno – la primavera, attorno al 10 di aprile, quando il grappolo inizia formarsi – e annuncia settimane di sole e zero precipitazioni. Si verifica il contrario: bastano 10 mm di pioggia in 24-48 ore, con 10 gradi di temperatura minima e germogli lunghi 10 centimetri, per far partire un attacco fungineo di Peronospora. In gergo si chiama “regola dei tre 10”. Se non hai fatto i trattamenti perché ti sei fidato, il raccolto è rovinato e la produzione quintale su ettaro compromessa. Ma non solo: tangenziali private come la Milano-Serravalle, porti, navi mercantili, piattaforme petrolifere, tutto ciò che non è settore pubblico al cento per cento – questo è obbligato per legge a servirsi di Aeronautica e Arpa (come la Rai o l’Anas, per intendersi) – è coinvolto dalle previsioni del tempo. E la deregulation totale, in un Paese che fatica a liberalizzare i tassisti e in generale dove le corporazioni sono vive e lottano, non fa che aggravare il problema.
La deregulation che fa male. E i danni li pagano tutti se in ballo c’è la scienza: agricoltori, operatori turistici, tangenziali, porti, piattaforme petrolifere
C’è chi ci ha provato a mettere una pezza. Come Patrizia Rinaldis, Presidente dell’Associazione Albergatori di Rimini, che su mandato dei colleghi ha proposto una bozza che potrebbe fare da base per un testo di legge, E lo ha consegnato all’onorevole Tiziano Arlotti del Partito Democratico. Per ora non si muove nulla e l’esito del referendum costituzionale ha dato una sonora mazzata a chiunque avesse intenzione di occuparsi di problemi quotidiani. Ma se i rappresentanti nazionali sono occupati a sopravvivere potrebbero muoversi le regioni salvate dal Titolo V. Regione Lombardia un dossier dettagliato che elenca per filo e per segno i problemi accennati lo ha ricevuto. Non si è mossa una foglia nonostante forti venti da nord ovest.
Dalla scienza alla televisione, viaggio nel centro Epson Meteo
Martina ripassa quello che deve dire. «Leggeri rovesci, temperature in discesa al centro nord». Avrà 10 secondi di tempo per dire tutto. Quasi tutto. Dipende da quanto è lungo il servizio sulla torta della nonna che Mediaset deve mandare in onda al rientro durante Mattino5. Gli studi del Biscione sono lontani qualche centinaio di metri in linea d’aria, ma chi detta legge qui è chiaro. Colui che fa la raccolta pubblicitaria. Siamo al TOC di Segrate, Technology Operative Center, da tre anni quartier generale del colosso meteo privato Epson Meteo. Che fra i suoi clienti, oltre a Mediaset dal 1997, ha la tangenziale Milano-Serravalle e Sea, il gestore degli aeroporti milanesi. E tanti altri. Fra cui qualche amico di famiglia: «Ogni tanto chiama un cugino e chiede che tempo farà fra tre mesi al suo matrimonio perché deve prenotare catering e ricevimento» ironizza Luigi Latini, romano adottato dalla Lombardia (il suo accento un po’ meno adottato) e produttore esecutivo. Luigi passa il suo tempo sul back end di un software interno. È il Forecast Review, informazioni condivise dove ogni meteorologo può fare aggiornamenti di stato sulle previsioni di lì a 7 giorni. Ogni data in indicata con “D0, D1, D2” e via dicendo. Dopo 24 ore il “D1”, aggiornato, diventa il “D0” e tutti scalano di una posizione con margine di errore più basso di prima.
