Quando si parla di musica e di fattanza, il pensiero vola diretto verso un genere: l’hip hop. È lì che si parla di disagio sociale, di rivincita e, come è noto, di droga. Tanta droga. Eppure, come tanti altri pensieri che volano, anche questo è sbagliato. Secondo un sondaggio condotto da Addictions.com, i ricercatori hanno scoperto che il genere in cui si parla più di droga non è l’hip hop. Anzi, degli otto presi in considerazione, è l’ultimo. Come è possibile?
Semplice: i tempi sono cambiati. Come spiega Logan Freedman, uno degli autori della ricerca, il rap e l’hip hop degli anni ’90 è diverso da quello attuale. Nel decennio in cui il genere ha conosciuto la fioritura c’era un approccio alla droga diverso da oggi. Le canzoni abbondavano di riferimenti, di citazioni, anche di celebrazioni. Era una presenza fissa, un tema legato allo spirito ribelle e rabbioso del ghetto. Oggi non è più così: la droga, a quanto pare, si è imborghesita.
Ne è segno il fatto che, secondo la ricerca, il genere che ne parla di più è…il country. Nessuno scherzo: tra un banjo e la nostalgia di casa lungo una country road, si riesce sempre a infilare, da qualche parte, almeno un riferimento alla marijuana (che è la sostanza più citata: almeno il 30% delle occorrenze). Segue un ex genere trasgressivo, ossia il jazz. Ormai materia per cultori simile alla musica classica, mantiene la sua carica anti-sistema citando droghe a più non posso. Al terzo posto, invece, il pop, che abbonda (anche questo) di riferimenti alla ganja (basti pensare a Miley Cyrus).
Seguono la musica elettronica, il rock (a sancire la fine del “sesso, droga e rock’n roll”), un generico “altri”, il folk e, infine, l’hip hop. Un genere ormai disintossicato, insomma.
Come detto sopra, è la grande popolarità della marijuana (alias imborghesimento) è la causa della sua prevalenza sulle altre droghe nei testi delle canzoni. Solo nel folk vince la cocaina, mentre il jazz ha un debole (più che comprensibile) per gli acidi. Per il resto, è tutta maria.