Attorno ai numeri del mercato del lavoro in Italia si continuano a combattere battaglie demagogiche che stridono con la realtà dei fatti: il Jobs Act e la sua logica di incentivi fini a se stessi non è servita a invertire la rotta della deriva montiana dei sacrifici senza crescita, dei tagli senza programmazione. La verità è che l’occupazione non cresce perché non ci sono in campo strumenti adeguati a sostenere il nostro sistema produttivo. E così le dichiarazioni di esponenti del Pd e del Governo di queste ore attorno ai dati ISTAT e alle percentuali da prefisso telefonico di andamento dei tassi di occupazione e disoccupazione assomigliano più a virtuosismi circensi che ad una ragionevole analisi politica e istituzionale.
La cartina di tornasole della gravità della situazione la esprimono però i numeri del Mezzogiorno, che sono in calo, da qualsiasi angolazione li si guardi, persino con l’occhio benevolo dell’Istat di questi ultimi anni. E non è un caso che la maggioranza si tenga ben lontana dal tema Sud e lavoro. Non si è ancora spenta l’eco della grancassa mediatica del Patto per il Sud, delle strette di mano tra Renzi e i governatori Pd, più o meno osservanti. Fiumi di miliardi, descritti, immaginati, rappresentati con slides colorate in conferenze stampa pompose. È successo dovunque nel Mezzogiorno. E lo stesso Gentiloni, in questi mesi, non ha saputo resistere al fascino delle promesse, alla retorica dello sviluppo del Mezzogiorno come volano della rinascita del Paese. Ma tutto quel fiume di parole, a distanza di oltre tre anni, non ha saputo tradursi in fatti concreti. Le risorse, poche, restano dove sono. Delle grandi opere non si sa nulla.
Un sistema bancario al Mezzogiorno non esiste praticamente più. gli stessi nuovi investimenti in logistica, porti, aeroporti, infrastrutture prospettati dal governo, numeri alla mano, sono ripartiti in misura clamorosamente sbilanciata in danno delle regioni meridionali. Persino la nuova distribuzione di risorse per le Università vede aggravarsi il solco in favore del Centronord
Un sistema bancario al Mezzogiorno non esiste praticamente più, con gravissime conseguenze sul tessuto delle piccole e piccolissime imprese lasciate sempre più sole ad affrontare il mercato della concorrenza globale. Come è emerso nei mesi scorsi, gli stessi nuovi investimenti in logistica, porti, aeroporti, infrastrutture prospettati dal governo, numeri alla mano, sono ripartiti in misura clamorosamente sbilanciata in danno delle regioni meridionali. Persino la nuova distribuzione di risorse per le Università vede aggravarsi il solco in favore del Centronord. Insomma, Cristo resta fermo ad Eboli, settant’anni dopo. In queste condizioni i numeri del mercato del lavoro del Sud non possono che essere più rossi che altrove. Dove sono le misure, diverse dal perpetuarsi di sterili e momentanei incentivi, che dovrebbero stimolare questo pezzo d’Italia a ripartire?
Ed è questo uno dei grandi temi che il Presidente Berlusconi ha evidenziato nell’albero delle idee del nostro programma di governo. L’Italia del boom aveva una Cassa per il Mezzogiorno, politiche industriali funzionali a favorire grandi insediamenti produttivi al Sud, misure keynesiane sia pure in salsa clientelare. Da quell’esperienza bisogna ripartire, con un primo investimento, però. Il Mezzogiorno, per invertire la rotta, ha innanzitutto bisogno di serietà da parte di chi governa e di avere una classe dirigente – anche amministrativa, non solo politica – in grado di esprimere un progetto organico di ampio respiro per onestà ma anche per competenza e qualità.
*Responsabile Nazionale Politiche per il Sud e Consigliere regionale della Campania di Forza Italia