È prima mattina e si va in scena per le previsioni del tempo. Il lavoro qui comincia alle 6 circa e chiude alle 19:30. In totale 35 persone su turni fra grafici, meteorologi, manager, attrici, produzione, fonici e quant’altro. Martina è una ventiduenne che studia in Bicocca e teatro al CTA, da cinque mesi e 28 giorni sta in Epson. Da soli due, invece, dopo innumerevoli prove, tentativi e studio anche della materia, si piazza di fronte alle telecamere ed entra nel piccolo schermo di molti italiani seppur registrata. Mezzo busto, figura intera, piano americano; tappeti verdi, sfondo blu, mappa dell’Italia modificata. Ogni format e programma della controllata Fininvest ha le sue preferenze. Alla fine si riguarda su nastro con Elisabetta, giovane producer che lavora in Epson dalla primavera più calda di sempre. Da allora ogni giorno deve aggiornare amici e parenti sulle condizioni del giorno successivo, immaginiamo con una chat condivisa. Prende da parte Martina: «Sei andata bene ma qui hai camminato in avanti, ricordati di stare ferma». Sulle “meteorine” si è fatta tanta ironia negli anni, non sempre gradevole. A Segrate le annunciatrici non rispondono allo stereotipo. Serena Giacomin è laureata in Fisica a Bologna ed è un’esperta di divulgazione scientifica. La terza si chiama Ilaria Fratoni, attrice diplomata al Piccolo Teatro e se è vero che con la cultura e Giorgio Strehler non si mangia, con la televisione e le pubblicità qualcosa in più.
Dentro al TOC di Segrate, quartier generale di Epson Meteo. Si inizia alle 6 del mattino e si finisce alle 19:30. Ci lavorano 35 persone. I clienti? Non solo Mediaset, anche Milano-Serravalle, Sea, porti, compagnie mercantili
Qualche decina di metri più in là Rino, anche lui provenienza accademica bolognese, ce l’ha con una ciambella. Colazione avariata? No. La “ciambella” – termine che non si trova sui manuali – è il foro che isola il cielo di Milano dalla nebbia padana che fece la fortuna di Totò. Si vede chiaramente sullo schermo del pc un cumulo di nebbia e nuvole con un buco in corrispondenza del capoluogo. «Dipende dall’isola di calore, come in tutti i grossi centri urbani si verifica» spiega Giovanni Dipierro, per dieci anni il volto meteo del TG5, prima del briefing delle 14 che si svolge in viva voce con Sesto San Giovanni dove è presente un altro meteorologo. C’è anche il “cammello” per chi volesse diventare un cultore della materia.
C’è anche una spruzzata di America latina a Segrate. Lucia De Rosa è una ventiduenne italo-venezuelana con laurea all’Aeronautical University di Daytona Beach, Florida. Perché volare fino in Italia viste le scarse opportunità per i giovani? Per ragioni di approfondimento. «Conosco già i modelli americani – ci racconta – che sono molto diversi da quelli europei. E per completezza di conoscenza volevo trovare un incarico sull’altra sponda dell’Atlantico».
Non siamo gli unici ospiti oggi al TOC: Le quarte liceo scientifico “Marie Curie” di Pinerolo occupano lo spazio mensa per una lezione di due ore con il meteorologo Daniele Izzo. È il progetto scuole per sensibilizzare alla tematica gli studenti più giovani. Un gruppo di scapestrati in fondo alle fila non sembra molto sensibilizzato e affascinato dalle mappe delle isobare, mentre davanti regna il silenzio e l’attenzione. Sarà che vedere un volto televisivo fa sempre il suo effetto anche se è quello dei ritagli fra Studio Aperto e Studio Sport. Izzo mostra una slide: equazioni, algoritmi, incognite. Si chiamano Modelli di Previsione Numerica e senza di loro sapremmo sul tempo di domani qualcosa di molto prossimo allo zero. La prima volta che hanno girato su un computer – quando ancora li si chiamava calcolatori – era il 1956 in Svezia e non negli Usa come la leggenda vuole. Il calcolatore occupava una stanza intera.
