Narra la leggenda, ripresa dallo scrittore greco Plutarco, che alcuni soldati ateniesi prigionieri nelle latomie siracusane nel 413 a.C., dopo la disastrosa spedizione in Sicilia, riuscirono a ottenere la libertà cantando le ultime arie di Euripide.
L’aneddoto, con ogni probabilità una fabbricazione posteriore, ha il merito di mettere in luce almeno due cose: la prima era che Euripide, celebre tragediografo, era amato e apprezzato anche lontano dalla sua patria. Era una vera e propria star. La seconda cosa, invece, sta nel verbo “cantare”: le tragedie ateniesi, come è ben noto, erano accompagnate dalla musica. Il coro era un coro che cantava, le tirate degli attori vere e proprie arie. Il successo di un’opera rispetto a un’altra dipendeva, spesso, anche da questo: gli effetti sonori e, addirittura, le trovate sceniche.
Insomma, di tutto ciò che veniva composto è pervenuto, ai nostri giorni, solo il testo. I filologi, dal canto loro (pun unintended), studiano le parole, ne esaminano la grammatica, le forme e il ritmo, e propongono interpretazioni dei passaggi più oscuri. Ma è corretto? Se si vuole esagerare, è un po’ come valutare le opere di Mozart dal libretto e non dalla musica.
Il punto è che, forse, la musica può essere ricostruita. Lo sostengono in tanti e, tra questi, lo studioso Armand D’Angour – classicista, musicista, imprenditore e amico di Boris Johnson. “Abbiamo a disposizione più informazioni di quanto si pensi”, spiega. Il ritmo, prima di tutto, è registrato nelle forme metriche dei testi. Gli strumenti, ricostruiti a partire da descrizioni e illustrazioni, possono essere riprodotti. Le scale musicali sono approfondite in alcuni trattati. E, per certi passaggi testuali, è rimasto anche qualcosa che somiglia alla notazione. “Se si mette tutto insieme, si ricostruisce la musica dell’antichità”.
È quello che cerca di fare lui. Certo, non è semplice. “Le sonorità”, ricorda in un articolo della Bbc, “sono molto diverse da quelle attuali. Sono sopravvissute, nelle melodie e nelle tecniche, in qualche composizione tipica turca o sarda”. Contemplano il quarto di tono, del tutto estraneo all’orecchio occidentale moderno (tranne quello più raffinato), ma molto diffuso in Oriente e in Medio Oriente, e una serie di rapporti diversi dalle nostre tipiche scale toniche. Insomma, è una musica che può suonare strana. Ad esempio, qui:
Ma la domanda rimane: nonostante la notazione, gli strumenti, il ritmo, era proprio quella la musica? Come reagirebbero gli antichi se, resuscitando, si trovassero a sentire queste rielaborazioni? Le apprezzerebbero? La troverebbero somigliante? Chi può dirlo. È, più o meno, come ricostruire una parte delle Nozze di Figaro a partire da alcune notazioni. Qualcosa di giusto, alla fine ci prenderanno anche. O no?