È servita l’inchiesta di Savona sulla presunta truffa delle adozioni in Kirghizistan (di cui Linkiesta ha già parlato) per alzare il velo sulla Commissione per le adozioni internazionali, Cai, al centro dello scontro politico negli ultimi anni. Nelle oltre 8mila pagine dell’indagine ai danni dell’ente Airone di Albenga, viene fuori quella che i pm savonesi definiscono una “cortina fumogena” nella gestione degli enti e delle pratiche adottive dei minori stranieri. E al centro della gestione “poco trasparente” ci sarebbe anche la contestatissima figura dell’ormai ex presidente della Cai Silvia Della Monica, senatrice Pd ed ex magistrato antimafia, sentita come persona informata sui fatti dai magistrati liguri per quella che potrebbe essere la più grave truffa sulle adozioni della storia italiana. A ottobre partirà il processo con due imputati (Silvia La Scala, presidente di Airone, e la collaboratrice e traduttrice Inna Troukhan), accusati di aver sottratto migliaia di euro agli aspiranti genitori italiani alimentando la speranza della adozione per bambini che in realtà non erano adottabili.
Una grana che Della Monica, che non risulta indagata, ha ereditato dalla precedente presidenza Cai. Ma i pm di Savona contestano però alla ex presidente, come riportato anche da un articolo del Fatto Quotidiano, di non aver certo agevolato le indagini, fornendo con facilità carte e informazioni. E anzi, di aver lavorato di notte per la manomissione di alcuni documenti, chiedendo addirittura ai titolari degli enti autorizzati di evitare di parlare al cellulare di certi temi.
Difficile dire cosa sia accaduto negli ultimi tre anni tra le mura perfettamente imbiancate di Villa Ruffo. Nel corso della presidenza Della Monica, la commissione non è mai stata riunita, il numero verde destinato alle famiglie è stato sospeso, e per tre anni non sono stati pubblicati i report sui numeri delle adozioni. Il giudice minorile Laura Laera, che da poco ha preso il posto di Silvia Della Monica, tra le prime cose fatte, ha riattivato la mail della commissione che – come abbiamo più volte scritto – risultava da tempo piena, con la restituzione della posta al mittente. La casella poteva essere visionata esclusivamente dalla Della Monica, che da tempo si curava dal farlo.
I documenti finiti nel cassonetto
Renziana di ferro, sposata con un dirigente della Polizia di Stato in pensione, Della Monica proprio da Matteo Renzi aveva ricevuto insieme le due cariche di presidente e vicepresidente della Cai. L’ex magistrato, appena insediata alla Cai, racconta via sms a Matteo (Renzi) e Graziano (Delrio) di aver messo «l’elmetto come ai tempi del lavoro con Caponnetto, Falcone e Borsellino» e di aver trovato «il finimondo di illegalità» e un presunto «traffico di minori» gestito dagli enti autorizzati, e principalmente da Aibi, l’ente protagonista della copertina dell’Espresso sui “Ladri di bambini” e le presunte irregolarità delle adozioni dal Congo. Ma poi Della Monica assume comportamenti discutibili e ai limiti del lecito. Per telefono, consapevole di essere intercettata, l’ex magistrato saluta provocatoriamente «il maresciallo» che la ascolta. E la si vede lavorare alla Cai anche di notte, impegnandosi per far sparire nella spazzatura documenti ritenuti pericolosi.
Ma di quali documenti si tratti non si sa. Visto che nel cuore di una notte di piena estate (31 luglio 2014), alle 3.45, appena lasciati gli uffici della Cai, Silvia Della Monica ricorda di aver dimenticato in ufficio il «sacchetto della monnezza». E telefona alla fidata consulente Donatella Piazza per recuperarlo in fretta e gettarlo. Insieme ad altre collaboratrici si chiede se bisogna tornare indietro. Della Monica insiste: «Se state ancora in giro andatelo a prendere». Alla fine rinunciano perché l’accesso al palazzo a quell’ora non gli è consentito. E decidono di affidare l’incarico a un’altra collaboratrice, che il giorno dopo sarebbe arrivata in ufficio alle 7.30, prima di tutti gli altri. «Bisogna piantonare, dite subito ad Alessandra questa cosa», dice la presidente. Il mattino dopo alle 7.45 Alessandra chiama Silvia Della Monica rassicurandola di aver buttato il sacchetto «nel cassonetto giù alla piazza». «Tu sei un angelo», risponde Della Monica. «Sai cosa ricostruivano da quelle carte».