I modelli matematici con equazioni e algoritmi rappresentano tutto: le Alpi, il Mar Rosso, la temperatura a largo delle Filippine. Il primo girò su un computer in Svezia nel 1956. Ma senza l’uomo e l e sue interpretazioni dei dati non sapremmo nemmeno il tempo di domani
Oggi per fare una previsione sull’Italia a tre giorni con un dettaglio a otto chilometri devono eseguire 300 miliardi di operazioni. Possono volerci diverse ore. I modelli rappresentano tutto: la temperatura dell’acqua superficiale dell’oceano a largo delle Filippine, raccolta da un mercantile con a bordo strumenti certificati; la pressione di quota rilevata fino al limite della troposfera dai palloni lanciati e le radiosonde che gli otto centri italiani autorizzati, da Cuneo fino a Cagliari, fanno salire in cielo ogni giorno alle 12 e alle 24. In Lombardia il compito è di Linate, finché il CMR vivrà alla riorganizzazione voluta dalle Forze Armate, eventualità che sembra sempre meno probabile . Si possono “modellizzare” addirittura le Alpi, i valori orografici e di composizione della roccia oltre che la pressione in ogni singolo punto preso in considerazione. È come se risultasse una curva di livello dove il parametro non è l’altitudine ma quello che dice il barometro.
Eppure i modelli non bastano. Sono a decine i modelli nel mondo ma neppure loro sono sufficienti. Ce ne è uno sviluppato in Italia che GLOBO, poco utilizzato dalla comunità scientifica. Due sono i modelli globali: quello del Centro Europeo di Previsioni a Medio Termine, dove partecipano diverse nazioni del vecchio continente, fra cui l’Italia tra le maggiori finaziatrici, e infine quello americano, il GFS – Global Forecasting System. Ma poi c’è il fattore umano, indispensabile. I modelli restituiscono dati grezzi, possono sbagliare e di parecchio. Sopratutto sulle previsioni locali dove serve una conoscenza della climatologia del posto. Qui entra l’uomo. E assieme a lui le incognite di un mondo che conosciamo solo in parte: «Nell’ultima alluvione di Liguria e Piemonte sono scesi 700 litri d’acqua per metro quadro. In sei giorni. È quello che dovrebbe accadere in sei mesi. Metà del territorio ligure non era più in grado di drenare acqua, come se fosse saturo» spiega ancora il romano Latini.
Le statistiche storiche non aiutano perché gli ultimi 15 anni mostrano, su questo fronte, dati anomali rispetto alle tendenze. Colpa del global warming? Probabile, molto, anche se a trarre causalità invece che correlazioni spesso si prendono cantonate. Questo è un altro dei problemi di alcune app meteo che usiamo sui telefoni o siti consultati da centinaia di migliaia di utenti. Spesso questi si basano su modelli globali a bassa risoluzione che su piccole aeree restituiscono una previsone erronea. Altre volte i servizi d’informazione non hanno meteorologi di professione perché anche la professionalità costa. E a quel punto avere il modello senza chi lo sa interpretare è come avere la farina senza il pizzaiolo. Inutile aspettarsi risultati da capogiro. Altre volte ancora si basano sulle statistiche come sanno bene gli agronomi: cosa è successo fra il 15-30 novembre negli ultimi 30 anni? La risposta, magari, è piogge ed ecco che il telefono informa che quest’anno fra 15-30 novembre pioverà un sacco. Un modo che non ha alcun valore scientifico perché l’anno 2016 può essere quello che si discosta dalla mediana. Mentre è probabile invece che nei prossimi 30 anni, durante il periodo 15-30 novembre, piova di frequente.
Eventi estremi: «Nell’ultima alluvione di Liguria e Piemonte sono scesi 700 litri d’acqua per metro quadro. In sei giorni. È quello che dovrebbe accadere in sei mesi. Metà del territorio ligure non era più in grado di drenare acqua, come se fosse saturo»
È a questo punto che facciamo la fatidica domanda. Quando potremmo avere previsioni certe? Ridono. «Mai» è la risposta all’unisono «nemmeno fra 10mila anni». Se anche avessimo un computer in grado di elaborare tutti quei calcoli ci mancherebbe la materia prima: il dato grezzo, raccolto per ogni singola coordinata della terra. Più probabile un futuro su immagine e somiglianza di una distopia atomica. Sarà per questo che nello staff di Epson c’è anche Alessandra Airoldi. Previsioni non ne fa e ha un ruolo amministrativo nonostante la laurea in Fisica. Solo che è Fisica nucleare. Che non si sa mai.
