Un altro attentato, il primo dell’era Macron, ha colpito la Francia. Si tratta di terrorismo, ma niente panico. Perché il panico sia giustificato, almeno in parte, servirebbe ben altro rispetto a quel che è successo. Servirebbe un aereo dirottato da un commando, una bomba che esplode allo stadio, un assalto coordinato con armi pesanti ai locali della movida, il rapimento di un primo ministro, o simili. Insomma i terroristi dovrebbero mostrare di avere un addestramento militare (dove l’hanno ricevuto?), esperienza nel combattimento (dove l’hanno maturata?), armi ed esplosivi avanzati (da dove arrivano? Hanno magazzini e basisti?), obiettivi ambiziosi (a cosa mirano?).
Invece stiamo commentando l’ennesimo gesto di un “lupo solitario”, un piccolo criminale franco-tunisino di 25 anni con precedenti per spaccio di droga, probabilmente radicalizzatosi sul web, con più problemi mentali che di fanatismo. Redouane Lakdim, questo secondo le autorità francesi è il nome dell’attentatore, ha agito da solo e in maniera palesemente dilettantesca. Prima ha rubato un’auto, uccidendo il passeggero e ferendo il conducente. Poi ha seguito dei poliziotti che stavano rientrando in caserma dopo aver fatto jogging, ha sparato e ne ha ferito gravemente uno. Quindi, ormai in fuga e probabilmente nel panico (lui sì), si è barricato in un supermercato, ha ucciso due persone e ha cercato di intavolare una trattativa con le autorità.
Ha inneggiato all’Isis e ha chiesto la liberazione di Salah Abdeslam, l’unico superstite del commando che nel novembre 2015 colpì lo Stade de France, i ristoranti di Parigi e il Bataclan, provocando la morte di 130 persone. Inutilmente, ovviamente. Aveva degli ostaggi ma diversi li ha lasciati andare, accettando lo “scambio” con un tenente colonnello della gendarmeria (poi rimasto ferito). Al supermercato sono arrivate la madre e la sorella per cercare di convincerlo a desistere, ma senza fortuna. Dopo alcune ore di assedio è scattato il blitz delle teste di cuoio, e Lakdim è stato ucciso. Aveva una pistola, che ha usato, e secondo alcune ricostruzioni anche delle bombe a mano, che invece non sarebbero state usate. Il dettaglio delle bombe potrebbe essere inquietante – anche se più in termini di contrasto al traffico di armi in Francia, un mercato gestito dalla criminalità straniera, che non di terrorismo – ma bisognerà attendere di conoscere i particolari.
l dettaglio delle bombe potrebbe essere inquietante – anche se più in termini di contrasto al traffico di armi in Francia, un mercato gestito dalla criminalità straniera, che non di terrorismo – ma bisognerà attendere di conoscere i particolari
Lo Stato Islamico è stato rapido – più rapido del solito – nel rivendicare l’attentato di un suo “soldato”, ma al momento sembra che Lakdim non avesse in realtà alcun legame operativo con quel che resta del Califfato (un’organizzazione sconfitta sul terreno che è evidentemente in un disperato bisogno di visibilità al momento). Non si tratterebbe insomma di un foreign fighter, uno di quegli europei che sono andati a combattere in Siria e Iraq per l’Isis e che ora potrebbero rientrare in patria e compiere attentati, avendo ricevuto l’indottrinamento e l’addestramento necessari dagli uomini del Califfo (come Abdeslam). Questo è il vero pericolo, di cui si parla fin dagli ultimi giorni di agonia dello Stato Islamico come entità territoriale. Finora non si è ancora materializzato – forse i servizi stanno facendo un buon lavoro sui flussi migratori, forse morto il Califfato tra quelli che hanno visto l’orrore coi loro occhi gli aspiranti martiri sono rimasti pochi, o forse si sono resi conto che anche gli attentati più spettacolari e sanguinari in Europa non producono particolari effetti – ma resta un rischio.
Lakdim comunque non era un foreign fighter ma un “lupo solitario”, uno dei tanti che ha avuto il suo giorno di notorietà con l’attentato, è morto, e presto sarà dimenticato se non nelle statistiche sul terrorismo e negli incubi dei parenti delle vittime. Come lui ce ne saranno probabilmente altri anche nel futuro, schegge impazzite di disagio sociale che ammantano col fanatismo religioso i propri problemi, le proprie debolezze. Forse servirà un’intera generazione perché il fenomeno si esaurisca ma l’Europa, che negli anni di piombo prima e dello Stato Islamico poi, ha saputo reagire con freddezza allo stillicidio di attentati anche gravi, non stravolgerà il proprio sistema di valori e di vita per loro.
Se però volesse farsi qualche domanda, in un momento in cui il terrorismo è comunque tornato sulle prime pagine dei giornali, la questione che l’Europa dovrebbe prendere di petto è quale atteggiamento vorrà avere – come Unione europea e come Stati nazionali – di fronte a quel che sta succedendo adesso in Medio Oriente
Se però volesse farsi qualche domanda, in un momento in cui il terrorismo è comunque tornato sulle prime pagine dei giornali, la questione che l’Europa dovrebbe prendere di petto è quale atteggiamento vorrà avere – come Unione europea e come Stati nazionali – di fronte a quel che sta succedendo adesso in Medio Oriente: dopo un triennio in cui la priorità comune (più o meno) è stata la sconfitta dell’Isis, adesso gli attori regionali e internazionali sembrano tornati alla solita dinamica di competizione esasperata per espandere le proprie aree di influenza. Gli Stati Uniti, e i loro alleati Sauditi, già in passato hanno utilizzato i fanatici islamici salafiti (la stessa matrice ideologica dell’Isis) contro i propri avversari, sovietici prima e sciiti poi. Potrebbero, e alcuni segnali in tal senso già ci sono, rifarlo ancora. L’Europa ha intenzione di subire, per l’ennesima volta, le decisioni altrui o ha la volontà per stabilire una propria politica estera e per acquisire i mezzi necessari a dispiegarla?