L’obiettivo sembra essere quello di non far avvicinare a «quelle carte» l’exdirigente generale della Cai, Anna Siggillino, poi raggiunta da un procedimento disciplinare e sospesa senza stipendio perché non avrebbe firmato 20 pratiche di ingresso di minori gestite dall’ente Airone, che a suo parere erano «irregolari». «Giova ricordare», scrivono gli inquirenti, «come tale procedimento sia stato avviato a seguito della riunione avvenuta nella notte del 31 luglio, durante la quale la Della Monica e le sue collaboratrici… hanno distrutto della documentazione non meglio individuata». Contro la dirigente partiranno anche due denunce in modo da ottenere la sua rimozione dall’incarico. Lo scontro a Villa Ruffo era talmente alto che la presidente Cai avrebbe ordinato una porta insonorizzata per il suo ufficio per paura di essere spiata.
«Bisogna piantonare, dite subito ad Alessandra questa cosa», dice la presidente. Il mattino dopo alle 7.45 Alessandra chiama Silvia Della Monica rassicurandola di aver buttato il sacchetto «nel cassonetto giù alla piazza». «Tu sei un angelo», risponde Della Monica. «Sai cosa ricostruivano da quelle carte»
Nelle sue tesi difensive, l’ex dirigente Siggillino sostiene che i fascicoli dell’ente Airone, a cui l’ex presidente della Cai Daniela Bacchetta aveva revocato l’autorizzazione nel 2013 a seguito delle prime indagini, sarebbero stati manomessi da Della Monica e dalle sue due collaboratrici. Lo scopo sarebbe stato riabilitare l’Airone, reinserirlo nell’albo degli enti e addirittura farlo diventare parte lesa e ottenere un risarcimento danni. «Stanno manomettendo tutti i fascicoli di Airone, fanno le ore piccole per distruggere le carte. Vogliono riammetterle l’ente revocato che ha fatto le truffe», racconta al fratello. «L’ente richiederà il risarcimento danni allo Stato, e poi si spartiscono tutto… questo è il quadro…», spiega la dirigente, che a un certo punto dice di voler andare a raccontare tutto a Renzi e al Csm.
Conversazioni che, scrivono gli inquirenti savonesi, confermano che «sono in atto all’interno della Cai tentativi di manomissione di fascicoli e documenti perché altrimenti non si spiegherebbe una solerzia e urgenza tale da imporre a una dipendente di buttare la spazzatura non appena arrivata in ufficio». E la telefonata delle 3.45 tra Della Monica e le sue collaboratrici «dimostra che la documentazione gettata, come affermato dalla presidente stessa ad Alessandra, avrebbe permesso di ricostruire un qualcosa che evidentemente ora è stato alterato». L’ipotesi è che la documentazione riguardava le pratiche trattate da Siggillino «e pertanto si presume siano quelle de L’Airone».
Ma sentita dai magistrati di Savona, Della Monica spiega che le carte finite nel cassonetto della piazza erano le “brutte copie” del procedimento disciplinare a carico di Siggillino, e che la preoccupazione di gettarle subito derivava dal fatto che il suo ufficio era già stato forzato di notte. Nelle conversazioni telefoniche tra le collaboratrici di Della Monica, e tra Della Monica e un referente delle famiglie, si ipotizza che la Cai fosse al corrente degli illeciti di Airone, e anzi che vi fosse una certa connivenza. La dirigente generale, a parer loro, doveva essere allontanata dall’ufficio per via del «pericolo di inquinamento delle prove» e della «reiterazione dei reati». Ma secondo Siggillino, il procedimento disciplinare contro di lei sarebbe stato solo una macchinazione per sostituire il personale non gradito alla presidente Della Monica, che aveva già allontanato diversi membri della Cai in una gestione dell’istituzione che molti definiscono “monocratica”, oltre che di chiara impronta politica. Si ritiene, scrivono i magistrati, che Della Monica, «benché non sia penalmente esposta per eventuali condotte illecite poste in essere dalla gestione precedente, stia effettuando una verifica generale al fine di non esporre la Cai, attesa la forte connotazione politica dell’ufficio».
«Io ci rimetto non solo la faccia mia in questa cosa ma ci metto pure la faccia di Matteo e figurati se la faccio imbrattare»
Il fronte politico
In effetti, Silvia Della Monica, attaccata da più parti per l’immobilismo della Cai e per il blocco di diverse pratiche adottive, si è molto adoperata per trovare sponde politiche nel suo partito. Scrive a Delrio, racconta di aver sentito più volte Maria Elena Boschi, ma di non riuscire a contattare Luca Lotti. Contatta persino il senatore Luigi Manconi, chiedendo di fare un’audizione nella Commissione diritti umani, e prova a sentire pure il presidente del Senato Piero Grasso per far fare un’interpellanza parlamentare «dagli amici loro» contro quella presentata da Carlo Giovanardi (ex presidente Cai). E proprio non le va giù l’attivismo di Lia Quartapelle «che non riescono più frenare, anche perché lei… è una bravissima ragazza ma lei non può essere capo di un sindacato delle famiglie». D’altra parte, spiega Della Monica, «io ci rimetto non solo la faccia mia in questa cosa ma ci metto pure la faccia di Matteo e figurati se la faccio imbrattare». Così per Della Monica si mobilita un esercito. Si fanno interpellanze e conferenze nei palazzi romani in contrasto con le famiglie che lamentano l’assenza della Cai. Le sue collaboratrici coinvolgono anchei genitori adottivi, chiedendo loro di firmare una mail di sostegno alla presidente.
