È notizia di questi giorni. Tale Azza Ghali, preside di una scuola cattolica canadese avrebbe impedito agli studenti del suo istituto di parlare di una serie tv. Anzi, della serie tv Netflix più discussa del momento: 13 Reasons Why, meglio nota come 13. La trama è ispirata al best seller omonimo di Jay Asher, uscito nel 2007, e segue la breve vita di Hannah Baker, diciassettenne americana che si suicida avendo cura di registrare, prima, 13 audiocassette, lato A e lato B, rivolte ad altrettanti coetanei che, a suo modo di vedere, l’avrebbero spinta a farla finita.
Bullismo come se fosse stato inventato l’altroieri, alcol, droga e vari ed eventuali spot terroristici sui ragazzi di oggi – che mondo, signora mia -. Le ragioni di Hannah ruotano intorno a invenzioni tecnologico-futuristiche di questo tipo e al fatto che non ci siano più le mezze stagioni. A giudicare dalle reazioni dei gentili abbonati, tra lodi sperticate e timori per la vita di un personaggio che non è mai esistito, sembrerebbe proprio di stare assistendo al funerale delle mezze misure, più che altro. Certo, mancherebbe giusto una fiaccolata per dare l’idea di quanto le persone, le stesse persone che probabilmente nemmeno parlano col proprio vicino di casa, abbiano preso seriamente la vicenda di Hannah Baker e del suo triste destino.
Da ultimo, ma solo in ordine di tempo, anche Azza Ghali, preside canadese, si è sentito in dovere di segnalare via mail ai genitori dei suoi alunni di terza elementare un semplice fatto: i loro pargoli di otto anni avevano iniziato a chiacchierare di vodka, lamette e vene tagliate a ricreazione. Una piccola curiosità: l’età dei ragazzi in questione, generalmente, non si legge nei titoloni che hanno fatto indignare la rete nelle ultime ore al grido di “Censura!”.
Hannah Baker, è noiosa, terribilmente noiosa. Tanto noiosa da far sentire l’esigenza di passare dalla lingua originale al doppiaggio, a scanso di sforzi cognitivi sproporzionati alla causa. Per stare ad ascoltare qualcuno lamentarsi della vita, davvero, non servono i sottotitoli, a volte basta guardarsi allo specchio e farsi una chiacchierata
Quella canadese però è solo l’ultima delle polemiche scoppiate intorno a 13 Reasons Why, serie prodotta da Selena Gomez, popstar 24enne. A quanto si dice 13 correrebbe il rischio di rendere “glamour” il suicidio e, inoltre, di farlo passare come una ripicca, una forma di vendetta contro i cattivi, ovvero gli altri, rei di non riuscire ad accettare il prossimo come dovrebbero. Ora, non sappiamo quanto si sia innalzato il tasso di suicidi adolescenziali dopo la prima di Romeo e Giulietta ma ciò che possiamo affermare con certezza è che 13 Reasons Why non sia esattamente Shakespeare.
Perché 13, anzi la stessa Hannah Baker, è noiosa, terribilmente noiosa. Tanto noiosa da far sentire l’esigenza di passare dalla lingua originale al doppiaggio, a scanso di sforzi cognitivi sproporzionati alla causa. Per stare ad ascoltare qualcuno lamentarsi della vita, davvero, non servono i sottotitoli, a volte basta guardarsi allo specchio e farsi una chiacchierata.
Ognuna delle 13 puntate raccoglie le recriminazioni di Hannah Baker. Recriminazioni a volte coerenti, molto più spesso, considerate dal mero punto di vista narrativo, ridicole. Apprendiamo, ad esempio, che tra le ragioni che hanno spinto Hannah a togliersi la vita ci siano l’essere stata trascurata da un’amica che si era trovata il fidanzatino e aver ricevuto delle avances gentili da un coetaneo simpatico che poi, in realtà, puntava solo a portarsela a letto. Veramente le persone posso essere così meschine? Sì. E per arrivare a scoprire siffatte mostruosità ci possono volere dai quaranta ai sessanta minuti, durata media di ogni episodio.