Futuro radioso?
Il problemi della meteorologi privata, al pari di quella pubblica, come abbiamo riassunto in un articolo del 10 ottobre, ci sono e sono tanti. Ma c’è chi rimane ottimista e prova a trovare soluzioni. È il caso del professor Dino Zardi, docente all’Università di Trento a Ingegneria civile e ambientale, Presidente dell’Associazione Italiana Scienze dell’Atmosfera e Meteorologia (AISAM) e fra gli organizzatori e curatori scientifici di spicco del Festival della Meteorologia, che si è svolto a metà novembre a Rovereto.
Una tre giorni di convegni ed espositori giunta alla sua seconda edizione, dove non si è mancato di sottolineare le criticità di questo mondo. Zardi negli ultimi 24 mesi ha collaborato al tavolo per stendere i criteri che permetteranno ai meteorologi di professione di certificarsi presso un ente esterno accreditato, Dekra. Sarà la prima forma di riconoscimento ufficiale della professione. I parametri a cui si conforma la certificazione rispettano le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Meteorologia (WMO) e hanno quindi valore internazionale. Il Presidente di AISAM ci annuncia anche che dall’anno accademico 2018-2019, nell’ateneo trentino, verrà inaugurato il primo corso di laurea in Meteorologia d’Italia. E aggiunge: «Non è potuto partire prima solo perché dal MIUR ci sono direttive ben precise su quanti curricula e corsi di laurea possono essere creati ex novo all’anno». Di certo per non intasare l’offerta formativa o impedire che qualche piccolo polo accademico decida di speculare sul numero di corsi per attrarre studenti, e quindi tasse universitarie, battendo cassa. Un futuro più roseo non sembra toccare solo l’ateneo a ridosso delle Dolomiti. Anche in alcuni poli del sud Italia si stanno per istituire dei master post-laurea scientifica, della durata di 12-18 mesi, con formazione specialistica in meteorologia.
Nasce la certificazione Dekra che riconosce la professione di meteorologo con criteri internazionale. Il Prof. Dino Zardi dell’Università Trento: «L’ultima legge sulle professioni è degli anni ’40. A Trento lanceremo la prima laurea nel 2018-2019»
Zardi non era l’unico a sedere attorno al tavolo della nuova certificazione Dekra: «All’interno hanno lavorato il rappresentante permanente italiano del WMO, colonnello Silvio Cau, un esponente in rappresentanza del consorzio interuniversitario, uno per IAMAS, la dottoressa Baldi per Wmo-Rtc. E infine un osservatore senza diritto di voto che era Massimo Enrico Ferrario, di ARPAV, in rappresentanza della Lista Previsori del Tempo» spiega a Linkiesta Teodoro Georgiadis, ricercare dell’Istituto di Biometeorologia del CNR – anche lui parte integrante di questo percorso.
In assenza di leggi, tuttavia, rimangono dei nodi da risolvere perché la certificazione non è obbligatoria ma volontaria. Può decidere di farla un singolo professionista – come funziona già oggi per gli attestati Enav che garantiscono competenza ai meteorologi che si occupano di assistenza al volo e aeronautica – oppure un’azienda privata può decidere di sottoporvi tutti suoi dipendenti. In modo tale da pubblicizzare questa competenza attestata e magari strappare fette di mercato e clienti ai concorrenti. O addirittura all’estero iniziando a ragionare su economie di scala. Perché il mercato straniero, per le pmi italiane di settore, è ancora un miraggio.
Sono tante le speranze che gli addetti ai lavori associano a questo strumento che ad ogni modo non sarà arrivato mai troppo presto. «L’ultimo testo unico sulle professioni risale addirittura agli anni ’40. È quello che istituì per esempio gli ordini professionali di avvocati, notai, commercialisti, lasciando fuori, anche per ragioni storiche, tutta una serie di mestieri. È tempo che la professionalità venga riconosciuta anche altrove» commenta il professor Zardi.