Il problema dell’Unione Europea? Mancano strategia, ambizione e pragmatismo

La rassegna stampa europea di questa settimana. In primo piano l'Europa, in crisi esistenziale, a cui mancano strategia e ambizione e poi la questione della tassa sui robot

Il futuro dell’Europa

Al Libro bianco della Commissione sul futuro dell’Europa mancano strategia e ambizione: questo il commento di Judy Dempsey, di Carnegie Europe. La pecca principale sta nel cercare di compiacere ciascuno dei 28 (presto 27) Stati membri. Il Libro bianco illustra 5 possibili scenari: proseguire lungo la strada già intrapresa; concentrarsi esclusivamente sul mercato unico; consentire una maggiore integrazione degli Stati membri, laddove la si voglia; fare meno ma in modo più efficiente; ed infine fare molto di più, tutti insieme. Il rischio sta nel fatto che tutti si sentiranno in diritto di scegliere l’opzione più vantaggiosa tra quelle presenti in questa “lista della spesa”: la Commissione sembra aver perso autorevolezza e capacità di leadership, e rende palese il fatto di non avere una strategia definita per il futuro.

Secondo Juha Sipilä, il Primo ministro della Finlandia, l’Europa in questo momento ha bisogno di pragmatismo. I cittadini non pensano che lo Stato federale sia un obiettivo per cui valga la pena lottare, ma nonostante questo isolarsi sarebbe una scelta sbagliata. Se si vogliono perseguire delle forme di solidarietà tra paesi, occorre ricordare che alla base di tutto c’è la fiducia, e dunque gli Stati membri devono assumersi la propria parte di responsabilità e rispettare le norme comuni. La cooperazione europea è stata costruita nel corso del tempo su tre principi fondamentali – pace, prosperità e valori comuni – quando l’Europa, devastata dal secondo conflitto mondiale, aveva bisogno di stabilità. L’Unione europea deve riconoscere le sue radici, e quindi salvaguardare la stabilità, la prosperità e i valori comuni del continente.

La crisi multiforme che l’UE si trova ad affrontare è diversa dalle precedenti: secondo Claire Courteille-Mulder e Olivier De Schutter (Euractiv) si tratta di una crisi esistenziale, dal momento che tocca la nozione stessa di integrazione, il che rende più che mai necessaria una ridefinizione dell’Europa in uno scenario di crisi che, iniziata nel 2008, ancora fa sentire le sue conseguenze sociali. Nell’immediato, è necessario intraprendere azioni concrete volte a dare maggiore coerenza ai diversi obiettivi nazionali, siano essi di natura fiscale, sociale o economica. Più a lungo termine, si dovrà riaprire il dibattito su come portare l’UE sotto la giurisdizione di organismi sovranazionali che tutelano i diritti della persona, se non altro per far sì che gli Stati membri siano in grado di rispettare gli obblighi derivanti dalla ratifica di trattati internazionali.

Al Libro bianco della Commissione sul futuro dell’Europa mancano strategia e ambizione. L’Europa ha bisogno di pragmatismo perché si trova in una crisi esistenziale

La questione sociale

L’Economist prende in esame la tassa sui robot proposta da Bill Gates, sostenendo che ne deriverebbero due vantaggi: maggiori risorse e rallentamento dell’automazione. Di solito gli economisti non amano le imposte sugli investimenti, dal momento che l’acquisto e l’impiego di nuove attrezzature aumentano la produttività e la crescita. Ma se il ritmo dell’automazione è troppo rapido da gestire per la società, rallentare l’automazione potrebbe apportare benefici maggiori degli svantaggi. Tuttavia, ci sono motivi per essere scettici riguardo questo approccio. Non tutti i nuovi robot rimpiazzano il lavoro umano e alcuni rendono maggiormente produttivi i lavoratori esistenti. L’automazione può anche ridurre i costi per i consumatori: una tassa sui robot che portasse a ridurre l’impiego di macchinari nell’assistenza sanitaria e che quindi facesse crescere i costi delle cure mediche potrebbe danneggiare tanti lavoratori quanti ne aiuterebbe. Un ulteriore problema è che almeno per ora la crescita della produttività rimane deludente, e questo suggerisce che semmai l’automazione sta avvenendo troppo lentamente, piuttosto che troppo rapidamente come si teme.

Rutger Bregman propone un ‘modo semplice’ per eliminare la povertà, sostenendo che dovremmo abbandonare l’idea secondo cui i ricchi “meritano” la loro condizione sociale superiore. Un lavoro di Eldar Shafir, docente a Princeton, esamina il caso degli coltivatori di canna da zucchero in India: questi ultimi ricevono circa il 60% del loro reddito annuo in una sola volta, ossia subito dopo la raccolta, il che li rende poveri per una parte dell’anno e ricchi per l’altra. Sorprendentemente, i loro test del QI mostrano che quando sono “poveri” ottengono 14 punti in meno rispetto allo stesso test effettuato quando sono “ricchi”. Ciò si spiega con il fatto che le persone si comportano in maniera diversa quando percepiscono “scarsità”, concentrandosi su una mancanza immediata piuttosto che guardare alla prospettiva di lungo termine. Questo è il motivo per cui così tanti programmi contro la povertà falliscono. Una soluzione semplice sarebbe un reddito di base universale, misura rivelatasi efficace quando è stata sperimentata per 4 anni a Dauphin, a partire dal 1974: l’esperimento ha mostrato che le persone non solo si arricchiscono, ma diventano anche più intelligenti e più sane. Il rendimento scolastico dei bambini è migliorato notevolmente, il tasso di ospedalizzazione si è ridotto dell’8,5%, e anche la violenza domestica è diminuita, così come i problemi di salute mentale. Inoltre, le persone non ha abbandonato il proprio impiego per ricevere il sussidio. Un reddito di base fungerebbe da capitale di rischio per le persone, e sarebbe conveniente dato che la povertà ha enormi costi occulti.

L’automazione può ridurre i costi per i consumatori: una tassa sui robot che possa ridurre l’impiego di macchinari nell’assistenza sanitaria e che quindi faccia crescere i costi delle cure mediche potrebbe danneggiare tanti lavoratori quanti ne aiuterebbe

Traduzione dall’inglese a cura di Elisa Carrettoni

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