Sappiamo bene di come questa serie parli anche di bullismo e violenza sessuale. E qui, forse, si può trovare l’unico fattore potenzialmente “pericoloso” di 13: Hannah non parla con nessuno di ciò che le sta capitando perché crede che i suoi genitori siano troppo impegnati a gestire gli affari zoppicanti della propria attività commerciale. Perché non si fida dei suoi coetanei. L’unico momento in cui prova, a decisione fatale ormai presa, a parlare con qualcuno dei disagi, piccoli e grandi, che sta attraversando, tenta un colloquio con lo psicologo messo a disposizione dalla scuola. Psicologo che però quel giorno non le presta attenzione, preso dai fatti suoi. O, semplicemente, annoiato da una ragazzina che, come tutte le altre, sta crescendo. Ma deve farla pesare tantissimo.
Dicevamo, forse qui è dove si annida il minor grado di verosimiglianza dell’intera faccenda. Non solo per quanto riguarda Hannah. Anche nel momento in cui i suoi coetanei ricevono le famigerate cassette, nessuno di loro si rivolge a un adulto. Come se quello dei ragazzi e quello delle “persone grandi” fossero due mondi totalmente separati, e molto spesso lo sono, ma questa sarebbe una di quelle situazioni in cui qualunque adolescente, o almeno uno su dieci, chiamerebbe la mamma anche se in genere non lo capisce e poi che noia questa storia che devo sempre stare a riordinarmi la cameretta. Nella vita reale, quella senza copioni approvati da Selena Gomez, sarebbe tutto un po’ troppo pesante da poter digerire per i fatti propri, come fosse niente.
Dunque, verrebbe da chiedersi, perché questo polverone, quando non idolatria, nei confronti di una serie, tutto sommato, bruttina? Perché i temi affrontati, suicidio, bullismo, violenza sessuale e così via sono importanti quindi deve necessariamente esserlo anche la serie. Solo che in casi come questo la proprietà transitiva non vale
La mancanza di comunicazione, però, non è a senso unico: non c’è nessuno tra i genitori abbozzati nella serie che arrivi a porsi delle domande sul fatto che, nel 2017, siano improvvisamente tornati di moda i walkman. A tappeto, da un giorno all’altro, smartphone e audiocassette. Tutti. Un fatto quantomeno curioso, spiegato con la scusa di una “ricerca per la scuola”. Sì, certo, un file in Dropbox era troppo mainstream? Alla lunga quei nastri sarebbero stati riavvolti, quella foglia sarebbe stata mangiata nel mondo reale o in una realtà verosimile, appunto.
Dunque, verrebbe da chiedersi, perché questo polverone, quando non idolatria, nei confronti di una serie, tutto sommato, bruttina?
Perché i temi affrontati, suicidio, bullismo, violenza sessuale e così via sono importanti quindi deve necessariamente esserlo anche la serie. Solo che in casi come questo la proprietà transitiva non vale. Certo, dirlo apertamente, non fa fare una bella figura. Ragione in più per sostenerlo, dunque.
Il succo dell’intera faccenda è banale ma pare ci sia bisogno di ribadirlo: si può parlare di tutto, anche degli argomenti più delicati e lo si può fare bene, male o in modo noioso. Avete presente Roberto Saviano ad Amici di Maria De Filippi o Roberto Saviano in generale? Ecco.
Probabilmente siamo dei mostri senza cuore, bene. Aspetteremo la nostra audiocassetta passivo-aggressiva. Fino a che non uscirà la prossima serie evento di Netflix per cui tutti proveranno dell’empatia da binge watching e che farà perdere il sonno a un preside canadese. Costretto a scusarsi, per giunta. Perché così ha stabilito Selena Gomez.
Detto questo, potete pure continuare a prendere la cosa molto seriamente. E a non annoiarvi a morte.