L’incontro tesissimo con i pm
A un certo punto, a fine 2014, i pm di Savona decidono di sentire Della Monica, dopo averla intercettata a lungo, come persona informata dei fatti nell’ambito dell’indagine Airone. Ma contattarla anche per loro diventa difficile. I pm telefonano alla Cai più volte e non trovando la presidente chiedono di essere richiamati. Senza alcun riscontro. Così come non ricevono risposte alle email. E quando le chiedono di andare in procura, Della Monica esprime il suo «disappunto» e la «indisponibilità a recarsi a Savona». Un «muro di gomma», commentano i magistrati.
Tanto che in un tesissimo incontro avvenuto poi a Savona, i pm liguri le contestano di «volersi sottrarre» alla domande, di voler «sindacare l’orientamento delle indagini» e soprattutto di aver creato «una cortina fumogena», anche evitando che «si parlasse al telefono di certi argomenti». I magistrati le contestano pure la lentezza nella trasmissione degli atti richiesti e la mancata trasmissione di un verbale nello specifico, quello della audizione della vicepresidente di Airone Orietta Maini, anche lei indagata e poi deceduta. Della Monica si giustifica tirando in ballo la «delicatissima operazione» nella quale era coinvolta per far arrivare i bambini dal Congo. «Che però a noi non interessano», commentano i pm, anche perché «l’abbiamo chiesto per mesi, per mesi». E precisano che non stanno mettendo in dubbio la correttezza, ma «la trasparenza forse».
L’obiettivo degli inquirenti è anche capire se Della Monica abbia favorito Airone, aiutando i responsabili di altri enti – Enzo B, in particolare, poi finito sotto indagine a Torino – ad aggirare la revoca del 2013, facendo da prestanome e “travasando” su di loro le pratiche adottive prima in mano all’ente di Albenga. Nel corso dell’incontro con Della Monica, i magistrati citano una telefonata tra il fondatore di Enzo B Stefano Bernardi e Maini. «Poi sai, com’è rassicurante la Silvia Della Monica, magistrato antimafia che ti dice “le spiace se non ci sentiamo al cellulare?”», dice Bernardi. I rappresentanti dell’ente di Torino a questo punto fanno su e giù da Roma per incontrare la presidente. «Venivano giù a Roma e poi salivano su e dicevano», dicono i pm. Della Monica nega tutto. Intanto il suo braccio destro, Donatella Piazza, arrivata a Savona con lei, si rifiuta di farsi sentire dai magistrati. In ogni caso, una volta terminata l’audizione, sia Piazza sia Della Monica smettono di usare i telefoni intercettati.
«Poi sai, com’è rassicurante la Silvia Della Monica, magistrato antimafia che ti dice “le spiace se non ci sentiamo al cellulare?”»
La voce delle famiglie
Siamo a fine 2014, l’indagine di Savona è in corso. Ma così come la procura di Savona, anche le famiglie vittime della truffa e i loro avvocati non riescono a mettersi in contatto con Della Monica. «Non c’è stato verso», raccontano. «Ma in Kirghizistan noi ci siamo andati sotto l’ombrello della vigilanza della Cai», dice Fabio Selini, che con la moglie Gessica ha trascorso otto giorni con il bambino che avrebbe dovuto adottare e che poi non ha più rivisto. «Abbiamo fatto tutto quello che viene richiesto dalla legge in maniera limpida e legale. Ora vogliamo sapere cosa c’è di compromettente in queste carte che sono state gettate. Chi ce lo racconta? Noi ci siamo fidati di un ente autorizzato dalla Cai, che fa capo direttamente alla presidenza del Consiglio. Gran parte del danno è provocato dallo Stato stesso!».
A Roma una delle 20 coppie ha intentato pure una causa civile nei confronti della Cai, chiedendo il risarcimento danni per omessa vigilanza. La sentenza dovrebbe arrivare nel prossimo autunno. Ma la Commissione non avrebbe un fondo per elargire un eventuale risarcimento. Alcune famiglie hanno speso fino 30mila euro per le procedure adottive. Nelle carte ci sono assegni e bonifici a tre cifre intestati ad Airone e ai suoi referenti kirghisi. E la promessa fatta da Silvia Della Monica della creazione di un fondo d’emergenza dedicato alle famiglie dello scandalo in Kirghizistan, anche quella, è caduta nel dimenticatoio. Insieme a tutte le email alle quali le famiglie non hanno mai avuto risposta.