Ci sono nato, “creativo”. Non tornerei mai indietro.
Volevo scrivere e fare libri: missione compiuta.
Volevo fare – ed entrare in contatto con chi fa – idee, progetti, visioni: missione compiuta.
Volevo muovermi liberamente, senza vincoli, senza limiti: missione compiuta.
Bello? No, fantastico: basta sapere che i prezzi da pagare sono proporzionali al privilegio che ti ritrovi.
Basta sapere che essere “creativo” è un dono, ma anche un lavoro molto duro.
Basta sapere che più un talento ti sgorga dalla punta delle dita, più hai grandi responsabilità.
Basta sapere che più sei davvero “creativo”, più devi tenerti alla larga – neanche il minimo contatto – dalla retorica della creatività.
«Basta sapere che più sei davvero “creativo”, più devi tenerti alla larga – neanche il minimo contatto – dalla retorica della creatività»
Se c’è una cosa che mi fa detestare tanti “creativi” – uso le virgolette perché la parola è tanto bellissima quanto malamente abusata – è proprio una certa aura di anticonformismo ostentato, di bizzarria a ogni costo, di autocompiaciuta devianza. No, accidenti: gli anticonformisti e gli stravaganti sono noiosi quanto – se non di più – i conformisti e i “normali”. Chi pensa che il talento creativo sia una sorta di lasciapassare per saltare la fila ed ergersi al di sopra degli altri umani “non creativi” si macchia del peggiore dei torti verso la creatività. Perché essere creativi non riguarda semplicemente l’arte, la musica, il cinema, la scrittura, il design, la comunicazione e tutte le altre cose affini: essere creativi riguarda l’esistenza intera, la propria attitudine, la propria relazione con il mondo.