I nomignoli su di lui si sono sprecati. Il più noto è quello che gli affibbiò il giurista Guido Rossi: «Rasputin della Bovisa». Per altri è stato il «Gianni Letta di Palazzo Marino» o più semplicemente il Richelieu di Letizia Moratti, perché di Gianni Letta, dice chi lo ha incrociato, non ha la stessa modestia. Tra i lobbisti che lavorarono con lui per portare Expo a Milano si fece strada invece «il lupo». Per il colore dei capelli, giurano. Succede così quando amici e nemici sono divisi in bianco e nero senza sfumature di grigio. Lo sa bene Paolo Glisenti, manager classe ’51, chiamato dal ministro degli Esteri uscente Angelino Alfano a inizio anno a guidare la delegazione italiana all’Expo di Dubai 2020 come commissario generale di sezione.
È lui che intesse la ragnatela delle relazioni politiche e di affari durante la manifestazione in quello che è il primo mercato di destinazione dell’export italiano con oltre 5 miliardi di euro di volumi con una previsione di crescita stimata al 5% da qui al 2020. I ben informati danno il Rasputin della Bovisa come uno dei personaggi più attivi negli ultimi mesi a Dubai dove sono attese 788 piccole e medie imprese italiane che si sono aggiudicate commesse di beni e servizi.
Paolo Glisenti di Expo se ne intende probabilmente più di chiunque altro in Italia. Dunque vale la pena partire da qui e dal suo rapporto con Milano per interpretare un «cordialmente antipatico» di successo. Fu infatti lui il grand commis dietro la diplomazia che portò la kermesse nel capoluogo lombardo. Tra gli uomini più fidati di donna Letizia, Paolo Glisenti figlio di Giuseppe Glisenti, tra i fondatori della Democrazia Cristiana, coordina la squadra che tra il 2006 e il 2008 porta a termine la candidatura milanese. L’allora sindaco di Milano provò pure a fargli fare l’amministratore delegato della società, ma le polemiche sul suo compenso per fare il segretario del Comitato promotore della manifestazione (un contratto da 900 euro al giorno) bloccano l’operazione in favore di Lucio Stanca prima e di Giuseppe Sala poi.
L’allora sindaco di Milano provò pure a fargli fare l’amministratore delegato della società, ma le polemiche sul suo compenso per fare il segretario del Comitato promotore della manifestazione (un contratto da 900 euro al giorno) bloccano l’operazione in favore di Lucio Stanca prima e di Giuseppe Sala poi
All’entourage milanese berlusconiano di allora quel romano che «frequenta la sinistra chic di Capalbio» non piaceva così come non va a genio a Filippo Penati, allora presidente Pd della provincia di Milano e alla Lega Nord. A Giulio Tremonti viene attribuita la battuta «Glisenti chi?». Letizia Moratti però se lo porta ovunque dai tempi della direzione generale della Rai tra il 1994 e il 1996 alla vicepresidenza della News Corp. di Rupert Murdoch e infine al ministero dell’Istruzione. Poi arriverà Expo e la sua figura, centrale per aggiudicarsi la partita (tanto da meritarsi una onorificenza come Cavaliere della Repubblica su proposta del governo Prodi), diventa ingombrante quando arriva il momento di gestire la società che l’esposizione la deve costruire e portare a termine.
Destini incrociati, dunque, che si incontrano grazie a Gianmarco Moratti che ereditò il comando della Saras dal padre Angelo. Fu Angelo Moratti a instaurare l’amicizia con il papà di Paolo Glisenti, Giuseppe, manager che passò dall’Iri, alla Rai e a Finmeccanica, fondando pure la Democrazia Cristiana con Fanfani, Dossetti e La Pira. La linea ereditaria ha fatto il resto.
Ma è a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 che Paolo Glisenti si costruisce una rete di relazioni internazionali che lo porta al centro di alcune delle grandi partite industriali italiane. Un passato da giornalista al Corriere della Sera, poi l’approdo alla presidenza della Montedisone Usa sotto la guida di Mario Schimberni, meglio conosciuto nella finanza del tempo come «il pirata» vista la propensione alle scalate spericolate. Alla fine degli anni ’80 è Glisenti a tentare di mettere sul tavolo un accordo tra lo stesso Schimberni e Raul Gardini per un accordo sulla guida di Montedison. Nulla di fatto: Glisenti lascia e a New York avvia la sua attività di consulenza potendo contare sui buoni uffici con Henry Kissinger e l’allora presidente della Fed Alan Greenspan.
All’inizio degli anni ’90 il ritorno in Italia e l’inciampo forse più clamoroso insieme a uno dei suoi compagni di giochi d’infanzia, Luca Cordero di Montezemolo: il crack della casa cinematografica Carolco. Acquistata a caro prezzo (43 miliardi) mentre Glisenti è in RCS Video, insieme a Montezemolo decidono di acquistare quote sempre più importanti (insieme alla francese Canal Plus) della società che ha prodotto, tra gli altri pure Rambo I, Rambo II e Terminator. Il buco nelle casse di via Solferino costerà qualche centinaia di miliardi di lire e il naufragio del primo tentativo di diversificare tra carta stampata, cinema e tv.
In mezzo due matrimoni, uno dei quali, naufragato nel 2013 con l’attrice Eliana Miglio, di cui a Roma ricordano, sottolineava Il Giornale qualche anno fa, le «sontuose feste» e un presunto provino andato male per la rai di Agostino Saccà. Gli affari però si fanno a Milano e Glisenti non ha mai smesso di orbitarci attorno. Dopo l’uscita di scena da Expo 2015 coordina i lavori del comitato per l’elaborazione del progetto dei giochi olimpici 2020 per Roma Capitale. Non se ne farà niente. Sfruttando le mille relazioni internazionali cementate nel tempo, vola in Brasile e prova a portare Expo a San Paolo senza riuscirci. Poi il rientro in Expo 2015 dalla finestra ritagliando alla Ferrero un posto di primo piano alla kermesse grazie al lavoro della sua PgConsultats. Società con la quale, giusto per stare in tema, ha realizzato pure un progetto su eventi, summit e congressi nazionali e internazionali per «raccogliere e rilanciare l’eredita di Expo Milano 2015». Ora l’incarico per Dubai per mantenere il buon umore, «perché Paolo – dicono – è in buona solo quando lavora».