Il Rap ha il suono di due milligrammi di Xanax

La musica è lo specchio della società. Recenti studi hanno passato al setaccio 1,41 milioni di testi e molto spesso viene citato l'abuso di stupefacenti. Tuttavia, negli ultimi tempi pare che per sballarsi sia utilizzato un farmaco, lo Xanax. E la scena rap ne ha il "primato"

Siamo abituati ad associare – e non invano – la musica rock alla droga; d’altronde il motto “sex, drug & rock’n roll” non è nato a caso. La storia di questo genere, infatti, è costellata da casi emblematici. Ma più in generale, come riportava anche un articolo di The Conversation, possiamo estenderlo all’intero mondo musicale. Infatti, escludendo la musica classica, nessun genere è rimasto immune a questo stretto legame. E ognuno di loro ha avuto, potremmo dire, la sua “droga personale”. Il recente studio della Oxford Academy ha dimostrato che gli effetti causati dall’assunzione di sostanze stupefacenti possono essere differenti a seconda del tipo di droga. Spiego meglio: ad esempio, non tutti i tipi di cannabis producono i medesimi effetti.

Sarebbe dunque difficile comprendere un genere come l’Acid Rock se non conoscessimo gli effetti dell’LSD: allucinazioni visive, alterazione del senso del tempo e dello spazio, un irreale senso di euforia, ma anche attacchi di panico e pensieri opprimenti. Anzi, alcuni studi hanno addirittura dimostrato che questa particolare sostanza aumenta le nostre emozioni mentre ascoltiamo la musica . Certi farmaci cambiano in maniera considerevole l’esperienza dell’ascolto della musica. L’anfetamina, un composto chimico iperstimolante, è simmetrico alla musica techno – che ha ritmi veloci e incalzanti -; così come l’MDMA tende a indurre a movimenti ripetitivi tipici della musica house. Come se l’una giustificasse l’esistenza dell’altro. Infatti la stessa musica house sarebbe rimasta un gusto musicale di nicchia se non fosse stato per la vasta disponibilità di MDMA negli anni ’80 e ’90.

A dispetto di ogni pronostico, è la musica country il genere che cita più frequentemente le droghe nei testi delle canzoni. Fanalino di coda proprio il rap, notoriamente considerato dai benpensanti come il principale fautore della distruzione morale dei giovani d’oggi

Ma anche il jazz non è rimasto immune a questo legame: in particolare con l’eroina. Si pensi a John Coltrane. Sicuramente tra i sassofonisti più famosi del mondo, è stato tra i capisaldi del genere negli anni ’60, chiudendo il periodo del bebop e aprendo quello del free jazz. John si dedica per tutta la vita alla meditazione e per molti anni farà uso di stupefacenti.

I legami tra musica e droga sono svariati: dal jazz ed eroina negli anni Sessanta, ai funghetti psichedelici negli anni Settanta, alla disco e il metaqualone, dal reggae e l’erba al punk e la speed, ma anche l’hip-hop e la purple drank.

Forse però abbiamo ancora troppi stereotipi da abbattere. E per questo è utile riportare uno studio condotto da Addictions.com: hanno passato al setaccio gli 1,41 milioni di testi pubblicati sul sito Song Meanings.

Innanzitutto possiamo notare dal grafico come i riferimenti alle droghe nei testi siano aumentati nel corso di cento anni (il periodo preso in esame è quello dal 1933 al 2013). Il picco lo abbiamo avuto nei primi anni duemila, successivamente si può riscontrare un’inversione di rotta.

E poi il secondo grafico. Rullo di tamburi. Contro ogni pronostico, è la musica country il genere che cita più frequentemente le droghe nei testi delle canzoni. Fanalino di coda proprio il rap, considerato da molti benpensanti come una delle cause della distruzione morale dei giovani.

Al contrario, negli ultimi tempi il rap e l’hip hop non fanno più riferimento a stupefacenti… ma hanno il suono di due milligrammi di Xanax. Questo farmaco ansiolitico, infatti, si sta diffondendo tra DJ e rapper. Lo Xanax può essere preso con moderazione – e sotto ricetta medica – per curare attacchi d’ansia ricorrenti. E invece inizia ad essere usato anche nell’ambiente musicale per sballarsi. Come l’alcol, lo Xanax è un depressore del sistema nervoso centrale. E pare che sono proprio i musicisti anglosassoni quelli più colpiti. Recentemente è deceduto il rapper Lil Peep (classe 1996), definito il Kurt Cobain del rap. Morto per overdose a soli 21 anni, con un letale mix proprio di fentanyl e xanax. Nei suoi testi oscuri parlava proprio dell’uso eccessivo di droghe e antidepressivi. Il consumo e l’abuso di questo farmaco è cresciuto in maniera così esponenziale in questo ambiente musicale che si potrebbe iniziare a parlare di “xanax rap”, come fosse un vero e proprio sottogenere.

Ma la musica non è altro che specchio della società in cui viviamo. Difatti, il mese scorso The Guardian ha pubblicato un articolo in cui riportava dati piuttosto preoccupanti: il Regno Unito rappresenta il 22% del mercato mondiale di Xanax sul dark web, ossia le vendite online non rintracciabili. E non è tutto: anche negli Stati Uniti è scoppiata la paura per l’uso estremo di questo antidepressivo. Il New York Times ha addirittura suggerito il nome “Stati Uniti dello Xanax” per descrivere lo stato attuale del Paese. Dunque non più la Prozac Nation, non sono più gli anni Novanta della depressione, bensì dell’ansia. Prima cantavamo Man in the box degli Alice in Chains. Adesso, c’è Lil Xan – sì, ha preso il nome proprio dallo Xanax -, che nel testo di Far dice: “Never saw myself up in the limelight. Switched up, too fly, oh naw hater“.

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